All’indomani del primo conflitto mondiale l’Italia si presentava martoriata sotto il profilo economico, sociale e politico. La perdita di migliaia di uomini nelle trincee, il forte indebitamento con i Paesi esteri e l’accentuato divario tra settentrione e meridione, incise profondamente sui comportamenti individuali e collettivi su cui pesavano anche la vittoria mutilata e l’atteggiamento delle grandi potenze che avevano svilito lo stato d’animo della giovane nazione e, in particolare, dei reduci che vivevano con difficoltà il reinserimento nella vita civile. Anche le grandi ambizioni politiche verso il Mediterraneo che avevano animato l’Italia liberale apparivano ormai svanite in stante il predominio degli alleati Francia e Gran Bretagna sul bacino, con quest’ultima che deteneva le chiavi di Suez e Gibilterra.
Lo stato di crisi in cui il Paese versava, tuttavia, non impedì nel 1920 una rifioritura culturale che, animata da un ritrovato interesse verso il Mediterraneo, i suoi miti, la sua epica e i suoi paesaggi, si manifestò in modo trasversale interessando l’ambito letterario, artistico e storiografico. Un nuovo astro creativo da non ridurre e marginalizzare all’impeto nazionalistico – anch’esso presente e altrettanto fervente – ma da interpretare in chiave universalista in cui il Mediterraneo, culla di civiltà, costituiva il centro originario.
In quegli anni il poeta e pittore Ardengo Soffici, reduce del conflitto, fu tra i precursori di questo nuovo ordine culturale iniziando a prospettare il perseguimento di nuovi orizzonti il cui raggiungimento solcò le rotte che conducevano al recupero dei significati tradizionali dell’arte. Una sorta di catarsi che avrebbe dovuto purificare la sua generazione che – per come mette in luce lo storico Egidio Ivetic mutuando le parole dello stesso Soffici – “nata nel carduccianesimo e passata al disordine del cubismo e del futurismo, sarebbe dovuta ritornare all’ordine tramite il classicismo”, in cui il Mediterraneo costituiva l’icona, nonché il perimetro culturale, all’interno del quale muoversi temporalmente e spazialmente. Il Poeta, per come sostenuto da eminenti studiosi, giunse a tali conclusioni dopo essere transitato da un duro e profondo ripensamento sulle avanguardie e sui fenomeni culturali che avevano caratterizzato la sua epoca. Un ripensamento certamente dettato dal crollo delle certezze e delle speranze su cui si imponeva la tragicità del conflitto con il suo doloroso bagno di sangue. Per alcuni, tale ripensamento iniziò a manifestarsi dal periodo della trincea. Lo si evincerebbe da una delle sue più suggestive poesie “Ospedale da campo 026” che, vergata direttamente dal lettino in cui giaceva convalescente, fissa l’immagine dei gialli limoni mediterranei, poggiati sul suo comodino nero, il cui amoroso splendore evoca una nuova luce di rinascita. Immagine che, come ebbe ad affermare successivamente lo stesso Soffici, costituì un “simbolo di forza ritrovata nella convalescenza” rivelandogli un modo genuino di fare poesia. Per altri autori, determinante per questo nuovo percorso di Soffici, fu anche la scomparsa dell’amico Guillaume Apollinaire avvenuta a Parigi nel 1918, da lui frequentato nel periodo parigino e al quale dedicherà un’opera nel 1937.
La nuova prospettiva culturale a cui Soffici aspirava, unitamente allo spirito militante che lo animava, lo spinse a dare vita, sempre nel 1920 per le edizioni Vallecchi, alla rivista Rete Mediterranea da lui diretta e interamente scritta, il cui successo fu assai limitato in quanto si esaurì con la pubblicazione di soli quattro numeri. Rete Mediterranea, fa notare Simona Storchi, si poneva in continuazione, e al contempo come progetto di svolta, rispetto alla rivista precedente Varie Italie diretta nel 1919 da Soffici, insieme a Giovanni Papini, pubblicata in francese e tra i cui obbiettivi rientrava anche quello di rafforzare il rapporto fra le nazioni sorelle Italia e Francia. Per come mette bene in luce la Storchi “il ricorso all’idea di mediterraneità aveva permesso di riposizionare artisticamente l’Italia nel contesto europeo, ponendola al centro di un asse artistico-culturale spostato verso sud e connotato da una tradizione di classicismo inteso a livello sia artistico che politico”
La nuova visione mediterranea, di cui Soffici fu uno dei maggiori interpreti, interessò anche numerosi artisti della “corrente Novecento” promossa da Margherita Sarfatti, nonché la prima produzione di Montale negli anni in cui una forte spinta propulsiva verso la ricerca di un nuovo ordine morale, personale e sociale accomunava varie personalità del Novecento inquieto, anche di orientamento opposto, sia in Italia che in Europa.
Oggi, all’interno di un contesto globale profondamente turbato da crisi economiche, sanitarie e politiche, e attraversato da un’inesorabile transizione geopolitica preludio di conflitti armati e cambiamenti di scenario, il Mediterraneo – nella cui acque transita il 20% del traffico mondiale di merci – ha riacquistato una nuova centralità su scala globale ancora più accentuata dalla forte instabilità creata dai cruenti conflitti il cui rischio di estensione all’intera area è notevole.
Nonostante la posizione geografica della nostra penisola induca ad ipotizzare una naturale simbiosi con l’ambiente mediterraneo, l’Italia, priva di una piena consapevolezza della propria dimensione e potenzialità marittima, sembrerebbe invece percepire questo spazio come periferico. In tale scenario, un risveglio culturale capace di far rivivere un pensiero mediterranista, costituirebbe senz’altro un’utile spinta ideale che, ove combinata ad un adeguato sviluppo infrastrutturale e sinergia securitaria, ne rinvigorirebbe l’azione. In questo processo, la parte meridionale del Paese, immersa geograficamente nelle acque del bacino e maggiormente connessa alle vicende storico culturali che lo hanno interessato, potrebbe fungere la punta di lancia, atta a proiettare l’intera Europa verso il continente africano.
Servirebbe, dunque una nuova catarsi, che abbia quale riferimento il Mediterraneo e le sue infinite suggestioni da porre in ideale connessione a quelli che si rivelarono gli aspetti migliori, e non degenerati, del fermento di rinnovato interesse verso tale Mare esploso all’indomani della prima guerra mondiale. Ciò sarebbe auspicabile non per indurre un ritorno al passato, né tantomeno per porsi in uno spirito di sterile conservazione, ma per fare dell’Italia una naturale mediatrice tra mondo europeo e mediterraneo per mantenere vivo ciò che è eterno.