Poche persone riescono a intravedere quel sottile filo rosso che unisce la stampa a caratteri mobili di Gutenberg alla creatura del misterioso Satoshi Nakamoto, quella figura probabilmente inventata per esigenze di sicurezza (o di spettacolarizzazione?) a cui riconduciamo la paternità di Bitcoin. Eppure entrambi questi avvenimenti sono attacchi al potere devastanti. Per due motivi. In primis, la capacità condivisa di riconoscere spazi di manovra potenzialmente letali ma sufficientemente indifesi dallo status quo (la stampa della Bibbia nelle lingue volgari il primo, la disintermediazione delle transazioni digitali il secondo); in secundis, la troppa libertà d’azione concessa a chi ha scommesso su orizzonti di lungo periodo, orizzonti oggi totalmente invisibili ai nostri contemporanei.
Figli imbastarditi della società dello spettacolo evoluta a reel, per noi il movimento della Storia è ciò che è eclatante, che è immediatamente riconoscibile come grande avvenimento, il notiziabile. O l’instagrammabile. Sopravvalutiamo lo spettacolo che va in scena ogni giorno, come se ciò che fa rumore abbia necessariamente un peso, mentre sottovalutiamo completamente quei movimenti silenziosi che si rendono visibili solo nel corso dei decenni. Ma sono i movimenti lenti e inesorabili a cambiare la faccia del pianeta. Geologicamente e umanamente.
Rick Falkvinge è a modo suo figlio di questa lunga tradizione di attacchi efficaci al potere. È un pirata, anzi è uno dei notabili fra pirati, avendo lui fondato il primo Partito Pirata al mondo. Dopo aver scagliato un’offensiva a suo modo efficace contro la repressione digitale ai tempi di Pirate Bay e dei Torrent, Falkvinge oggi è una di quei pochi pragmatici che riesce a dare una prospettiva intellettuale all’avvenire tecnologico, tentando di incanalarlo in una lotta più sensata e più etica, quella per l’autodeterminazione dell’essere umano. Dopo anni di silenzio sui media italiani, oggi ci racconta molte cose, dall’irrilevanza dei 5 Stelle fra i fronti ribelli d’Europa (mai realmente coperti dall’informazione in lingua straniera), alla totale inadeguatezza delle istituzioni del vecchio continente nei confronti dei giri di boa tecnologici che siamo chiamati a vivere.
–Dall’epoca d’oro degli sciami del Partito Pirata è ormai passato un decennio. Internet, oggi, è uno spazio molto meno libero rispetto a quello che era dieci anni fa: il potere, forse un po’ in ritardo, si è accorto dell’esistenza della rete ed ha deciso di intervenire serrando i ranghi. Quanto c’è di ancora rilevante e attuale fra i principi che animarono quell’esperienza?
Io credo che chi detiene il potere si sia sempre opposto in qualche modo alla rete, e se l’ultimo decennio ha cambiato la portata di questa opposizione, non ne ha cambiato di certo la natura. Il potere si oppone a Internet almeno da quando i protocolli TCP/IP hanno sfidato l’architettura dei protocolli X.25, preferita di gran lunga dall’industria delle telecomunicazioni, un’architettura del web che prevedeva una supervisione governativa obbligatoria e concedeva intercettazioni (“intercettazioni legali“, come le chiamano loro). All’inizio degli anni ’90, il modello TCP/IP vinsero, imponendosi come tecnologia diffusa intorno al 1995. Nello stesso periodo, ci furono attacchi politici potenti contro qualsiasi tipo di crittografia forte che, anziché rimanere una tecnologia disponibile solo per i governi, venisse resa disponibile anche alle masse: questa lotta venne alla fine vinta dai cittadini, grazie soprattutto al lavoro di Phil Zimmermann e al suo progetto di crittografia PGP, che è ancora in circolazione ed è una pietra miliare per la posta elettronica sicura di oggi (la mia stessa posta elettronica è firmata con lo standard da lui creato).
In un certo senso, anche questa non è stata una novità. Il gioco politico intorno all’arrivo di Internet, e alla possibilità per un numero molto maggiore di persone di trasmettere e diffondere le proprie opinioni e idee, è facilmente assimilabile agli eventi politici tra il 1450 e il 1550, quando la stampa fece il suo ingresso sulla scena sfidando il monopolio dell’informazione precedentemente detenuto dalla Chiesa cattolica. La tecnologia è nuova, il gioco politico no. Direi che quelle che chiamiamo “guerre di religione” – un vero e proprio secolo di guerra civile – non furono tanto causate da Lutero o dalle sue 95 Tesi, quanto piuttosto dalle Bibbie di Lutero stampate prima in tedesco volgare, poi successivamente tradotte anche in francese, italiano e altro ancora, rompendo la morsa sull’informazione (in latino!) che fino a quel momento era stata strettamente detenuta dalla Chiesa cattolica e dalla nobiltà. Quando la gente comune ha la capacità e la faccia tosta di verificare le affermazioni del potere, e comunica tra loro i risultati di questo studio, il potere adotta misure sempre più draconiane per ripristinare quello che considerano il loro compito divino di educazione del volgo. È ciò che è accaduto allora e che sta accadendo oggi.
–Il Partito Pirata in Svezia, in Germania e in U.E., i 5 Stelle in Italia, la Brexit, l’elezione di Trump… per molti sono espressioni diverse di un fronte unitario anti-sistema. Tu che affinità e divergenze ci vedi?
Capisco che alcuni vedano questi movimenti come un fronte unitario, ma non è così unito come sembrerebbe a prima vista. Sono tutti – più o meno – una reazione ai ritmi con cui la società sta cambiando oggi. Secondo il mio punto di vista, i sostenitori di Trump si oppongono ad un cambiamento troppo rapido imposto dalle élite alla società, che ad esempio punta a smantellare dei settori economici che sono stati cardine per le comunità per generazioni, senza essere però disposti a fare sacrifici personali in linea con quelli richiesti alla popolazione. (Mi vengono in mente le persone che viaggiano su jet privati per partecipare a conferenze per la riduzione della CO2). Al contrario, i partiti pirata d’Europa erano una reazione all’azione troppo lenta dei governi: chiedevano che le figure al comando accettassero i cambiamenti già avvenuti nella società, e che smettessero di tentare di rallentare l’inesorabile scorrere del tempo a suon di leggi. Uno sforzo inutile come l’ordine con cui Re Canuto il Grande chiedeva alle maree dell’oceano di fermare il loro corso. Se esistono quindi alcune somiglianze in termini di ciò che si aggredisce, vi sono però anche grandi differenze per quanto riguarda ciò che si vuole difendere.
–Per quale motivo, secondo te, il Partito Pirata non è mai riuscito a diventare realmente dominante nel panorama europeo?
Il nostro obiettivo non è mai stato quello di diventare il partito dominante per tutti gli aspetti della della vita quotidiana e del governo nazionale, o comunque non era il mio obiettivo quando ho fondato il partito. Non ne avevamo bisogno. Il Partito Pirata è nato dalla frustrazione per la mancata comprensione di Internet da parte dei politici che non comprendevano ne il web, ne il modo in cui questo stava drasticamente ridisegnando la società e il potere. Abbiamo quindi deciso di portare queste istanze in Parlamento in prima persona.
Se ci siamo riusciti è stato perché abbiamo capito una cosa: come si suol dire, il primo obiettivo di un politico professionista è quello di essere eletto, il secondo è quello di essere rieletto mentre il terzo obiettivo è così lontano che non ha mai reale importanza. Alla fine dei conti, l’unica cosa che ha funzionato e ci ha permesso portare attenzione su questi problemi è stata proprio iniziare a fare concorrenza ai politici nel loro stesso mercato del lavoro. Ahimè, è l’unica cosa di cui si preoccupano davvero, e devo dire che questa strategia ha avuto il suo successo, dal momento che siamo al nostro terzo mandato al Parlamento europeo. Siamo riusciti a portare la comprensione di questi nuovi elementi nelle aule dove i lobbisti di un tempo non sono ammessi, e l’abbiamo fatto in prima persona.
Il Partito Pirata non doveva diventare un partito dominante, doveva solo portare la comprensione reale del web laddove tale comprensione non era ancora presente. Dove questa comprensione manca, i decisori politici sono vulnerabili alle lusinghe di chi è in carica da tempo, e cerca unicamente di cementificare la propria posizione a suon di legge, quando invece dovrebbe solo accettare che il tempo passa e le cose cambiano. Ci sono ancora uffici politici in cui questa comprensione è assolutamente necessaria, ma la comprensione dei vantaggi delle moderne tecnologie offerte dalla rete fa ormai parte del processo decisionale, almeno ad un livello europeo.
–Come si gestisce il dissenso interno in un partito che si definisce “pirata” e si basa sulla più pura libertà individuale?
Almeno in Svezia, e per quanto ne so anche negli altri stati in cui siamo presenti, diamo valore alla libertà di parola e di iniziativa. Se qualcuno ha delle critiche, è libero – anzi, è incoraggiato – a condividerle. Allo stesso tempo, nessuno è protetto da chi confuta tali critiche, e questo viene solitamente gestito in pagine aperte dove il mondo intero può seguire le conversazioni in tempo reale.
In effetti, è così che abbiamo superato diverse crisi che sono state evidenziate dai media tradizionali: grazie alla completa trasparenza su ciò che era effettivamente avvenuto, tutti hanno potuto verificare i fatti, senza gossip e senza creare nessuna ostilità indebita. Le cose di solito si risolvevano in meno di 24 ore, poiché davamo un accesso diretto alle fonti all’opinione pubblica e questa poteva verificare in prima persona, invece di doversi fidare di fonti di seconda mano.
–Mentre tu e i primi pirati svedesi ottenevate i vostri primi successi politici, buona parte delle istanze che voi difendevate in Nord Europa sono state riprese dal Movimento 5 Stelle qui in Italia. Hai mai avuto contatti con Casaleggio, o Grillo, o in generale con il gruppo dirigente del Movimento 5 Stelle? Se sì, puoi parlarci della relazione fra il Partito Pirata e il Movimento 5 Stelle?
Purtroppo, il Movimento 5 Stelle non ha avuto una risonanza a livello internazionale tale da produrre sufficiente materiale in lingua inglese, quindi non ho avuto la possibilità di seguire nel dettaglio quello che stava succedendo da voi, dato che non parlo italiano. Siamo però stati in contatto all’inizio, e ho tenuto una presentazione in collegamento video a una delle loro prime riunioni.Ho visto che il Movimento ha avuto un grande successo alle urne, ma all’epoca non ero in stretto contatto con loro, e la barriera linguistica purtroppo mi impediva di seguire più da vicino gli eventi. In quel periodo avevo veramente molto su cui focalizzare la mia attenzione, e la barriera linguistica ha fatto il resto.
–Nel mondo di oggi, dominato da oligopoli digitali di dimensioni mastodontiche e da dinosauri politici del passato che sembra non abbiano alcuna intenzione di estinguersi, credi che ci sia ancora spazio per le tattiche di sciame che descrivi nel tuo libro? È ancora possibile auto-organizzarsi dal basso e deviare il corso degli eventi?
L’hai messa giù bene… nessuno ha mai l’intenzione di estinguersi, vero? Eppure si estinguono comunque quando perdono la propria rilevanza, pur avendo sicuramente progettato di essere rilevanti per sempre. Quando i Partiti Pirata si sono formati, Facebook e Twitter non erano nulla, ma in un decennio sono diventati dei veri e propri monoliti, creando un mondo in cui pochi servizi sono totalmente dominanti, a differenza del precedente mondo decentralizzato della blogosfera.
Tuttavia vedo un’insoddisfazione crescente per la direzione presa da queste piattaforme. Cory Doctorow l’ha definita con un certo successo “enshittification” (inmerdamento, n.d.t.): all’inizio queste piattaforme risultano grandiose per gli utenti, poi diventano grandiose per gli inserzionisti e infine non sono più grandiose per nessuno… se non per i proprietari e i loro stessi interessi. Facebook oggi è ormai solo un’eredità inerte del passato: non conosco nessuno che si diverta sul serio a leggere il proprio feed, mentre invece sento sempre più spesso lamentele a riguardo. Mi piacerebbe che alternative decentralizzate come Mastodon avessero avuto la possibilità di svilupparsi a sufficienza per superare il vantaggio insito nella centralizzazione di un tale servizio, ci permetterebbe di assistere a una rifioritura della biodiversità delle opinioni.
In ogni caso, oggi chiunque può creare un forum in un istante, molto più facilmente di quanto non fosse nel 2005, e fornire una piazza pubblica per discutere di qualsiasi argomento. Se non altro, è diventato molto più facile organizzarsi in questo modo, anche se il metodo più semplice offerto per farlo comporta la rinuncia al controllo del computer fisico utilizzato per le discussioni.
-Il partito pirata ha fatto della libertà d’espressione online uno dei propri capisaldi. Cosa ne pensi del Digital Services Act? In molti lo vedono come un provvedimento atto a limitare la libertà di stampa su internet…
Sebbene il D.S.A. abbia fatto notizia nell’ultimo anno, direi che non è né la più debole né la più forte delle misure introdotte dal vecchio mondo per tentare di dominare il nuovo che avanza. Il Parlamento europeo ha apportato alcune buone modifiche, modifiche che sfortunatamente sono state per lo più annacquate nel testo finale della legge. Tuttavia, ci sono sono stati tentativi peggiori in passato, come l’ACTA (Accordo commerciale anti-contraffazione, un trattato multilaterale per la definizione di standard internazionali per l’applicazione dei diritti di proprietà intellettuale, mai entrato in vigore. n.d.t.), e ci saranno tentativi peggiori in futuro.
Io lo interpreto come l’ennesimo tentativo di controllare un treno che ormai ha lasciato la stazione. Ogni anno, assistiamo a uno o due tentativi importanti quanto questo, tutti pensati per limitare l’utilità che la rete ha per quel cittadino che il vecchio mondo definisce ancora superficiale e ignorante.
–Cambiando discorso, che cosa accomuna il Partito Pirata a Bitcoin? Non sei l’unico pirata che ha intravisto nella regina delle criptovalute qualcosa di più di una moneta…
È innegabile che ci sia una certa sovrapposizione tra le persone coinvolte, soprattutto tra i primi attivisti! Credo che gli ideali libertari e di decentralizzazione abbiano un certo peso in questo ambiente: l’idea di una forma di denaro che si sceglie volontariamente di usare è molto attraente, al contrario del denaro che il governo ci obbliga a usare (e che continua a svalutare ogni anno).
–Quanto c’è di politico e libertario in Bitcoin che non abbiamo ancora compreso?
Chi ha seguito il dibattito Bitcoin e le criptovalute, sa che un tempo era tutto più politico. Molto più politico. Ultimamente, e soprattutto con l’aumento stratosferico del valore di queste valute, gli attivisti politici che lottano per un mondo migliore per tutti sono stati in gran parte sostituiti da una folla di persone che fanno soldi a palate e che non forniscono stimolo intellettuale, a mio avviso. (A volte gli attivisti più di vecchia data si riferiscono a loro definendoli come la schiera dei “numeri che crescono”, perché questo sembra essere l’unico focus dei loro interessi.).
Ad ogni modo: ritengo che le criptovalute nel loro complesso abbiano un grande potenziale per scuotere alcune nostre fondamenta concettuali, benché tutto questo diventerà evidente solo quando una delle principali monete classiche fallirà e la gente sceglierà una criptovaluta (non necessariamente il bitcoin) come nuovo mezzo di scambio.
È come quella frase attribuita a Bill Gates: affinché si verifichi un vero cambiamento, “non basta avere successo, bisogna che gli altri falliscano”.
-Come pensi che i governi e le banche centrali si muoveranno nei prossimi anni in relazione a Bitcoin e alla generale decentralizzazione portata dalle criptovalute?
Non credo che abbiamo ancora compreso le minacce emergenti per il vecchio sistema. Noi ragioniamo su ciò che è nuovo, identificandolo nella sua sfida a ciò che il vecchio rappresenta in questo momento. Non è questo l’aspetto più importante: dobbiamo pensare a questa sfida in relazione a quello in cui il vecchio si sta evolvendo. Possiamo osservare che il denaro contante viene gradualmente limitato, per esempio. Esistono già proposte di legge che mettono al bando le di transazioni in contanti superiori a circa un mese di stipendio, perché le transazioni in contanti sono anonime, non rintracciabili e incontrollabili. Allo stesso tempo, con Bitcoin è possibile spostare milioni di euro premendo un pulsante. È facile vedere uno scontro di sistemi di valore nel breve termine, ma nel lungo termine, non credo che abbiamo ancora iniziato a scorgerne le conseguenze.
–Come credi che algoritmi e intelligenze artificiali impatteranno sulle istituzioni politiche sulle decisioni di governo?
Nei prossimi cinque anni, considerando gli strumenti odierni, difendersi dai malintenzionati che cercano di influenzare l’opinione pubblica diventerà un compito quasi impossibile. Abbiamo visto quanti danni possono fare le cosiddette “fabbriche di troll”, officine in cui le persone vengono pagate per creare conflitti e dissenso all’interno delle comunità online. Questo fenomeno di produzione di stronzate – per usare un francesismo – è stato fino ad ora limitato dalla produttività di ogni persona impiegata fisicamente in questo processo. Moltiplica la capacità di produzione di queste stronzate per diversi milioni di persone, e avrai un’idea realistica del livello di avvelenamento del dibattito a cui arriveremo fra cinque anni. Questi strumenti sono già nelle mani di tutti di tutti; tutto ciò che serve è una scheda grafica decente che la maggior parte delle persone già ha. Diventerà molto più difficile trovare dibattiti sinceri, soprattutto nei forum aperti e pubblici.
Allo stesso tempo però, prevedo che gli stessi strumenti saranno utilizzati anche per scremare dal dibattito i testi generati dall’intelligenza artificiale, rafforzando ulteriormente così le bolle di opinione esistenti.
-I dossier e i rapporti delle intelligence di tutto il mondo paragonano internet agli altri campi di battaglia classici (aria, mare, terra, spazio) e ogni giorno sentiamo sempre più parlare di Cognitive Warfare, soprattutto in relazione alle dinamiche con cui la rete ha un impatto sulle nostre menti e sull’opinione pubblica. Cosa vedi all’orizzonte in questo senso?
Non vedo davvero nulla di nuovo all’orizzonte, ma questo potrebbe essere perché interpreto lo sviluppo degli eventi odierni in termini storici. Vedo che la battaglia per l’informazione che si svolse secolo fa tra la Chiesa cattolica da una parte e la stampa dall’altra, si sta ripetendo. Le tecnologie e le persone sono diverse, ma le mosse che vengono giocate sono le stesse. Se la interpretiamo come una guerra, però, ricordiamoci che la verità è sempre la prima vittima di ogni conflitto. Credo che questo diventerà sempre più vero e sempre più falso allo stesso tempo. Mentre diventa più facile che mai trasmettere la verità oggettiva, diventa anche più difficile che mai trovare la verità vera e propria, soprattutto fra una marea di persone che affermano di essere l’unica fonte della verità oggettiva. I tradizionali mass media amano credere di essere imparziali e oggettivi, ma non lo sono e non lo sono mai stati. Io, per avere un’idea di ciò che sta accadendo, preferisco ascoltare diverse persone con pregiudizi diversi ma dichiarati.