OGGETTO: Il tuo telefono serve a fare la guerra
DATA: 09 Ottobre 2023
SEZIONE: Tecnologia
FORMATO: Scenari
Il cyberspazio è uno dei fronti della battaglia cognitiva già in corso. Imparare a difendere le proprie menti è imperativo se non si vuole scoprire il fianco alle conquiste nemiche.
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Le app che scarichi sul telefono sono sempre più un sentiero privilegiato verso la tua mente, e proprio la tua mente, esattamente come è successo per lo spazio e per il cyberspazio, è oggi a tutti gli effetti uno dei principali domini della dimensione bellica, al pari di mari, cieli, e terre emerse. È proprio per questo motivo che i maggiori media stanno suggerendo ai cittadini italiani di disinstallare l’app cinese Temu: la privacy del singolo cittadino o la sua personale sicurezza informatica c’entrano in maniera marginale. Qui il punto è il nuovo modo – multidominio – di farsi la guerra, e notizie come questa, o come la richiesta dei governi di mezzo mondo occidentale di rimuovere TikTok dai dispositivi con accessi governativi, non potranno che diventare sempre più frequenti nei mesi che seguono.

Tutto questo per un motivo ben preciso: la guerra non è più uno scontro che si combatte unicamente fra i cieli, sui mari e nei diversi continenti del globo. Alla guerra, oggi, bisogna aggiungere ben tre nuovi domini: lo spazio, il cyberspazio e le nostre menti. A dirlo non è qualche commentatore di quart’ordine con la passione per i romanzi distopici, bensì la stessa letteratura scientifica dell’apparato militare occidentale. Qualche mese fa – ad esempio – è apparso su difesa.it un documento dello Stato Maggiore, una settantina di pagine che comprendono una nutritissima bibliografia scientifica, e che sono accessibili a chiunque digiti Cognitive Warfare: la competizione nella dimensione cognitiva su Google. Scritto così sembra qualcosa di innocuo, un po’ per l’inglese che silenzia quasi del tutto alcune suggestioni ancestrali radicate nel subconscio dell’uomo, un po’ perché competizione nella dimensione cognitiva è un sottotitolo così tiepido e tecnicistico da destare le attenzioni solo di chi è sufficientemente abituato a queste tematiche. Perché dunque dargli rilevanza? Perché questo documento certifica attraverso l’interesse esplicito della Difesa quella che a tutti gli effetti sta diventando una delle battaglie geopolitiche più rilevanti di questo millennio, quella che possiamo definire la battaglia per le nostre menti.

In realtà chi si occupa di propaganda politica o di marketing (che è la tecnica della propaganda applicata al mercato) lo sa da un pezzo: la battaglia per il consenso è uno scontro fra significati, paradigmi, percezioni e narrative che si svolge su un terreno di scontro preciso, la mente delle persone.

Nell’ambito del marketing lo si sa almeno da quando Robert Collier pubblicò il suo Letter Book, nel quale affermava come il compito di ogni uomo di pubblicità fosse penetrare nel dialogo in corso all’interno della mente delle persone. Sul fronte militare è invece almeno dalla prima guerra mondiale che gli ufficiali e i Ministeri della Guerra conoscono il potere delle informazioni che alloggiano nelle menti dei popoli, indipendentemente dal loro essere connazionali, stranieri, o nemici. Nel suo Propaganda e Potere, il capo della radio nazista e vice di Joseph Goebbels, Eugene Hadamovsky, mette in chiaro le cose sin dal primo capitolo: l’azione nasce dal pensiero, e il pensiero dalla parola. Per orientare le azioni delle collettività occorre quindi dominarne il linguaggio e le sedi dove esso viene diffuso, obiettivo che si può raggiungere unicamente conquistando la roccaforte che oggi definiamo opinione pubblica. Lo stesso Hadamovsky metteva in guardia, prima della presa del potere del nazionalsocialismo tedesco nel 1933, su come tutto questo fosse di vitale importanza: «Esempi storici e contemporanei mostrano che i mezzi dell’opinione pubblica possono mettere in pericolo o distruggere l’unità nazionale se usati impropriamente o controllati dal nemico».

Se le parole e le informazioni che circolano hanno un impatto importante sull’azione degli individui perché danno forma agli ecosistemi di paradigmi, credenze e pensieri da cui l’azione prende vita, è almeno dal primo conflitto mondiale che l’opinione delle persone è divenuta un campo di battaglia a tutti gli effetti, senza nulla da invidiare alla Somme o alle Alpi Orientali. Tuttavia, prima che la Storia venisse risvegliata dagli scontri in Ucraina, le urgenze degli Stati non erano solite attirare le attenzioni dell’opinione pubblica sull’origine delle app che utilizziamo quotidianamente, né tantomeno su chi ne detenga le chiavi algoritmiche. Erano argomenti che esistevano, certo, ma ancora dovevano sfondare il muro della quotidianità mediatica. Perché quindi oggi ci si interessa tanto di come funzionino social media a trazione cinese come TikTok o di cosa faccia realmente un’app come Temu con i dati a cui ottiene accesso? Crediamo che il fulcro del discorso non sia la privacy del cittadino, spauracchio tirato fuori a comando, bensì il nuovo modo multidominio di farsi la guerra.

Quando si tratta del contesto operativo in multidominio si parla un sistema complesso in evoluzione continua. Qui, i vari domini (terrestre, marittimo, aereo, spaziale, cibernetico), le diverse dimensioni degli effetti (fisica, virtuale, cognitiva), i sistemi (politico, militare, economico, sociale, informativo ed infrastrutturale) e gli ambienti (informativo ed elettromagnetico) sono interconnessi, creando un vero e proprio sistema di sistemi in cui la cosiddetta competizione nella dimensione cognitiva (Cognitive Warfare) diventa sempre più rilevante. Questa competizione mira a influenzare ideologie, valori e società attraverso mezzi di comunicazione avanzati e tecnologie emergenti, inclusa l’attenzione crescente alle neuroscienze e alle loro applicazioni.

Se però comprendere come lo spazio e il cyberspazio abbiano un ruolo fondamentale nei conflitti armati moderni è relativamente semplice, capire invece come sia possibile che la mente umana sia a tutti gli effetti considerata una zona di guerra da difendere e da espugnare è un po’ più complesso. A chiarirci le idee ci pensa proprio lo Stato Maggiore della Difesa: «La capacità di generare effetti sfruttando i limiti e le vulnerabilità della mente umana per influenzare e, potenzialmente, manipolare il comportamento umano costituisce, quindi, una nuova frontiera di competizione per il perseguimento del vantaggio strategico, con minaccia diretta alla stessa Sicurezza Nazionale», scrive lo stesso il Capo di Stato Maggiore Giuseppe Cavo Dragone. In altre parole: la Nazione deve imparare a tutelarsi e difendersi da chi tenta di mettere le mani sulle menti dei suoi cittadini.

Per farlo, le vie sono sostanzialmente tre:

1. Influenza. Ovvero l’insieme di strumenti e metodi utilizzati per influenzare il pensiero umano, agendo al di fuori della mente umana e sfruttando i processi cognitivi di interpretazione delle informazioni, i bias personali e i contesti culturali. Questi strumenti operano principalmente attraverso la dimensione digitale e le reti sociali, utilizzando tecnologie interattive per sviluppare strategie di disinformazione a breve-medio termine al fine di orientare, dividere, polarizzare, sovvertire e radicalizzare l’opinione pubblica. In prospettiva, potrebbero essere utilizzate anche strategie a lungo termine per influenzare credenze, costumi e abitudini di specifiche audience.

2. Interferenza. Ovvero tutto ciò che riguarda strumenti e tecnologie che agiscono direttamente sul cervello umano, impattando sulle sue dinamiche fisiologiche e biochimiche per alterare il processo cognitivo. Questi strumenti possono essere utilizzati sia per migliorare (enhancement) che per degradare specifiche funzioni o capacità cerebrali. Questa categoria comprende anche principi attivi in farmaci, sostanze stupefacenti, alimenti, impulsi elettrici e onde elettromagnetiche che inuenzano i processi cognitivi.

3. Alterazione. L’alterazione riguarda gli strumenti e le tecnologie che consentono l’interazione tra il cervello umano e le macchine attraverso interfacce più o meno invasive. Queste tecnologie possono essere utilizzate per potenziare in modo significativo le capacità della mente umana (augmentation) con l’ausilio di contributi esterni. Tuttavia, queste stesse vulnerabilità potrebbero essere sfruttate in modo offensivo per diminuire le capacità dell’avversario. Questo comprende tecnologie che vanno dalla realtà virtuale/aumentata alle interfacce cervello-macchina (Brain Computer Interface-BCI) e cervello-cervello (Brain-to-Brain Interface-B2BI).

In questo senso, il problema militare è lampante. La competizione cognitiva rappresenta una sfida globale con potenziali impatti significativi sulla sicurezza nazionale e sulla stabilità internazionale. Diventa così cruciale coinvolgere – apertamente o meno – l’intera società nella risposta e questo passa anche dalle scorciatoie alle menti dei propri cittadini che si concedono al nemico. Uno Stato che abbia compreso la rilevanza, presente e futura, della competizione cognitiva, non può permettersi di lasciare, a chi percepisce come una minaccia, degli strumenti di accesso e studio privilegiato alla mente dei suoi cittadini: si tratta della sede principale di significati, paradigmi, percezioni e narrative che costituiscono un territorio di conquista di un valore inestimabile.

E i nostri telefoni che tanto ingenuamente chiamiamo smart (che in inglese significa intelligente, ma anche furbo) altro non sono che una scorciatoia per questi territori. App con origini poste al di fuori di ciò che viene percepito come quella fetta di mondo a noi alleata saranno sempre più investigate in ogni riga di codice, e ogni volta che, come nel caso di Temu, sorgeranno dubbi sulle attività palesi o nascoste degli algoritmi, dovremo aspettarci di vedersi inasprire la battaglia. Perché con la scusa di un prodotto ad un prezzo irrisorio, o di un algoritmo profilatore molto efficace, si rischia di scoprire il fianco e fornire accesso ad una delle risorse più importanti che ogni Stato abbia: il proprio fronte interno.

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