Da circa un ventennio Luigi Di Gregorio è uno di quegli attori dietro le quinte della comunicazione politica, da capo della comunicazione istituzionale del Comune di Roma a manager presso il Parlamento Europeo. Ad oggi, Di Gregorio è consulente di comunicazione strategica del Presidente della Regione Lazio, riassumendo: gran parte delle mosse sulla scacchiera comunicativa politica, effetti e relative cause di ogni pedina che si muove, sono meccanismi che Luigi conosce a memoria.
La politica è una cosa seria (almeno dovrebbe esserlo); l’improvvisazione, salvo alcuni casi, lascia il tempo che trova e di meteore politiche il nostro paese non ha affatto bisogno, ora più che mai.
In War Room, edito per Rubbettino, Di Gregorio miscela nozioni di comunicazione politica a quelle di marketing più spietato. D’altronde siamo nell’era politica dove l’ideologia dei tempi andati, quella dei così detti partiti di massa, non esiste quasi più. La vera ricerca è nella novità non nell’ancoraggio ideologico.
Scudi crociati e garofani stanno bene nel cassetto dei ricordi o nei libri di storia, l’evoluzione della comunicazione politica è diventata un ecosistema visual con delle regole precise: servono volti, slogan d’impatto e nomi, i nostalgici della Prima Repubblica devono fare i conti con il cambiamento radicale degli elettori.
Il leader politico è ormai paragonabile ad un brand e come tale ha bisogno di uno staff che lo segua, di una vera e propria campagna, una campagna permanente.
Fare politica era un mestiere logorante, oggi vale lo stesso e, dato il martellamento mediatico al quale è sottoposto l’elettore, la politica è diventata un elemento societario che non conosce sosta, non conosce ferie o day off.
L’avvento dell’Intelligenza Artificiale faciliterà alcune mansioni dello staff attorno al politico ma leviamoci dalla mente che sarà l’elemento chiave del tutto.
Un politico con la P maiuscola vive di relazioni umane, di emozioni da trasmettere al suo ipotetico elettore ed una mente artificiale, anche portata al massimo delle sue capacità, non potrà mai pareggiare questo tipo di gap.
I parallelismi con la struttura politica d’Oltreoceano non mancano nelle quasi quattrocento pagine del libro, intelligentemente Di Gregorio sposta l’attenzione non tanto sulle correnti di pensiero a stelle strisce ma sulla metodica lavorativa, sugli strumenti d’analisi e sul gruppo di lavoro attorno al candidato.
Un’analisi sapiente, a tratti maniacale: ogni ruolo è ben definito e performante con il solo ed unico obiettivo di mantenere alta l’attenzione dell’elettore.
Uno dei tanti bisogni della nostra politica è proprio questo, una war room di governo in campagna permanente, dove l’elezione è solo il traguardo di un cammino che inizia non qualche mese prima ma dall’immediato giorno post elezione del candidato.
I periodi “di vuoto” ci possono stare, devono esserci a patto che quel vuoto sia strategicamente studiato e non lasciato al caso.
In una società che corre velocemente tra social e bombardamento mediatico in ogni sua forma esistente, un elemento come la politica non può permettersi il lusso di rimanere nemmeno un centimetro indietro, la struttura comunicativa va ripensata in base alle esigenze degli elettori, sciolta dalle metodiche sterili e spesso passatiste e Di Gregorio questo la sa bene.