Il 12 luglio presso la Camera dei deputati è avvenuta la presentazione delle prove INVALSI del 2023, sostenute in tutti gli ambiti della scuola italiana nei mesi precedenti. Dalla lettura complessiva dei dati è emerso che, sia in italiano che matematica, uno studente su due è insufficiente. Eseguendo una lettura dettagliata del rapporto è emerso che alle elementari, in modo particolare nella classe seconda, gli studenti che raggiungono la sufficienza in italiano sono il 69%. In matematica il 64%. Se si prende la classe quinta si ha un netto miglioramento in italiano (80%), ma peggiora la matematica (63%). Alle medie il risultato è del 62% nella prima e il 56% nella seconda.
Alle superiori, infine, i risultati riescono ad essere assai peggiori. Il 50% degli alunni non raggiunge la sufficienza né in italiano, né in matematica. Ma per questo dato, riservato a questo ordine, è necessario fare una differenziazione di carattere geografico, dato che nelle regioni del nord Italia il 62% riesce ad ottenere la sufficienza nelle due materie; mentre in quelle del sud ben tre studenti su cinque sono insufficienti sia in italiano che in matematica. Nel rapporto emergono anche altri dati molto interessanti, che sono quelli inerenti la dispersione scolastica implicita. Per questo termine si intende gli alunni che riescono ad ottenere il diploma di scuola secondaria, ma con delle competenze non ritenute sufficienti, in sostanza è come se gli studenti abbandonassero il percorso di studi a sedici anni. Questo dato ammonta all’8,7 % del totale degli alunni diplomati. Secondo il direttore dell’INVALSI, Roberto Ricci, la colpa di tale fallimento dei risultati del test è da imputare al lockdown causato dal Covid.
Tale assunto, può risultare un po semplicistico. Se si prende la seconda classe della scuola primaria di secondo grado, nel marzo 2020, quando c’è stato il primo lockdown, gli alunni frequentavano la scuola dell’infanzia, dove certamente non vengono impartite lezioni né di italiano né di matematica. Alla luce di ciò è ovvio che ci sia anche un palese problema di motivazioni psicologiche della classe docente in cui è necessaria una riforma strutturale per accedere alle classi di concorso, che non può essere più procrastinabile, tematica peraltro già ampiamente trattata in queste colonne. Secondo il sociologo Luca Ricolfi e la giornalista Paola Mastrocola, i quali hanno analizzato nel libro scritto a quattro mani, Il danno della scuola. La scuola progressista come macchina della disuguaglianza, cui da come si evince chiaramente dal titolo, l’annoso problema della scuola che non sa produrre conoscenza è da imputare nell’aver perseguito un modello basato sull’inclusività di stampo milaniano, con il conseguente abbassamento del livello di apprendimento sempre più verso il basso. Secondo Ricolfi il perseguimento degli obiettivi nella scuola viene organizzato secondo un sapere che non è legato allo sforzo della comprensione, ma a quello del sapere superficiale per nozioni, schematico e superficiale in cui lo studio è avulso dall’apprendimento dal complesso apparato scientifico e umanistico.
Ma al netto di sensazionalismi e sorprese per quanto è emerso dall’INVALSI, il risultato rientra nel normale contesto socio-culturale che, almeno da una generazione, attraversa trasversalmente la società italiana, senza esclusione di classi sociali. Nella prima metà dell’Ottocento Hegel teorizzò che la famiglia era il nucleo in cui l’uomo cominciava a mettere da parte i suoi interessi egoistici e metterli a disposizione per la comunità. Nella famiglia si formava l’accrescimento dello spirito intellettuale ed etico, dapprima condiviso e sviluppato nell’ambito famigliare per poi trovare il suo punto di arrivo nella società civile. Ma tra famiglia e società civile vi era un elemento intermedio, di transizione, ovvero la scuola e l’università. Quindi se si segue l’assunto hegeliano, famiglia e scuola sono gli assi portanti della società e del suo sviluppo sociale, intellettuale ed anche economico.
Ne consegue che famiglie e scuola non dovrebbero agire né in maniera dialettica, né antagonistica, ma in profonda sinergia. Ma eseguendo un’analisi culturale e intellettuale della famiglia in Italia, in cui si possono prendere come dato esemplifico il risultato dell’ultima indagine demoscopica stilata dal Piaac-Ocse del 2019, emerge che proprio il 28% della popolazione italiana tra i 16 e i 65 anni è analfabeta funzionale. Il dato più alto in Europa insieme alla Spagna. Se si comparano i dati dell’indagine Piaac-ocse sull’analfabetismo funzionale e quello dei risultati INVALSI, si potrebbe congetturare che questi due dati sono legati tra di loro, o meglio, facendo un elementare sillogismo, che gli studenti che ottengono l’insufficienza e i test INVALSI sono i figli di quegli analfabeti funzionali.
Per suffragare ciò, si può citare un aneddoto personale di Tullio de Mauro, narrato nel libro autobiografico, Parole di giorni un po’ meno lontani, in cui il linguista scrisse che l’ambiente familiare era di fondamentale importanza per determinare lo sviluppo intellettuale e la personalità del membro più giovane:
«Alcuni anni dopo un maestro lodò un mio compito di casa. Da uno degli ultimi banchi- in classe eravamo cinquanta- si levò una voce sarcastica “Per forza a De Mauro i compiti glieli fa la mammina”… Mi offesi terribilmente: i compiti li facevo da solo Perbacco! E non capii allora quanta profonda avesse il compagno. Non capivo quanto l’apporto indiretto e di ogni giorno dei miei mi sostenesse appunto, in ogni compito e problema, più forte di ogni mia naturale inettitudine. Ma quanti ancora oggi capiscono quel senso e quelle ragioni?»
Secondo la tesi di De Mauro, la causa della disuguaglianza in Italia era da imputare allo iato in essere tra famiglia culturalmente avanzata e non. Per il linguista la soluzione andava trovata solamente tramite una riforma strutturale dei programmi metodologici della scuola. Di fatto queste riforme sono avvenute, ma i risultati non sono arrivati, come palesato dal test INVALSI. Segno che la causa va ricercata nella famiglia italiana che ad oggi è incapace, non per cause economiche, di fondare il proprio sistema valoriale sul principio della conoscenza. Valore quello della conoscenza che è alla base di una società basata sull’equità, sulla competenze e sul benessere spirituale ed economico. Lo stesso deperimento intellettuale della classe politica italiana è l’effetto del nesso famiglia-scuola. Nei dibattiti politici nazionali ed anche regionali e locali è sempre più palese la scarsa preparazione culturale, sia per quanto concerne la conoscenza di filosofia politica, che di cultura generale, oltre che di un corretto utilizzo della proprietà lessicale ed anche di decoro da parte di tali sedicenti rappresentanti politici.