Dalla Democrazia Cristiana al Web 3.0, il collegamento sembra inesistente ma c’è, è tangibile: parte con Alcide De Gasperi e termina con il pronipote Piergiorgio. Leva 1996, in comune con Alcide ha sicuramente l’impegno sul sociale anche se i campi di azione sono totalmente diversi, forse apparentemente opposti. Piergiorgio difficilmente lo trovi in giacca e cravatta; rispetto ad Alcide “bazzica” poco comizi pubblici e colletti bianchi, opta per hacker e nerd in felpa e convegni a numero ristretto in giro per l’Europa.
–Ciao Piergiorgio, iniziamo dalle formalità, prima di parlarci del tuo lavoro parlaci della tua formazione.
La curiosità mi ha spinto sempre a cercare ispirazione, fonti, domande e risposte anche e soprattutto fuori dalle mura accademiche. Crescendo in un mondo apparentemente civile ed ordinato ma nei fatti disfunzionale e selvaggio ho spesso remato contro corrente, in “direzione ostinata e contraria” per ottenere risposte soddisfacenti e per imparare a formulare quesiti migliori.
Ciò che ha forgiato la mia persona sono stati i libri che ho letto, le giornate trascorse in montagna e nel bosco con mio padre, le persone con le quali mi sono confrontato, e le difficoltà che ho affrontato lungo il cammino. Sono cresciuto in un quartiere in cui boom economico, spensieratezza e status symbol hanno generato dei veri e propri morti viventi. Questo mi ha spinto fin dai tempi delle medie a guardare altrove e a respingere quell’anestetizzante benessere superficiale.
Per rimanere coerente ho rinunciato a diversi lavori, buoni stipendi, sicurezze e comodità, il che non mi è mai pesato ed è stato anzi fonte di ispirazione e di liberazione.
Ho frequentato il liceo classico; due sono stati i professori che hanno lasciato un’impronta significativa: uno di storia e filosofia, l’altro di latino. Ho poi preso la triennale in Economia e Management a Tor Vergata e cominciato a lavorare con tecnologie innovative e nel mondo dell’educazione. Ho curato strategia, operazioni e comunicazione di diverse aziende e startup, sia in Italia che all’estero, cambiando spesso direzione per seguire ciò che sentivo più autentico e funzionale alla mia crescita personale e professionale.
È stato un percorso in salita, disegnato giorno per giorno con dedizione e coraggio. Non sapevo dove voler arrivare, ma sentivo chi e cosa non sarei voluto diventare e soprattutto quali compromessi non sarei stato disposto ad accettare. La somma di tutto questo mi ha permesso col tempo di trovare la mia strada.
–Per questioni anagrafiche non hai avuto modo chiaramente di conoscere Alcide ma sono certo che hai avuto modo di conoscerlo attraverso la testimonianza della tua famiglia; che idea ti sei fatto della figura umana di De Gasperi?
Amante della montagna, del valore dello spirito e dell’interesse comune, il mio bisnonno ha dedicato la sua intera esistenza al servizio dei suoi ideali e del benessere del suo Popolo. Sempre con serietà, rispetto, onestà e coraggio.
Il suo esempio mi ha insegnato che la politica è innanzitutto uno strumento per dare, e non mezzo per ottenere. Un insegnamento che la politica odierna ha completamente dimenticato.
Studiarne la vita, immergermi nella sua corrispondenza e ascoltare i racconti di mia nonna, sono stati motivo di crescita culturale ma anche e soprattutto di arricchimento dal punto di vista morale ed umano.
Perseguitato dal regime fascista, abbandonato per paura da molti amici e colleghi e temendo di non sopravvivere a un intervento chirurgico, nel 1935 scrisse a sua moglie un testamento spirituale in cui pensando alle figlie si esprimeva così:
«Non posso lasciar loro mezzi di fortuna, perché alla fortuna ho dovuto rinunziare per tener fede ai miei ideali. Fra poco saranno cresciute tanto, da comprendere il mondo in cui vivono. Apprendano allora da te per quale ideale di umana bontà e di cristiana democrazia il loro padre combatté e sofferse. Leggendo le mie lettere d’un tempo e qualche appunto per le mie memorie, impareranno ad apprezzare la giustizia, la fratellanza e la libertà. Muoio con la coscienza d’aver combattuto la buona battaglia e con la sicurezza che un giorno i nostri ideali trionferanno.»
–Hai mai “sofferto” il cognome che porti?
Sofferto no. Avere un gigante sulle spalle ha sicuramente il suo “peso”, ma ti offre la possibilità di vedere lontano, dove non tutti gli sguardi arrivano. In molti contesti, preferisco non presentarmi con entrambi i cognomi: non mi è mai piaciuto ostentare le mie origini, tantomeno usarle per ottenere qualcosa. Certamente apprezzo e mi emoziono quando gli occhi delle persone si illuminano al solo menzionare il suo nome, ma provo imbarazzo e fastidio se mi trattano in modo diverso per la mia storia familiare.
–Fondazione De Gasperi e la figura di Maria Romana, tua nonna, che rapporti hai con la fondazione e che ricordi porti con te di Maria Romana?
I ricordi sono tanti. Nella gioia e nel dolore, abbiamo condiviso molto.
Per tenere viva la memoria del lascito umano, culturale e politico del padre, mia nonna ha lavorato con passione fino alla fine. Ha condotto una vita lunga e impegnativa, ricca di incontri ed esperienze fuori dal comune. Ha scritto diversi libri e offerto il suo aiuto a tanti studiosi.
Viaggiava spesso per condividere la sua testimonianza presso scuole ed istituzioni in tutta Europa. Qualche volta l’accompagnavo e rimanevo affascinato dalla sua straordinaria capacità di parlare alla mente e al cuore delle giovani generazioni.Come prendeva la parola, anche i più distratti cominciavano ad ascoltare interessati. Riusciva sempre a trasmettere in modo semplice ed efficace la grande complessità di certi temi, mostrando l’attualità e la validità dei discorsi degasperiani nel leggere e affrontare le sfide poste dal tempo presente.
Fin da giovane, ha dimostrato coraggio e fedeltà nel sostenere il padre, portando documenti sensibili a colleghi di partito e infiltrandosi nelle università per distribuire manifesti e volantini. Durante l’invasione nazista, ha persino trasportato bombe agli avamposti partigiani, sempre in sella alla sua bicicletta, che ha portato sorridente fino all’età di 85 anni.
La Fondazione, istituita nel 1982 per sua volontà, ha la missione di tenere in vita i valori vissuti e promossi dal padre. Ho avuto l’opportunità di contribuire e partecipare a diverse iniziative che mi hanno permesso di confrontarmi con professori, ricercatori e amici appassionati di storia ed istituzioni. Grazie alle loro storie e ai numerosi pomeriggi trascorsi con mia nonna, ho avuto il privilegio di conoscere da vicino un pezzo di storia che non è riportato nei libri e che probabilmente mai verrà raccontato.
–Hai mai pensato di affacciarti in politica? Perché?
Quale politica? Più che scienza e arte di governare, la politica di oggi sembra un talk show fatto di slogan, false promesse, e omuncoli senz’anima. Non vedo politici di spessore intellettuale, persone capaci di confrontarsi e scontrarsi per i propri ideali nell’ascolto e nel rispetto dell’avversario. Si continua a fare investimenti a breve termine per ottenere voti anziché preoccuparsi del benessere del Paese, degli ecosistemi e delle prossime generazioni. Nessun avamposto difende quella torre chiamata “futuro”.
Negli ultimi 20 anni, il fattore tecnologico ha profondamente modificato le logiche dei nostri sistemi economici, finanziari, politici e sociali, favorendo lo sviluppo di monopoli transnazionali capaci di mettere in ginocchio i Paesi, la democrazia e i diritti umani.
La dimensione nazionale non ha più gli strumenti per svincolarsi da logiche di manipolazione e controllo, potremmo forse discuterne se avessimo un vero e indipendente organo politico a livello europeo.
Tutto ciò che faccio ha una forte valenza politica e ideologica e mi consente di sviluppare alternative dal basso senza dover stringere mani e dover faticare a forza di compromessi. Per il momento va bene cosi.
–Cosa fai nella vita?
Cerco e declino me stesso tra le righe di un sistema che omologa e controlla. Ho smesso di fare distinzione tra tempo libero e lavoro, facendo delle mie passioni la mia occupazione.
Con Mykola Siusko ed il team di produzione dell’hackathon ETHBrno abbiamo recentemente ospitato il Web3 Privacy Summit durante la Prague Blockchain Week. Il progetto è nato da una ricerca open source di servizi che migliorano la privacy diventando un ecosistema di ricercatori ed attivisti che offre materiale educativo e organizza spazi di incontro, scambio e collaborazione.
Altra cellula operativa di cui sposo visione e missione è CryptoCanal, dove mi occupo di strategia, partnership, promozione culturale e organizzazione di eventi.
Viaggio spesso, ma la mia base è Roma, dove con all’associazione di Urbe.eth organizziamo meetup mensili in formato Ted Talks, eroghiamo lezioni presso le università, facciamo interviste ai maggiori esponenti del mondo crypto e facilitiamo l’incontro e la collaborazione dei builders locali.
Con il nucleo operativo di Urbe, circa 14 individui, stiamo organizzando ETHRome: il primo hackathon internazionale in Italia, che si terrà dal 6 all’8 Ottobre a Roma.
Ricopro inoltre il ruolo di Business Ecosystem Developer presso G2R: società di consulenza strategica con approccio poietico e rigenerativo.
–Come ti sei affacciato in quel mondo e quali obiettivi ti sei prefissato.
Ho sentito parlare per la prima volta di Bitcoin nel 2013, ma mi ci è voluto del tempo per comprenderne le fondamenta ideologiche sepolte dall’eco mediatico di fenomeni speculativi e narrative marchettare. Ci tengo a precisarlo: la blockchain di Satoshi Nakamoto è frutto di quarant’anni di collaborazione, ricerca e sviluppo da parte di intellettuali, matematici, attivisti politici ed ingegneri informatici. I Cypherpunks.
Approfondendo gli aspetti tecnici e le motivazioni politiche che hanno portato a sviluppare la crittografia, le reti peer to peer anonime ed i sistemi resistenti alla censura ho capito essere questa la mia battaglia: favorire lo sviluppo e la realizzazione di alternative capaci di tutelare i diritti umani nei sistemi digitali e di risvegliare lo spirito partecipativo del singolo nella salvaguardia delle proprie libertà e nel rispetto dei propri doveri.
Dai tempi del liceo mi interrogo sulle motivazioni che ci portano a creare, mantenere ed alimentare quei sistemi estrattivi, alienanti, e centralizzanti che antepongono il profitto alla creazione di valore e di benessere condiviso.
Ho finalmente trovato progetti ed ecosistemi capaci di sviluppare la tecnologia per re-ingegnerizzare il sistema degli incentivi, i meccanismi di consenso e le logiche di governance che fino ad ora non ci hanno permesso di cambiare rotta.
La mia missione è dunque ricercare, decostruire, identificare e favorire lo sviluppo di prospettive virtuose e di soluzioni concrete e di coltivare terreno fertile per facilitare scontro ed incontro di mondi paralleli che corrono nella stessa direzione. Da un lato, l’avanguardia rivoluzionaria che dal basso opera sottotraccia, dall’altro coloro che cercano di cambiare le cose da dentro.
–La tua è una lotta di classe?
No, direi piuttosto che si tratta di una lotta di coscienza. Cerco di andare oltre alle categorizzazioni e ai dualismi che paralizzano e de-finiscono impedendo il dialogo ed il compromesso costruttivo. Non c’è più tempo per lotte di classe, sono logiche passatiste.
–Chi è il nemico da sconfiggere?
Il nemico è dentro di noi. Il nemico è la deresponsabilizzazione sociale e politica che abbiamo abbracciato per comodità. Il nemico è l’indifferenza e la scelta di chiudere gli occhi sui tanti problemi climatici, sociali ed economici che stanno mettendo in seria difficoltà miliardi di persone, diversi paesi ed interi ecosistemi. Il nemico è il non rendersi conto del potere straordinario e della grande responsabilità che abbiamo nel poter scegliere i servizi che utilizziamo, i prodotti che acquistiamo e gli investimenti che effettuiamo.
La sfida sta nel resistere alla tendenza del consumare e bramare sempre di più, spingendoci verso la superficialità, invece di apprezzare e godere appieno di ciò che già abbiamo. Il nemico siamo noi: è solo all’interno del nostro essere che può aver inizio la rivoluzione.