I nuovi consumatori di malvagità

La filosofa Lucrezia Ercoli ne "Lo spettacolo del male" (Ponte delle Grazie, 2024) inquadra le contraddizioni della società in cui viviamo indagando il nostro eterno rapporto con il male. Una volta di più, esso rivela la natura prismatica dell’essere umano, diviso tra attrazione e repulsione, identificazione e sete di vendetta. Emblematico è il personaggio di Alex di Arancia meccanica, all’interno del quale coabitano le storture e le conseguenze di una violenza sistemica esercitata ‘a fin di bene’ dal Potere. Violenza che oggi si traduce in controllo delle coscienze e dei comportamenti.

Un esempio di guerra ibrida

Il 6 dicembre 2024 la Corte costituzionale della Romania ha annullato le elezioni presidenziali: un gesto straordinario da un’ampia interferenza straniera. Il beneficiario di questa manipolazione, Călin Georgescu, candidato ultra-nazionalista e apertamente anti-NATO, aveva inaspettatamente conquistato il primo turno. L’annullamento, pur giustificato sul piano legale, ha evidenziato una verità più profonda: la democrazia rumena è diventata l’anello debole nella catena di sicurezza dell’Alleanza Atlantica. Nel cuore del fianco orientale della NATO, ogni instabilità a Bucarest diventa una questione transnazionale. E la Romania, oggi, è tutto fuorché stabile.

Un braccio di ferro nucleare

Washington e Teheran non possono fare a meno di stuzzicarsi, come una vecchia coppia, dopo colpi di stato, accordi infranti, proxy war e sanzioni. Ma la posta in gioco è altissima, dagli Houthi in Yemen alla minaccia del conflitto nucleare, passando per il futuro del conflitto israelo-palestinese e il Libano. Ora come non mai il rapporto tra le due potenze è cruciale per determinare l’equilibrio geopolitico del futuro ordine mondiale.

Alla ricerca di un nuovo equilibrio di potenza

Per gli Stati Uniti rinunciare alla “globalizzazione”, posto che il controllo sugli oceani resta pressoché assoluto, significa rinunciare alla propria stessa essenza imperiale. Il sogno parallelo e opposto dell’America profonda e dell’America europea. Vivere in maniera isolata o normale, il tutto mentre lo scontro ideologico tra coste e interno potrà assumere col tempo connotati sempre più violenti.

L'editoriale

di Sebastiano Caputo

Finalmente anche noi siamo entrati nella “cognitive warfare”

La storia, la conosciamo più o meno tutti quanti e la pellicola interpretata da Claudio Santamaria, Sonia Bergamasco e Anna Ferzetti, inquadra egregiamente i ventotto giorni precedenti i tragici eventi del 4 marzo del 2005, quando Nicola Calipari, Alto Dirigente del SISMI, sacrificò la propria vita per salvare quella della giornalista de “Il Manifesto” Giuliana Sgrena, rapita in Iraq da una cellula terroristica. E lo fa, con coraggio, senza fare sconti agli alleati americani. Ma ciò che conta, al di là di quello che sarà l’esito al botteghino, è il fatto che finalmente l’intelligence italiana ha fatto il suo ingresso nella “cognitive warfare”, cioè la guerra cognitiva. In sala, sulle piattaforme ma soprattutto nella testa delle nuove generazioni.  Meno di un anno fa, sempre su queste colonne analogico-digitali, scrivevamo “Intelligence chiama Mamma Rai”. Più che un dispaccio era un invito a ragionare come i nostri alleati e/o competitor che negli ultimi anni hanno prodotto e realizzato dei capolavori seriali: da Homeland a The Spy, da Fauda a Le Bureau des Légendes, da Teheran a Slow Horses. E dunque, rendere visibile ciò che invece dovrebbe rimanere invisibile. Ma del resto esistono, in questa nuova frontiera della comunicazione, gli artifici della scrittura per depistare, dissimulare, dissolvere fatti realmente accaduti o persone realmente esistite. E a volte e ciò che si rivela più potente sul piano dell’immaginario. Non a caso ne “Il Nibbio” la scena più intrigante è quella che vede a un certo punto l’agente operativo italiano sul posto a Baghdad mentre mentre aggiusta automobili parlando in arabo con gli iracheni per poi parlare al telefono in napoletano dentro l’officina con i vertici dei servizi segreti a Roma.  Di storie italiane di spionaggio, oltre a quella eroica di Nicola Calipari, ce ne sarebbero diverse da raccontare degli utlimi decenni Da quella di Amedeo Guillet, nostro Lawrence d’Arabia (e d’Africa) fino a quella del Colonnello Stefano Giovannone, enigmatico protagonista che fu al centro della diplomazia parallela negli anni Settanta, incaricato di gestire il delicato equilibrio tra l’Italia, l’OLP e Israele, nonché epicentro delLodo Moro (l’accordo segreto che evitò attentati in Italia).
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Interviste

a cura di Davide Arcidiacono

«La vera differenza strutturale è tra coloro che conoscono e coloro che sono ignoranti». La società del XXI secolo secondo Giuliano Noci

Se l'Occidente è in declino, allora la causa è da ricercarsi primariamente negli occidentali. Il tempo dei costruttori è il tempo di una profonda mutazione antropologica: l'informazione passa dalla rete, che rende il mondo interconnesso e diviso tra fazioni a favore o contro i nuovi sacerdoti di questo sistema. Politici, finanzieri, industriali: tutti rigorosamente influencer che devono attrarre attenzione ancor prima che consenso. Il dibattito è ridotto a uno slogan mentre il mondo sembra essere mediato da un'enorme opera di gamification, ovvero dalla riduzione a gioco di qualunque dinamica sociale. L'acquisto di un bene, il voto, il confronto delle idee, nulla sfugge al decadimento cognitivo. Stiamo regredendo per nasconderci di fronte alla complessità del mondo? O stiamo livellando il piano per l'arrivo delle macchine, che, forse, non saremo in grado di dominare? Per rispondere a queste e ad altre domande abbiamo interpellato Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano, membro del Comitato della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la definizione delle strategie nazionali per l’intelligenza artificiale, ed editorialista de Il Sole 24 ORE. - Professore, viviamo tempi senza dubbio interessanti. Nuovi attori politici sono emersi e sgomitano per prendersi la scena: tutto viene messo in discussione, addirittura la democrazia e il libero mercato. Finanza e tecno-utopismo trainano un Occidente confuso e senza più punti di riferimento. La trova una visione troppo declinista? Siamo più in salute di quanto non crediamo? O forse non siamo circondati da giganti in grado di metterci in discussione… L’Occidente è decisamente molto confuso in questo momento. Diviso in una dicotomia tra libertarismo (ovvero individualismo) e democrazia (ovvero potere al popolo). Con sullo sfondo un problema: quello dello stato sociale. La mancanza di stato sociale è quello che ha creato i problemi negli Stati Uniti e ha portato Trump alla vittoria elettorale. Presto questo potrebbe arrivare anche in Europa, per via del fatto che l’intelligenza artificiale mina alle radici quella che è l’identità culturale manifatturiera in cui si caratterizza il vecchio continente. Quindi se non avremo la capacità di modificare, attraverso il sistema educativo, cultura e competenze di riferimento ci sarà un problema molto significativo anche in Europa. Mi lasci dire: l’Occidente è in declino, i cinesi lo pensano dal 2008, con la crisi di Lehman Brothers, e certamente sentire alcune affermazioni di Trump nello Studio Ovale non fa altro che confermare questa posizione. ⁠- È vero senza dubbio che stiamo assistendo ad una profonda mutazione antropologica. Ci si informa scrollando i social, il dibattito italiano riguardo la natura di figure che italiane non sono: Donald Trump, Elon Musk, Vladimir Putin, Ursula Von der Leyen, e così via. Proprio quando si discute di ritorno a logiche nazionali il mondo è più interconnesso che mai. Dove sta la verità dunque? Il mondo è interconnesso. Il commercio globale è l’elemento fondamentale su cui regge lo sviluppo economico del pianeta. Basti pensare che incide per circa il 65% del Pil del globo. Questa interconnessione è peraltro elemento che farà desistere Donald Trump dalla sua intemerata. Molto presto, siccome non partono più navi dai porti cinesi, gli scaffali degli Stati Uniti saranno vuoti. Allo stesso modo sarà sempre più complesso realizzare prodotti visto che, ad esempio, un componente di un’automobile realizzata negli Stati Uniti rischia di uscire e rientrare 3-4 volte dal Nordamerica ricevendo ogni volta dazi. Questo giusto per dare un esempio di quanto il fatto di essere interconnessi e globali sia un elemento strutturale che non può essere, come dire, interrotto con semplici affermazioni per quanto eloquenti e forse arroganti di Donald Trump. Roma, Marzo 2025. XXV Martedì di Dissipatio - ⁠L’approccio del cittadino medio con la politica e l’economia è sempre più mediato da logiche di gamificazione. Criptovalute con nomi di animali attirano miliardi di dollari, la risata provocata da un video montato con qualche effetto sonoro è sufficiente per decidere a chi affidare il proprio voto. Di fronte ad un mondo complesso stiamo volutamente o inconsciamente regredendo? Sicuramente vi è una regressione di natura cognitiva, nel senso che l’arrivo dei social ha abbassato il livello medio del dibattito, del dialogo, financo portando il politico, l’eletto al livello dell’elettore. E da qui ne è nata, appunto, la politica da social con l’aggressività, e spesso le fake news che la contraddistingue. La tecnologia in questo senso è un distrattore di massa rispetto alla possibilità e opportunità che gli individui hanno di approfondire attraverso letture, attraverso libri e quindi costruirsi competenze che hanno fondamento, competenze e conoscenze che permettono di identificare e affrontare problemi. Viviamo quindi in un contesto in cui il sistema educativo deve riprogettarsi, deve trovare nuove chiavi di ingaggio per riguadagnare terreno e fare in modo che assolva la sua funzione obiettivo: quella di costruttore di società, di una società consapevole e in grado di conoscere e quindi di affrontare il futuro con sostenibilità. - ⁠Si semplifica e si abbandona il confronto. È l’epoca delle eco-chamber che da Internet prendono forma nella vita reale. Un relativismo ideologico che si autoalimenta a suon di feedback loop. Le chiedo dunque se secondo lei sarà questo il motore di profondi conflitti sociali? Nazioni frammentate in mille parti, ciascuna con una propria verità e una propria narrativa internamente valida. Il vero tema è che i conflitti nascono tra paesi, e da questo punto di vista Trump ne è la rappresentazione plastica di come addirittura il principale polo del mondo democratico arrivi a edificare una sorta di battaglia globale rendendo tutti più poveri. Poi ci sono conflitti interni. Conflitti non solo tra ricchi e poveri, ma io direi che la vera differenza strutturale è quella tra coloro che conoscono e coloro che sono ignoranti. Da questo punto di vista ancora una volta si comprende quanto la più importante sfida del futuro sia quella di creare conoscenza, di aumentare il livello medio dell’istruzione delle persone. Lo dico in un paese che è tra gli ultimi per livello di istruzione in Unione Europea. - ⁠Il tecno-utopismo, incarnato da Elon Musk, l’oligarca più esposto fra tutti, vuole ricostruire un’idea di futuro che oggi – e ce ne accorgiamo da quanto cinema e letteratura abbiamo smesso d’immaginare mondi possibili – sembra mancare. Secondo lei è un’operazione sensata o è solo fumo negli occhi per nascondere mancanza d’idee? Elon Musk è certamente la rappresentazione di polarità molto marcate. Da un lato è figura che ha un’immagine di futuro nitida e per certi versi è in grado attraverso le sue aziende, attraverso le sue visioni di contribuire a rendere oggettiva, reale questa sua visione di futuro. Dall’altro ha delle rappresentazioni e delle modalità di interlocuzione con la società che appaiono naif. Probabilmente in questa polarità sta anche la singolarità e genialità del personaggio, personaggio certamente da prendere a piccole dosi. Comunque, una cosa è certa: il futuro lo potremo costruire se e solo se saremo in grado di incorporare consapevolmente la tecnologia. ⁠- ⁠Anche se qualcosa di nuovo c’è. L’intelligenza artificiale, intesa come strumento e non come operazione di marketing per attirare dati fondamentali alla sua crescita, è un grande tema. Siamo inevitabilmente condannati a fare affidamento sulle strutture altrui o possiamo sviluppare una nostra indipendenza in questo campo? L’intelligenza artificiale sarà un copilota nella vita dell’uomo, semplificando una serie di attività e decisioni, ciononostante non sostituirà l’intelligenza umana in quanto l’intelligenza artificiale non è senziente, non è in grado di introdurre quelle discontinuità che sono tipiche del pensiero umano. Dovremo però imparare a conviverci evitando che l’intelligenza artificiale prenda delle derive strane, delle derive sbagliate in quanto addestrata da persone che non rispettano canoni etici. ⁠- ⁠Una domanda provocatoria: chi sta addestrando chi? I nostri cervelli sono sommersi di stimoli ventiquattr’ore su ventiquattro. Scrolling compulsivo; sempre più lavori scanditi dall’arrivo di una notifica; applicazioni che ci fanno attraversare città per una gratificazione momentanea e immateriale. Stiamo diventando noi le macchine? Nulla di provocatorio. Chi sta addestrando chi? È molto chiaro. Gli uomini stanno addestrando l’intelligenza artificiale, è chiaro poi che l’intelligenza artificiale avendo la capacità di eseguire compiti senza istruzioni sviluppa delle analisi, propone delle decisioni, induce delle azioni nei robot. Tuttavia, dev’essere chiaro: è l’uomo che programma l’intelligenza artificiale, che senza addestramento sarebbe vuota, vuota di conoscenza. È chiaro che l’uomo ha quindi una funzione importante in fase di addestramento ma anche la responsabilità di supervisionare quello che esce dall’intelligenza artificiale. E questo vale soprattutto per i task, per le attività che sono a più alto rischio e a più alto impatto. - ⁠Infine una previsione: il futuro sarà segnato da politici basati sull’archetipo dell’attuale Presidente statunitense? Mi spiego meglio: è chiaro che dietro Trump ci sia la volontà di cedere all’emozione. Razionalmente non si può credere che sappia ciò di cui parla o che rappresenti coloro che dice di rappresentare. Eppure il sostegno dietro di lui è forte. Dietro il voto e dietro l’acquisto impulsivo su Amazon si cela oggi la medesima logica? Daniel Kahneman, premio Nobel, ha sempre esplicitato che le emozioni inducono all’azione, la ragione induce all’analisi. Quindi è evidente che le emozioni sono la determinante fondamentale dei comportamenti umani, financo il voto politico. Da questo punto di vista tutti cercano di lavorare sulle emozioni, la politica giocando il ruolo del marketing della paura, per certi versi ne abbiamo rappresentazioni chiare quando si evoca la caccia all’immigrato, la chiusura rispetto alla minaccia esterna, la chiusura nella tana. Allo stesso modo Donald Trump lavora sulle emozioni di coloro che sono spaventati, sono spaventati della globalizzazione, evocano un nemico esterno ma il vero problema è interno: la loro mancanza di conoscenza. di Lorenzo Cerani e Davide Arcidiacono
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Interviste

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«La vera differenza strutturale è tra coloro che conoscono e coloro che sono ignoranti». La società del XXI secolo secondo Giuliano Noci

Stiamo regredendo per nasconderci di fronte alla complessità del mondo? O stiamo livellando il piano per l'arrivo delle macchine, che, forse, non saremo in grado di dominare? Per rispondere a queste e ad altre domande abbiamo interpellato Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano, membro del Comitato della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la definizione delle strategie nazionali per l’intelligenza artificiale, ed editorialista de Il Sole 24 ORE.
«La vera differenza strutturale è tra coloro che conoscono e coloro che sono ignoranti». La società del XXI secolo secondo Giuliano Noci

«Per gli Stati Uniti questa potrebbe essere l’ultima possibilità di ridefinire un nuovo assetto globale da protagonisti.» Cesare Pozzi e il cambio d’epoca in atto

«Facendo riferimento all’arte della politica di Machiavelli capire e gestire l’attuale cambio d’epoca è la cosa che va fatta. Se siamo in mezzo al guado e la Meloni è in mezzo al guado, diviene fondamentale non sottovalutare quanto nella gestione di questo cambiamento si debba migliorare la capacità italiana di proporsi come interlocutore che ha delle carte da giocare. Quindi credo vada molto bene parlare e dialogare con tutti, non fare una scelta di campo, perché per il nostro Stato ora non avrebbe senso.»
«Per gli Stati Uniti questa potrebbe essere l’ultima possibilità di ridefinire un nuovo assetto globale da protagonisti.» Cesare Pozzi e il cambio d’epoca in atto

«Non sono sicuro l’idea di tecnodestra soppianterà una visione di destra più tradizionale». Thibault Muzergues sul nostro momento storico

«Meloni resta vincolata dalla situazione interna del Paese: anche se oggi è forte, la sua coalizione resta fragile, e deve vigilare costantemente. Ciò la porta a un'eccessiva cautela, che le impedisce di tracciare una vera visione per la destra e per l'Europa, mentre un Emmanuel Macron, un Viktor Orbán o un Friedrich Merz hanno molto più spazio per presentare il loro progetto.»
«Non sono sicuro l’idea di tecnodestra soppianterà una visione di destra più tradizionale». Thibault Muzergues sul nostro momento storico

«L’alleanza angloamericana è in corso di revisione»: Luca Mainoldi e la decodificazione delle mosse di Donald Trump

«Gli USA vogliono ritagliarsi una sfera di influenza esclusiva nell'emisfero occidentale (una specie di rivalutazione della dottrina Monroe allargata alle regioni artiche). Questo anche a scapito del tradizionale alleato britannico.»
«L’alleanza angloamericana è in corso di revisione»: Luca Mainoldi e la decodificazione delle mosse di Donald Trump

«Persino Fukushima non ha provocato morti, né sostanziali conseguenze ambientali».  Il futuro nucleare secondo Stefano Buono

«Il nucleare è una forma di energia molto sicura aldilà di vecchi stereotipi e pregiudizi. Del resto, il nucleare era estremamente sicuro anche in passato, ma oggi lo è sicuramente ancora di più dato che le nuove tecnologie eliminano completamente il rischio di incidenti come quelli già avvenuti. Un concetto di sicurezza intrinseca e passiva che è possibile applicare ad un nuovo approccio al nucleare che possa conciliarlo con sostenibilità e sviluppo.»
«Persino Fukushima non ha provocato morti, né sostanziali conseguenze ambientali».  Il futuro nucleare secondo Stefano Buono

Confessioni

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Umberto Pizzi

Francesco Latilla e Francesco Subiaco dialogano con il Petronio della Roma Cafonal che ha fotografato l'Italia e gli italiani per cinquant'anni: lo abbiamo raggiunto nella sua casa-archivio tra le campagne di Zagarolo.
Umberto Pizzi

Le Grandi firme

di Enrico Raugi

L’atto creativo come cura

I solchi disegnati sulla sabbia con un ramoscello, i mandala riempiti con tinte colorate, un quadro che a mano a mano viene costellato di dettagli; sono modalità esecutive riconducibili su, un piano immediato, alla libera espressione. Ciò è assolutamente vero per la maggior parte di noi anche se, alla luce della psicoanalisi, questa definizione si dimostra parziale. Alla stregua dei gesti inconsulti, delle libere associazioni o di parole decontestualizzate, il disegno può essere considerato una mappa per far emergere e interpretare l’inconscio. Nella seduta psicoanalitica l’inconscio si può quindi manifestare non solo con la parola, verbale o scritta, ma pure con un atto creativo. L’atto creativo porta con sé implicazioni di natura filosofica. Esso, più della creazione che ne sarà conseguenza, permette al soggetto – all’Io – di instaurare un rapporto con ciò che è esterno alla mente, di essere parte agente, dialetticamente, con la realtà del mondo. Così il soggetto si riconosce vivo. Se ci rifacciamo all’interpretazione che del presente da Byung-Chul Han - il filosofo del superamento della biopolitica foucaultiana - apprendiamo come l’essere umano stia, a poco a poco, abbandonando gli elementi che lo uniscono al reale. «Nella nostra cultura dell’eccitazione post-fattuale, la comunicazione è dominata da impulsi ed emozioni forti, che al contrario della razionalità sono poco persistenti in termini temporali. Per cui destabilizzano la vita. Anche la fiducia, le promesse e le responsabilità sono prassi impegnative, che si estendono oltre il presente giungendo al futuro. Tutto ciò che stabilizza la vita umana è impegnativo.» (B. C. Han, Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Torino, Einaudi, 2023, p. 10) Le storie su Instagram durano ventiquattr'ore, gli aggiornamenti sulla politica estera delle pagine Telegram avvengono ogni pochi minuti, i messaggi dai gruppi Whatsapp arrivano ogni pochi secondi. L’inafferrabile è la cifra del presente. La conoscenza è degradata ad informazione. Quasi niente del mondo virtuale di social e cloud può essere facilmente ancorato a terra per essere elaborato e fissato; le informazioni sfuggono di mano come l’acqua o il vento. L’odierno capitalismo dell’immateriale dissocia l’Io dal mondo, piegandolo a mero esecutore di una prestazione continua. Quest’ultima ha due caratteristiche: la bulimia e la rappresentazione egocentrica di sé stessi. Entrambe, spesso, agiscono in sinergia all’interno di una miriade di azioni. Nella natura del soggetto di prestazione il dover dimostrare agli altri la sua capacità di avere o fare è intimamente legata all’angoscia di sentirsi continuamente confermato come parte di una qualche comunità; esso abbandona fiero una parte della sua personalità per adeguarsi al senso comune di essa. Il prezzo di non venire riconosciuti come pari è più alto di quello di sentirsi liberi di agire secondo le proprie inclinazioni. Per Han i disturbi mentali proliferati da questo stato della contemporaneità sono il burnout, la sindrome da deficit dell’attenzione e iperattività, oltre all’aumento dei casi di depressione. Chi vive per dare una prestazione si esaurisce, si scava dentro pur di mostrarsi, intrattiene un rapporto con gli altri non per crescere e maturare ma per gareggiare, rifugge sé stesso per le opinioni esterne; difatti, per il filosofo «il depresso è privo di forma, è amorfo. È un uomo senza carattere». Per riuscire, pian piano, a chiudere il cerchio e tornare ai disegni della psicoanalisi è necessario fare riferimento al concetto di «sé creativo», elaborato da Donald Winnicott. L’«oggetto transizionale» - il postulato teorico più noto dello psicanalista britannico – è un oggetto concreto, una coperta o un orsetto di pezza, che il bambino usa come ponte per sganciarsi dallo stadio di egocentrismo radicale in cui ritiene che tutto ciò che percepisce dell’esterno sia una proiezione della propria mente, riuscendo nell’arduo compito di riconoscere che la madre e ciò che sta fuori non sono pura soggettività ma realtà oggettiva, condivisa. La creatività del bambino si manifesta in un momento successivo; secondo Winnicott, il sé creativo rappresenta l'espressione autentica e spontanea dell'individuo, in contrasto con il falso sé, che si sviluppa come adattamento, autoimposto e coatto, alle aspettative esterne. Il sé creativo è chiamato anche appercezione termine con cui si indica l’atto riflessivo con cui l’individuo diviene consapevole delle sue percezioni: il bambino ha uno sviluppo positivo in questo senso quando i genitori riconoscono i suoi sforzi e lui stesso si sente gratificato dall’attenzione che i genitori mostrano nei suoi confronti. Diversamente il falso sé o compiacenza – il desiderio di far cosa gradita agli altri, anche se non del tutto sinceramente - si genera quando il bambino è costretto a rinunciare alla propria spontaneità per suscitare l’attenzione dei genitori o in un contesto educativo fatto di regole troppo restrittive. Infatti: «È l’appercezione creativa, più di ogni altra cosa, che fa sì che l’individuo abbia l’impressione che la vita valga la pena di essere vissuta. In contrasto con ciò vi è un tipo di rapporto con la realtà esterna che è di compiacenza, per cui il mondo ed i suoi dettagli vengono riconosciuti solamente come qualcosa in cui ci si deve inserire o che richiede un adattamento. La compiacenza porta con sé un senso di futilità per l’individuo e si associa all’idea che niente sia importante […].» (D. W. Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974, p. 119.) Roma, Gennaio 2025. XXIII Martedì di Dissipatio È questa la fase dello sviluppo emotivo del bambino dove si sviluppano simboli, arte, cultura e creatività. Questo spazio è lo stesso in cui, crescendo, l’individuo può continuare ad esprimere la propria autenticità attraverso attività artistiche, intellettuali o anche semplicemente vivendo a modo suo. In una riflessione di carattere più globale e transgenerazionale, sostiene ancora Winnicott che: «Una creazione può essere un quadro o una casa o un giardino o un costume o un modo di pettinarsi o una sinfonia o una scultura; qualunque cosa a partire da un pranzo cucinato in casa. […] La creatività di cui mi occupo io qui, è universale. Appartiene al fatto di essere vivi.» (D. W. Winnicott, Gioco e realtà, cit., p. 123) Han, per parte sua, interpretando l’oggi, capovolge così il costrutto dell’oggetto transizionale: «Gli oggetti transizionali promuovono una relazione con l’Altro. Con lo smartphone intratteniamo, di contro, una relazione narcisistica. Esso reca molte analogie coi cosiddetti «oggetti autistici» […]. Agli oggetti autistici manca la dimensione dell’Altro. Non stimolano nemmeno la fantasia. Con loro si instaura un rapporto ripetitivo, non creativo. È proprio la ripetizione, la coazione a caratterizzare la relazione con lo smartphone.» (B. C. Han, Le non cose, cit., p. 32.) Alla luce di questa digressione risulta chiaro che l’atto creativo non è solo una forma di sviluppo evolutivo necessaria al bambino per accedere a uno stadio cognitivo più maturo, ma è un qualcosa che deve essere protetto e costudito nel tempo dell’età adulta, minacciato dall’appiattimento della fantasia proprio della ripetitività del mondo virtuale con cui giorno per giorno ci confrontiamo. L’atto creativo dimostra la volontà dell’individuo di voler restare unito al mondo, una solidità che impedisce di crollare nella labilità psicologica. In proposito, un esempio certo elitario quanto significativamente paradigmatico è dato dal ciclo di disegni che Roberto Bazlen, umbratile fondatore dell’Adelphi, ha elaborato per le sue sedute di psicanalisi con Ernst Bernhard. I disegni furono una richiesta dell’analista per riuscire a mettere in luce un inconscio criptato come quello dell’editore triestino. L’esistenza di Bazlen, letteralmente fusa ai libri, densa di appunti e riflessioni su di essi, aveva fatto diventare ipertrofica la sua capacità di scrivere, tanto da rendere la relazione scritta dei suoi sogni assolutamente inaccessibile alle lenti interpretative di Bernhard poiché, con un’abilità così raffinata del narrare, egli era perfettamente in grado di mascherare le ambiguità che l’inconscio poteva far emergere. Questo non era cosa da poco se si considera che fra i pazienti dell’analista tedesco vi erano campioni della cultura italiana come Federico Fellini, Natalia Ginzburg o Amelia Rosselli. D’altra parte, una forma espressiva inusuale per Bazlen come il disegno, diveniva la modalità pratica per mettere sotto scacco l’Io – che attraverso la scrittura mascherava l’Es - e rendere intellegibile l’inconscio grazie al fatto che nel disegno, il paziente, volente o nolente, non sarebbe stato in grado di filtrare e separare l’esprimibile dal censurabile. I sogni disegnati da Bazlen riportano sulla carta un mondo esoterico, colorato e a tratti inquietante, fatto di alcuni temi e figure ricorrenti: omini stilizzati e senza volto; l’abbozzo di un cinese con baffi sottili e lunghissimi; il tema dell’acqua, con tutto ciò che ad essa è legato, i pesci, le barche, le canne da pesca. Quale sia l’interpretazione di questi sogni fatti con gli acquarelli è tema per specialisti. Non importa questo. Ciò che importa è che Bazlen abbia accettato di trovare la strada per riconiugarsi con la saldezza del mondo, attraverso un atto creativo, attraverso la possibilità di immaginare, oggi sempre più raminga. In proposito una frase dell’editore vale per tutto quanto è stato scritto: «Un tempo si nasceva e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti – alcuni riescono a diventare a poco a poco vivi.»
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