Roma è il mondo

Nel cuore di un mondo frammentato, Roma conserva una centralità diplomatica che nasce dall’intreccio tra Stato italiano e Chiesa cattolica: due poteri contigui ma divergenti, la cui storica tensione potrebbe oggi trasformarsi in opportunità di convergenza geopolitica e culturale, restituendo alla città eterna un ruolo di snodo tra identità europee e sfide globali.

La Polonia decide il proprio futuro

Mentre il Primo Ministro polacco Donald Tusk va a Kiev per incontrare Zelensky, la Polonia si prepara per le elezioni presidenziali del 18 maggio, e sono molte le incognite sull’approccio che verrà adottato dal futuro Capo di Stato che ne uscirà, specialmente in termini di politica estera. Le formazioni storiche si scontrano mentre nuovi attori si aggirano nell’elettorato acquisendo sempre più popolarità, e anche in queste elezioni gli Stati Uniti si trovano tirati in mezzo più o meno indirettamente.

Il crepuscolo degli officianti

La ristrutturazione della burocrazia americana, l’acquisizione aggressiva degli interstizi culturali messa in moto dalla Tecnodestra sotto la seconda amministrazione Trump detta una linea che il resto della destra globale osserva con attenzione. È il primo contrattacco concreto rivolto contro le élites, ma nel lessico di quest’area le élites non sono quelle comunemente intese. Sono un ceto, la Professional-Managerial Class, il cui consenso culturale sembra destinato inesorabilmente al tramonto.

Il caso delle spie ungheresi

L’eliminazione della rete di spionaggio in Transcarpazia costruita dall’intelligence ungherese ha alimentato le tensioni con l’Ucraina, contribuendo ad incrinare un rapporto difficile, caratterizzato da profonde differenze culturali e rivalità geopolitiche.

L'editoriale

di Sebastiano Caputo

Le chiavi del tempo

Il Vaticano è una forza celeste che può spingersi laddove nessuna potenza di terra o di mare può farlo. È il privilegio di agire per conto di Dio, o meglio di essere depositari di un potere spirituale che consente ad ogni Pontefice di camminare sui fili ad alta tensione della storia senza dover rendere conto alle geometrie del consenso. Solo il Conclave ne è sigillo e profezia. Non esiste infatti calcolo geopolitico, strategico o ideologico a dettare le regole dell’elezione del Successore di Papa Francesco. La forza del mistero – avvolto da un rito millenario che avrà inizio il 7 maggio nella Cappella Sistina - sta proprio nella capacità di sparigliare qualsiasi pronostico o scenario.  Più che intravedere la continuità o la discontinuità di un Papato, o ancora la sfida tra “progressisti” e “conservatori”, occorre pertanto invertire le coordinate dello spazio e del tempo: cioè la capacità della Chiesa Cattolica di proiettarsi in una dimensione mai esplorata finora. Già da qualche anno, il Pontificato di Bergoglio aveva tracciato rotte inedite e “atemporali” di evangelizzazione: a partire dalle periferie del mondo fino ai confini dell’esistenza. Tutto questo attraverso le antiche e le nuove forme dell’infinito: dall’arte alla tecnologia. Un sentiero insidioso che unisce la bellezza universale e un deserto interstellare da attraversare senza paura. Il Cardinale José Tolentino de Mendonça, portoghese di Madeira cresciuto in Angola, già prefetto al Dicastero per la Cultura e poeta, la definirebbe una “teologia dell’immaginazione”. Se in questa fase storica è iniziata la competizione delle grandi potenze di terra e di mare nella conquista di “nuovi spazi” fisici e virtuali (dall’universo al sottosuolo), la nuova postura della Santa Sede invece potrebbe collocarsi in un’altra corsa: quella per il tempo. Quindi su tutt’altro terreno di gioco. In un mondo che corre velocissimo e si misura in Borsa, in megabyte, in chilometri quadrati. Una postura di lungo periodo che la stessa Cina, pur sfidando gli Stati Uniti per l’egemonia globale, conosce fin troppo bene e da tempi non sospetti. Si dice infatti che il go sia il gioco di strategia più antico al mondo e nasca proprio “nell’Impero di mezzo” circa 2.500 anni prima di Cristo. A differenza degli scacchi, lo scopo è quello di accerchiare l’avversario anziché buttarlo fuori dal goban (la scacchiera). Persino Henry Kissinger lo aveva ampiamente citato per comprendere il progresso strategico della Repubblica Popolare Cinese in politica estera. Da qui l’urgenza da parte della Santa Sede, in particolare tramite il Cardinale Pietro Parolin, di trovare un accordo provvisorio con le autorità di Pechino. Cioè sfidarle sul loro terreno. E forse, in vista del Conclave, è proprio verso Oriente che occorre guardare. Per competere col cosiddetto “secolo asiatico” serve un Pontefice che abbia tutto il tempo per attraversare il tempo.
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L’uomo e il silicio

Dall’invenzione del primo microprocessore al pensiero sulla coscienza, Federico Faggin incarna lo slancio geniale dell’innovazione italiana nel mondo. Fisico, pioniere del silicio e filosofo dell’informazione, ha trasformato l’elettronica e ridefinito il rapporto tra mente e macchina. Una vita tra Vicenza, la Silicon Valley e le profondità dell’essere, sempre con lo sguardo rivolto a ciò che viene dopo.

Prezzolini oltre la destra e la sinistra

Mentre la politica tende a frammentarsi in identitarismi e semplicificazioni, c’è chi cerca di riscoprire le radici del pensiero oltre le etichette e i formalismi. Giuseppe Prezzolini, in questo, è fondamentale per superare la rigidità della dicotomia destra-sinistra. Il suo pensiero conservatore, al di là degli stereotipi, non vuole essere semplicemente una delle tante “destre” ma un modo alternativo di intendere la realtà.

Dopo la globalizzazione

E se sotto il caos voluto del Presidente americano si celasse una certa chiarezza, dimostrata dalle ultime iniziative dell’Amministrazione, sulla metamorfosi indispensabile nella strategia e sul divario tecnologico americano che in un futuro più o meno prossimo possa garantire l’egemonia? La politica americana spasima di capire cosa avverrà dopo la globalizzazione classica. E il mondo con essa. Cercare di fare un bilancio di questi primi mesi di nuova amministrazione statunitense, dunque, non è solo utile, è anche fondamentale per capire dove andrà l'Italia.

Interviste

a cura di Francesco Subiaco

«Un cardinale asiatico eletto Papa, secondo alcuni osservatori, sarebbe più un problema per la Cina che non un’opportunità». L’intervista a Carlo Marroni.

A pochi giorni dal Conclave che eleggerà il successore di Papa Francesco, i media, i giornali, i talk, i social e i podcast sembrano essere vittima di una sorta di “Conclavemania”. Fatta di tormentoni, maratone, indiscrezioni, retroscena, leggende e scoop che ruotano intorno alla difficile ed enigmatica scelta del nome del futuro pontefice. Generando un clima a metà tra la mediatizzazione del Concilio vaticano II e le atmosfere dei lontani congressi della Democrazia Cristiana (in cui di giorno si discutono le encicliche e di notte si contano e pesano i voti) che sta accompagnando i giorni che ci separano dal Conclave. Per poter meglio inquadrare i principali nodi e moti del pontificato bergogliano e del futuro della Chiesa, al di là di una certa frenesia mediatica, abbiamo intervistato il giornalista e vaticanista Carlo Marroni. Giornalista del Sole 24 Ore, saggista, tra i più acuti osservatori delle principali dinamiche economiche e politiche internazionali. Marroni che fu tra i primissimi a valutare nel 2013 la possibilità dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio come successore di Benedetto XVI, in più occasioni si è rivelato come uno dei più lucidi interpreti delle dinamiche della Santa Sede oltre che un notevole esperto dell’attualità politica, economica e finanziaria. -Dottor Marroni nel 2013 lei è stato tra i primi a scorgere le possibilità dell'ascesa di Bergoglio come successore di Benedetto XVI. A pochi giorni dalla scomparsa del pontefice come valuta l'eredità bergogliana e lo stato della Chiesa che si prepara al Conclave? Il pontificato di Bergoglio ha certamente rappresentato una grande novità, se non per certi versi una rivoluzione, nella comunicazione della Chiesa nel mondo. L’elezione di Francesco, che è diventato Papa nel momento in cui dentro al mondo ecclesiastico (e soprattutto dentro la Curia romana) c'era una profonda crisi interna (fatta di guerre, dossieraggi e di altri problemi) ha rappresentato inoltre sin da subito tanto il tentativo di cercare una sintesi tra le varie anime del clero, quanto quello di guardare ad una maggiore apertura verso il mondo. Bergoglio è diventato, infatti, immediatamente una figura unificante con cui il mondo cattolico si è riconosciuto e con cui si è identificato poi anche parte del mondo laico e non credente. Ciò è stato possibile perché il pontefice ha inserito (userò un termine civile) nell' “agenda” della Chiesa temi che fino a quel momento erano stati sostanzialmente in secondo piano, nonostante fossero di grande attualità (come i migranti, la povertà, l'ecologia). Dimostrando sin da subito un forte impegno per cercare di includere allo stesso tempo segmenti sociali che la Chiesa teneva ai margini come gli omosessuali e le donne, pur non rompendo, però, con la dottrina tradizionale. Infatti, Francesco ha mantenuto salda la linea storica della Chiesa, su temi come il celibato dei sacerdoti, e ha confermato anche in maniera molto dura la forte condanna della Santa Sede all'aborto (se non in maniera anche più forte dei suoi predecessori). Si è trattato quindi di un pontificato che è stato segnato tanto da grandi innovazioni nella comunicazione e nella pastorale quanto di una forte riaffermazione dei principi fondamentali della Chiesa sotto il profilo dottrinario. Salvo piccole aperture, non senza significato, verso alcune categorie come i divorziati, i risposati o come le coppie omosessuali tramite la benedizione ad esse (anche se però ciò non rappresenta ovviamente un matrimonio). Si tratta, quindi, di un’eredità da cui sicuramente non si potrà tornare indietro su molti aspetti. E al di là di chi sarà il nuovo pontefice e di quale stile seguirà, io credo che seppure potranno esserci delle reinterpretazioni, non ci saranno sicuramente dei ripensamenti sui cosiddetti “temi sociali”. -Uno dei grandi temi del mandato di Bergoglio è stato proprio lo sguardo verso il sud globale, soprattutto verso l'Asia. Le volevo chiedere quindi quanto conterà la capacità di rinnovarsi e proiettarsi in maniera nuova e ancora di più verso l'Asia e il global south e specie verso la Cina nel nuovo corso della Chiesa?  Concordo sul fatto che Francesco si sia proiettato molto verso l'Asia e questo è anche una caratteristica tipica della sua formazione e impostazione da gesuita. Però al di là del fatto se il prossimo Papa sarà un gesuita o un bergogliano, credo che il sud globale sarà sicuramenti il grande il grande tema della Chiesa. In questo senso ritengo che nel futuro del mondo cattolico il peso di queste chiese (asiatica, africana, latino-americana) sarà sicuramente crescente anche perché in quei luoghi il cattolicesimo vive una forte affermazione. Specie tramite il crescente aumento del numero dei nuovi fedeli e dei nuovi sacerdoti, a differenza del nord del mondo dove tali numeri sono in caduta libera da alcuni, anzi da molti, anni... Si tratta però di processo che non si è ancora consolidato e deve ancora svilupparsi (e a mio avviso si tratterà di una maturazione lenta) e giungere ad un più efficace consolidamento e radicamento. In questo senso il fatto che ci siano messe molto partecipate in luoghi come, ad esempio, Timor-Est o zone di nuova evangelizzazione dove i cattolici ci sono anche se non sono tantissimi, non significa che tali comunità da domani saranno le protagoniste della vita della Chiesa. Anche perché comunque la vita della Chiesa è millenaria e quindi i processi al suo interno sono tendenzialmente e decisamente molto lunghi. La domanda, però è se a questo punto un nuovo Papa (e specialmente il prossimo) verrà da queste chiese. -A tal proposito di fronte a una composizione del conclave molto anomala rispetto al passato soprattutto perché ci sono tantissimi Papi e Cardinali che vengono dall'Asia, dall'America Latina e dall'Africa, volevo chiederle quanto la voce delle periferie esistenziali peseranno nel futuro nuovo corso della Chiesa? Specie nel Conclave? Quelle chiese hanno avuto una forte attenzione dal Papa tant'è che, non a caso, ha nominato molti Cardinali di quei luoghi nonostante ci siano rispetto ad altre aree del mondo molti meno fedeli. Ciò proprio perché Francesco voleva includere queste aree in quanto esse rappresentano non solo quelle comunità cattoliche, ma anche un mondo in sé, dentro il Sacro Collegio. La scelta di Francesco, pertanto, è quella di portare dentro il Conclave la voce di questi mondi, di queste “periferie esistenziali”, in forte ascesa. E difatti dei 135 Cardinali (che poi saranno 133 a votare perché 2 non si presenteranno per motivi di salute) la maggioranza di essi provengono dal Sud Globale. Un aspetto che conferma che queste chiese avranno una voce sicuramente importante anche in virtù della loro maggiore rappresentanza. È difficile dire però se il consenso generale dei Cardinali si proietterà verso uno di essi. Anche perché i cardinali votano una persona, non votano un'idea e non si vota neanche per “peso elettorale”. Del resto, non c’è una rappresentanza proporzionale quindi un cardinale italiano non pesa più di un Cardinale della Mongolia (seppure in Italia ci sono più cattolici), ma ognuno ha lo stesso peso. Tuttavia, ritengo che si capirà solo alla fine del Conclave ovviamente se dalle consultazioni che sono in corso tra i Cardinali e dalle cosiddette congregazioni generali, emergerà l'idea che la Chiesa deve puntare su questi mondi in crescita, convergendo pertanto verso un Cardinale asiatico o africano. Io credo che questo processo di apertura verso il sud globale sia in corso, anche se però non sono così sicuro che sia ancora maturo. Lo stesso Bergoglio, ad esempio, è vero che veniva “dalla fine del mondo” come disse lui, però allo stesso tempo incarnava un “mondo” molto ben conosciuto, cioè quello latino-americano, che è profondamente e storicamente cattolico. Oltre al fatto che Bergoglio era già un personaggio molto conosciuto anche nel precedente Conclave, dove ha preso 40 voti, quando fu eletto Benedetto XVI. Quindi diciamo che non è stata proprio una sorpresa. Oggi formulare una previsione su quanto peseranno le Chiese dell’Oriente, per esempio, se parliamo di Asia, è invece molto più difficile. Specie se consideriamo che su ciò peserà anche la “variabile Cina”. Roma, Marzo 2025. XXV Martedì di Dissipatio -Affrontiamo questa variabile. Anche perché una delle grandi evoluzioni che svolse Bergoglio fu proprio quello del riavvicinamento con la Cina e della questione della Chiesa in Cina. Quanto peserà la carta cinese, se vogliamo, in quello che è il nuovo corso della Chiesa e anche alla luce di quelli che sono stati gli accordi poi rilanciati nel 2018 e nel 2022?  Francesco e prima di lui Benedetto XVI, in modo diverso, avevano inaugurato il dialogo con la Cina, con cui i rapporti diplomatici sono interrotti dal 1951 e dove la Chiesa nel corso dei decenni è stata sostanzialmente perseguitata. Non tanto per questioni religiose quanto per questioni politiche, perché è stata vista dal governo cinese come uno stato estero - i cui agenti erano i membri del clero - che poteva svolgere dei condizionamenti e delle interferenze sulla politica cinese. Lo stesso Partito Comunista Cinese, del resto, ha avuto sempre una forte attenzione e sensibilità sulle potenziali interferenze estere, specie del clero. Ed anche per questo fu creata una “Chiesa ufficiale” fedele al regime chiamata l'Associazione Patriottica cattolica cinese, mentre i cattolici che si riconoscevano nel Papa di Roma, facevano parte della cosiddetta “Chiesa sotterranea”. Una bipartizione che è andata avanti per molti anni, fino a quando Benedetto XVI, con una lettera ai cattolici cinesi, scritta da Parolin, all'epoca un giovane monsignore già molto abile in questi rapporti diplomatici, avviò una fase di dialogo nel 2007. Il varco quindi si era aperto già con Benedetto e Bergoglio ha voluto assolutamente, proseguire il suo mandato dialogando con la Cina. Ed ha fatto di tutto perché ci fosse su questo processo un maggiore impegno ed avanzamento. Nel 2018 si arrivò all'accordo della nomina dei Vescovi della Chiesa ufficiale (un accordo segreto seppur il suo contenuto è in via generale conosciuto), condivisa con l'ultima parola che spetta a Roma, mentre fino ad allora il governo cinese nominava i Vescovi. Attualmente esiste un “accordo provvisorio” osteggiato sia dal fronte conservatore nel resto del mondo che da storici esponenti cinesi del clero che hanno subito nel tempo le persecuzioni di Pechino. Come sono contrari ad esso, nel panorama internazionale, gli Stati Uniti. Addirittura, lo fu la prima amministrazione Trump che mandò il suo segretario di Stato nel 2020, Mike Pompeo, a Roma per cercare di evitare che fosse rinnovato l'accordo nel 2020. Tale accordo però è stato rinnovato sia in quell’occasione che successivamente per quattro anni. Ciononostante, il rapporto con la Cina è comunque ancora molto difficile, e molto meno sviluppato di quanto si pensasse. Come si è visto con la morte di Francesco, dove la Cina ha mandato, dopo tre giorni, uno stringato comunicato di generiche condoglianze mostrandosi come l'unico Paese, credo al mondo, che non ha mandato un suo rappresentante al funerale. Ad esempio, Israele, che era con Bergoglio in rapporti molto difficili, ha comunque mandato un ambasciatore, mentre la Cina niente. Questo perché per la Cina il dialogo con la Santa Sede è un problema di politica interna, anche perché per qualsiasi esponente del Partito Comunista Cinese, a partire dallo stesso Supremo Capo Xi Jinping, le aperture verso la Chiesa Cattolica, sono viste con sospetto e quindi devono essere svolte con estrema attenzione e cautela. In questo senso, un cardinale asiatico che venisse eletto Papa, sarebbe comunque secondo alcuni osservatori più un problema per la Cina che non un'opportunità. Non so, infatti, quanto Pechino vedrebbe meglio un cardinale filippino o cingalese o indiano piuttosto che non un europeo. Anzi, secondo alcuni, potrebbe essere più complicato, anche alla luce delle varie e complesse rivalità che ci sono tra i paesi asiatici, una nomina di questo tipo. Quindi si tratta di una variabile, quella cinese, di cui i cardinali più accorti non potranno non tener conto. -Anche una figura, per esempio, come quella di un Tagle, ovvero anche di origine cinese e con una visione molto più bergogliana, crede che potrebbe avere difficoltà?  Secondo alcuni, l’origine cinese del cardinale Tagle (la cui madre è sino-filippina) non si presenta come un vero segno di distensione o un vantaggio a priori per Pechino. Anzi. Quindi ai fini di un dialogo Tagle non è considerato un cinese, ma è considerato sempre come un esterno. I rapporti in Asia sono sempre stati, del resto, molto complicati fra i diversi i paesi. In questo senso la sua elezione forse potrebbe non essere necessariamente una cosa buona per la Cina. Poi bisognerà vedere se il prossimo Papa avrà interessi nel proseguire i rapporti con la Cina, anche perché io non so se il cardinale Tagle, ad esempio potrà averne. Diciamo, quindi, che la variabile cinese è sicuramente un elemento importante laddove il Conclave scegliesse un asiatico. Anche se ciò potrebbe non essere necessariamente un bene nel rapporto con la Cina. -Che peso avranno gli americani? La componente americana peserà, certamente, perché si tratta di una voce estremamente importante nella Chiesa, anche se in questo momento con la variante Trump essa ha comunque una sua vita travagliata. Sappiamo che i cattolici in America hanno votato in maggioranza per Trump, e che alcuni vescovi e cardinali sono stati dei grandi sostenitori del trumpismo, nonostante in più di qualche caso tale rapporto si stia un po' raffreddando; quindi, avrà sicuramente un peso anche se, secondo me, meno di quanto ce l'ha avuto nella scorsa elezione. I cardinali americani erano, infatti, molto più compatti nel Conclave del 2013, in quanto erano tutti più o meno conservatori, ed hanno votato in maggioranza per Bergoglio. Questo non perché fossero bergogliani, ma per bloccare altre ipotesi più progressiste come quella di Scola. Anche se credo se ne siano probabilmente pentiti... Oggi la Chiesa americana si presenta, invece, al Conclave abbastanza spaccata. Una spaccatura di cui il principale artefice è proprio Bergoglio, perché ha nominato molti nuovi cardinali nordamericani a lui più vicini, delineando uno scenario in cui ci sono 4-5 cardinali di origine più bergogliana, nominati da lui, e 3 o 4 più storicamente identitari in linea con la tradizione più conservatrice del clero statunitense. Allo stesso tempo bisognerà vedere quanto questa Chiesa saprà trovarsi con un esponente di un cattolicesimo identitario e battagliero come J.D Vance dopo un difficile rapporto tra Stati Uniti e Santa Sede come quello degli anni di Bergoglio. Delle incognite che solo il futuro Papa potrà diradare dopo la sua elezione. -Tra Conclave-mania e spettacolarizzazione delle dispute vaticane, retroscena, dietrologia, indiscrezioni, che cosa sta sfuggendo all'opinione pubblica e alla stampa, della vera natura dell'attività della preparazione all'elezione del nuovo Papa?  Allora c'è un “Conclave mediatico”, che è quello che stiamo facendo anche noi in questo momento, in parte, e un “Conclave reale” che è quello che ci sarà durante gli scrutini. Come, del resto, c'era stato un Concilio Vaticano II mediatico, molto diverso da quello “reale”. Dove c'erano sui giornali, i candidati, le correnti, le interviste, ed a cui tutti partecipano e vogliono partecipare. Poi c'è quello vero. Quello che inizia quando i cardinali entrano nella Cappella Sistina, pronunciano il loro giuramento e si preparano a svolgere alle attività del Collegio. Certamente possiamo dare per scontato che la gran parte di loro crede a quello che dice, crede nei giuramenti e nelle promesse che fa. Ma nel momento in cui entrano in Conclave può capitare (e spesso è successo) che tutte queste sovra-costruzioni che ci stiamo facendo, a cui anche loro in parte partecipano, perché forse leggono i giornali, si vedono, e fanno degli incontri preliminari, finiscono. Ed ecco può capitare che a un certo punto le carte e le parti si rimescolino. Perciò io non credo che ci sia qualcosa che ci sta sfuggendo, se non il fatto che la vera variabile è che una volta entrati nel Conclave nessuno sa come andrà veramente. -Quali sono i veri nodi dell'affaire Becciu e perché sta avendo così tanta risonanza la sua assenza o meno al conclave in questa fase?  Il caso del cardinale Becciu sta avendo risonanza perché lui, con tutto il diritto che deve avere, ha sollevato il problema della sua partecipazione in una fase estremamente complessa come quella della successione di Francesco. Poi, successivamente, ha detto di no, ha rinunciato a qualsiasi, diciamo così, rivendicazione, capendo la situazione attuale. Sicuramente ciò deve essere avvenuto dopo che si è confrontato con qualcuno (alcuni dicono, e ciò sembra ottenere conferme, forse con Parolin), valutando di chiudere qui, tale questione. Anche nella convinzione che poi arriverà un nuovo Papa, che non è escluso che riapra il caso in cui è implicato. Quindi probabilmente il passo indietro del cardinale Angelo Becciu è anche un modo per chiudere una polemica che sarebbe stata una specie di vulnus dentro questo Conclave. Papa Francesco nel 2020 ha preso una decisione sul cardinale Becciu molto forte, e secondo molti, diciamo basata su informazioni parziali o almeno non complete. Tanto che sul fatto che lui avesse appunto commesso un reato sui beni della Chiesa - su cui è stato condannato durante il primo grado di processo di cinque anni e sei mesi e di cui a settembre ci sarà l'appello - ci sono state diverse perplessità. L'inchiesta che ha fatto luce su uno spaccato di gestione balorda, pessima, delle finanze vaticane, però ha mostrato che Becciu potrebbe essere, almeno da quello che ritengo, estraneo a questi fatti, seppure non abbia gestito al meglio tale situazione. Senza entrare nell’ambito processuale sta di fatto che il caso Becciu è stato la punta di una situazione creatasi di malagestione delle finanze vaticane, ben più ampia di quella in cui è stato implicato e di cui probabilmente lui ha fatto le spese anche per gli altri. Io credo però che il prossimo Papa ritornerà su questi temi, riaprendo questo caso in un momento di maggiore tranquillità istituzionale. Staremo a vedere con quale esito.
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Interviste

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«Un cardinale asiatico eletto Papa, secondo alcuni osservatori, sarebbe più un problema per la Cina che non un’opportunità». L’intervista a Carlo Marroni.

Abbiamo intervistato il giornalista e vaticanista Carlo Marroni. Editorialista del Sole 24 Ore, saggista, tra i più acuti osservatori delle principali dinamiche economiche e politiche internazionali. Marroni che fu tra i primissimi a valutare nel 2013 la possibilità dell’elezione di Jorge Mario Bergoglio come successore di Benedetto XVI, in più occasioni si è rivelato come uno dei più lucidi interpreti delle dinamiche della Santa Sede oltre che un notevole esperto dell’attualità politica, economica e finanziaria.
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«Il blackout spagnolo ha evidenziato la profonda vulnerabilità che può presentare un sistema quando è troppo sbilanciato in favore delle rinnovabili». Gianclaudio Torlizzi sulla sicurezza energetica

«Pensiamo alla differenza del modello spagnolo con quello italiano. Il modello italiano, infatti, sebbene abbia portato avanti un sistema meno performante dal punto di vista dei prezzi si presenta però sicuramente più tutelante, per la sicurezza energetica. Tale evento deve quindi portarci a delle riflessioni sia sul piano italiano che su quello europeo.»
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«L’Europa ignora l’unico collante che le permetterebbe di sentirsi parte di una civiltà comune: il suo patrimonio culturale millenario.» Il futuro della tecnodestra con Vincenzo Sofo

Vincenzo Sofo, già eurodeputato, agitatore culturale, ed attualmente consigliere del ministro della cultura Giuli, non ha dubbi sul significato che vuole dare alla "tecnodestra" e che aldilà di entusiasmi avveniristici e demonizzazioni ha indagato ed enunciato nel suo saggio "Tecnodestra. L'Europa politica nell'era Musk" (Paesi edizioni). Un testo in cui Sofo rilegge le evoluzioni delle destre europee di fronte alle sfide della storia - dalla crisi del 2008 alla ritirata della globalizzazione fino al rapporto col trumpismo - cercando di affrontare un tema su tutti: il futuro e la possibilità di una tecnocrazia di destra per l'Europa.
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«La vera differenza strutturale è tra coloro che conoscono e coloro che sono ignoranti». La società del XXI secolo secondo Giuliano Noci

Stiamo regredendo per nasconderci di fronte alla complessità del mondo? O stiamo livellando il piano per l'arrivo delle macchine, che, forse, non saremo in grado di dominare? Per rispondere a queste e ad altre domande abbiamo interpellato Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano, membro del Comitato della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la definizione delle strategie nazionali per l’intelligenza artificiale, ed editorialista de Il Sole 24 ORE.
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«Per gli Stati Uniti questa potrebbe essere l’ultima possibilità di ridefinire un nuovo assetto globale da protagonisti.» Cesare Pozzi e il cambio d’epoca in atto

«Facendo riferimento all’arte della politica di Machiavelli capire e gestire l’attuale cambio d’epoca è la cosa che va fatta. Se siamo in mezzo al guado e la Meloni è in mezzo al guado, diviene fondamentale non sottovalutare quanto nella gestione di questo cambiamento si debba migliorare la capacità italiana di proporsi come interlocutore che ha delle carte da giocare. Quindi credo vada molto bene parlare e dialogare con tutti, non fare una scelta di campo, perché per il nostro Stato ora non avrebbe senso.»
«Per gli Stati Uniti questa potrebbe essere l’ultima possibilità di ridefinire un nuovo assetto globale da protagonisti.» Cesare Pozzi e il cambio d’epoca in atto

Confessioni

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Umberto Pizzi

Francesco Latilla e Francesco Subiaco dialogano con il Petronio della Roma Cafonal che ha fotografato l'Italia e gli italiani per cinquant'anni: lo abbiamo raggiunto nella sua casa-archivio tra le campagne di Zagarolo.
Umberto Pizzi

Le Grandi firme

di Enrico Raugi

L’atto creativo come cura

I solchi disegnati sulla sabbia con un ramoscello, i mandala riempiti con tinte colorate, un quadro che a mano a mano viene costellato di dettagli; sono modalità esecutive riconducibili su, un piano immediato, alla libera espressione. Ciò è assolutamente vero per la maggior parte di noi anche se, alla luce della psicoanalisi, questa definizione si dimostra parziale. Alla stregua dei gesti inconsulti, delle libere associazioni o di parole decontestualizzate, il disegno può essere considerato una mappa per far emergere e interpretare l’inconscio. Nella seduta psicoanalitica l’inconscio si può quindi manifestare non solo con la parola, verbale o scritta, ma pure con un atto creativo. L’atto creativo porta con sé implicazioni di natura filosofica. Esso, più della creazione che ne sarà conseguenza, permette al soggetto – all’Io – di instaurare un rapporto con ciò che è esterno alla mente, di essere parte agente, dialetticamente, con la realtà del mondo. Così il soggetto si riconosce vivo. Se ci rifacciamo all’interpretazione che del presente da Byung-Chul Han - il filosofo del superamento della biopolitica foucaultiana - apprendiamo come l’essere umano stia, a poco a poco, abbandonando gli elementi che lo uniscono al reale. «Nella nostra cultura dell’eccitazione post-fattuale, la comunicazione è dominata da impulsi ed emozioni forti, che al contrario della razionalità sono poco persistenti in termini temporali. Per cui destabilizzano la vita. Anche la fiducia, le promesse e le responsabilità sono prassi impegnative, che si estendono oltre il presente giungendo al futuro. Tutto ciò che stabilizza la vita umana è impegnativo.» (B. C. Han, Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale, Torino, Einaudi, 2023, p. 10) Le storie su Instagram durano ventiquattr'ore, gli aggiornamenti sulla politica estera delle pagine Telegram avvengono ogni pochi minuti, i messaggi dai gruppi Whatsapp arrivano ogni pochi secondi. L’inafferrabile è la cifra del presente. La conoscenza è degradata ad informazione. Quasi niente del mondo virtuale di social e cloud può essere facilmente ancorato a terra per essere elaborato e fissato; le informazioni sfuggono di mano come l’acqua o il vento. L’odierno capitalismo dell’immateriale dissocia l’Io dal mondo, piegandolo a mero esecutore di una prestazione continua. Quest’ultima ha due caratteristiche: la bulimia e la rappresentazione egocentrica di sé stessi. Entrambe, spesso, agiscono in sinergia all’interno di una miriade di azioni. Nella natura del soggetto di prestazione il dover dimostrare agli altri la sua capacità di avere o fare è intimamente legata all’angoscia di sentirsi continuamente confermato come parte di una qualche comunità; esso abbandona fiero una parte della sua personalità per adeguarsi al senso comune di essa. Il prezzo di non venire riconosciuti come pari è più alto di quello di sentirsi liberi di agire secondo le proprie inclinazioni. Per Han i disturbi mentali proliferati da questo stato della contemporaneità sono il burnout, la sindrome da deficit dell’attenzione e iperattività, oltre all’aumento dei casi di depressione. Chi vive per dare una prestazione si esaurisce, si scava dentro pur di mostrarsi, intrattiene un rapporto con gli altri non per crescere e maturare ma per gareggiare, rifugge sé stesso per le opinioni esterne; difatti, per il filosofo «il depresso è privo di forma, è amorfo. È un uomo senza carattere». Per riuscire, pian piano, a chiudere il cerchio e tornare ai disegni della psicoanalisi è necessario fare riferimento al concetto di «sé creativo», elaborato da Donald Winnicott. L’«oggetto transizionale» - il postulato teorico più noto dello psicanalista britannico – è un oggetto concreto, una coperta o un orsetto di pezza, che il bambino usa come ponte per sganciarsi dallo stadio di egocentrismo radicale in cui ritiene che tutto ciò che percepisce dell’esterno sia una proiezione della propria mente, riuscendo nell’arduo compito di riconoscere che la madre e ciò che sta fuori non sono pura soggettività ma realtà oggettiva, condivisa. La creatività del bambino si manifesta in un momento successivo; secondo Winnicott, il sé creativo rappresenta l'espressione autentica e spontanea dell'individuo, in contrasto con il falso sé, che si sviluppa come adattamento, autoimposto e coatto, alle aspettative esterne. Il sé creativo è chiamato anche appercezione termine con cui si indica l’atto riflessivo con cui l’individuo diviene consapevole delle sue percezioni: il bambino ha uno sviluppo positivo in questo senso quando i genitori riconoscono i suoi sforzi e lui stesso si sente gratificato dall’attenzione che i genitori mostrano nei suoi confronti. Diversamente il falso sé o compiacenza – il desiderio di far cosa gradita agli altri, anche se non del tutto sinceramente - si genera quando il bambino è costretto a rinunciare alla propria spontaneità per suscitare l’attenzione dei genitori o in un contesto educativo fatto di regole troppo restrittive. Infatti: «È l’appercezione creativa, più di ogni altra cosa, che fa sì che l’individuo abbia l’impressione che la vita valga la pena di essere vissuta. In contrasto con ciò vi è un tipo di rapporto con la realtà esterna che è di compiacenza, per cui il mondo ed i suoi dettagli vengono riconosciuti solamente come qualcosa in cui ci si deve inserire o che richiede un adattamento. La compiacenza porta con sé un senso di futilità per l’individuo e si associa all’idea che niente sia importante […].» (D. W. Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore, Roma, 1974, p. 119.) Roma, Gennaio 2025. XXIII Martedì di Dissipatio È questa la fase dello sviluppo emotivo del bambino dove si sviluppano simboli, arte, cultura e creatività. Questo spazio è lo stesso in cui, crescendo, l’individuo può continuare ad esprimere la propria autenticità attraverso attività artistiche, intellettuali o anche semplicemente vivendo a modo suo. In una riflessione di carattere più globale e transgenerazionale, sostiene ancora Winnicott che: «Una creazione può essere un quadro o una casa o un giardino o un costume o un modo di pettinarsi o una sinfonia o una scultura; qualunque cosa a partire da un pranzo cucinato in casa. […] La creatività di cui mi occupo io qui, è universale. Appartiene al fatto di essere vivi.» (D. W. Winnicott, Gioco e realtà, cit., p. 123) Han, per parte sua, interpretando l’oggi, capovolge così il costrutto dell’oggetto transizionale: «Gli oggetti transizionali promuovono una relazione con l’Altro. Con lo smartphone intratteniamo, di contro, una relazione narcisistica. Esso reca molte analogie coi cosiddetti «oggetti autistici» […]. Agli oggetti autistici manca la dimensione dell’Altro. Non stimolano nemmeno la fantasia. Con loro si instaura un rapporto ripetitivo, non creativo. È proprio la ripetizione, la coazione a caratterizzare la relazione con lo smartphone.» (B. C. Han, Le non cose, cit., p. 32.) Alla luce di questa digressione risulta chiaro che l’atto creativo non è solo una forma di sviluppo evolutivo necessaria al bambino per accedere a uno stadio cognitivo più maturo, ma è un qualcosa che deve essere protetto e costudito nel tempo dell’età adulta, minacciato dall’appiattimento della fantasia proprio della ripetitività del mondo virtuale con cui giorno per giorno ci confrontiamo. L’atto creativo dimostra la volontà dell’individuo di voler restare unito al mondo, una solidità che impedisce di crollare nella labilità psicologica. In proposito, un esempio certo elitario quanto significativamente paradigmatico è dato dal ciclo di disegni che Roberto Bazlen, umbratile fondatore dell’Adelphi, ha elaborato per le sue sedute di psicanalisi con Ernst Bernhard. I disegni furono una richiesta dell’analista per riuscire a mettere in luce un inconscio criptato come quello dell’editore triestino. L’esistenza di Bazlen, letteralmente fusa ai libri, densa di appunti e riflessioni su di essi, aveva fatto diventare ipertrofica la sua capacità di scrivere, tanto da rendere la relazione scritta dei suoi sogni assolutamente inaccessibile alle lenti interpretative di Bernhard poiché, con un’abilità così raffinata del narrare, egli era perfettamente in grado di mascherare le ambiguità che l’inconscio poteva far emergere. Questo non era cosa da poco se si considera che fra i pazienti dell’analista tedesco vi erano campioni della cultura italiana come Federico Fellini, Natalia Ginzburg o Amelia Rosselli. D’altra parte, una forma espressiva inusuale per Bazlen come il disegno, diveniva la modalità pratica per mettere sotto scacco l’Io – che attraverso la scrittura mascherava l’Es - e rendere intellegibile l’inconscio grazie al fatto che nel disegno, il paziente, volente o nolente, non sarebbe stato in grado di filtrare e separare l’esprimibile dal censurabile. I sogni disegnati da Bazlen riportano sulla carta un mondo esoterico, colorato e a tratti inquietante, fatto di alcuni temi e figure ricorrenti: omini stilizzati e senza volto; l’abbozzo di un cinese con baffi sottili e lunghissimi; il tema dell’acqua, con tutto ciò che ad essa è legato, i pesci, le barche, le canne da pesca. Quale sia l’interpretazione di questi sogni fatti con gli acquarelli è tema per specialisti. Non importa questo. Ciò che importa è che Bazlen abbia accettato di trovare la strada per riconiugarsi con la saldezza del mondo, attraverso un atto creativo, attraverso la possibilità di immaginare, oggi sempre più raminga. In proposito una frase dell’editore vale per tutto quanto è stato scritto: «Un tempo si nasceva e a poco a poco si moriva. Ora si nasce morti – alcuni riescono a diventare a poco a poco vivi.»
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