OGGETTO: Il primo 007
DATA: 08 Giugno 2025
SEZIONE: Recensioni
FORMATO: Letture
La storia di Duško Popov è quella della spia archetipale, capace di affascinare chiunque lo incontrasse, le cui gesta hanno ispirato scrittori di ogni tempo e luogo. Ian Fleming, e non è un caso, su di lui basò le storie della propria creazione più riuscita, l'agente 007. L'autobiografia, pubblicata da Sellerio nel 2018, è il modo migliore per approfondire uno dei grandi personaggi del Novecento.
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Tutti conoscono James Bond, pochi il suo ideatore Ian Lancaster Fleming e, probabilmente, solo una nicchia ha mai letto Spia contro spia (Ed. Sellerio), l’autobiografia di Duško Popov: la vera spia che diede vita allo 007 per eccellenza. Nato in una calda giornata di luglio del 1912 a Titel, nella Serbia di un mondo che stava per cambiare per sempre, Popov incarnò l’essenza di un tempo irripetibile, quando il destino di intere nazioni poteva dipendere dal coraggio e dall’astuzia di un singolo uomo.

Dai reperti fotografici, vecchie foto in bianco e nero, si denotano gli occhi di chi ha visto troppo in un tempo piccolo, di chi ha portato sulle spalle il peso di segreti e parole non dette: un uomo solo in mezzo a tante persone. Nelle notti senza sonno di Lisbona, sotto i cieli londinesi durante i bombardamenti, o nei saloni di Montecarlo, Popov si muoveva come un’ombra tra la folla, invisibile sotto i riflettori, sussurrando verità nascoste all’orecchio amico, mentre il mondo precipitava nel caos più totale della guerra. Popov conosceva le regole del caos, sapeva danzare sulle punte, sopra la polvere dei bombardamenti nemici. Le luci ovattate di un casinò portoghese disegnavano i tratti di un sorriso di una vita vissuta in chiaroscuro mentre le sue mani, le stesse che silenziosamente avrebbero potuto alterare le sorti della storia mondiale, mescolavano carte francesi con la stessa maestria e velocità con cui mescolava verità e menzogne. La vita di Popov? Un bluff giocato con classe al tavolo del destino.

Tanti, forse troppi, i soli che ha visto tramontare dalle terrazze degli hotel di lusso, chiedendosi se sarebbe sopravvissuto per vederne un altro ancora. Il nome in codice “Tricycle” nascondeva un uomo che viveva sospeso tra mondi diversi, tra lealtà contrastanti, tra amori e doveri l’uomo della terra di mezzo. Il suo fu un valzer pericoloso con la morte, un ballo condotto con la consapevolezza di chi sa che ogni passo potrebbe essere l’ultimo, quello fatale per lui, per una nazione, per il mondo intero.

Nei salotti di un’Europa frammentata o per i vicoli di Londra, Popov raccoglieva frammenti di conversazioni che sarebbero diventati tasselli cruciali nel grande mosaico della futura vittoria alleata. Sfacciato, si, nei suoi vizi. Ma al confine con il romanticismo nella sua dedizione, nella sua capacità di sacrificare tutto per una causa più grande di lui. La sua totale devozione alla vittoria contro la Germania nazista. Mentre le bombe cadevano e le città si trasformavano in rovine, lui continuava la sua missione silenziosa, portando con sé il peso di sapere troppo e di non poterlo condividere con nessuno. Uno contro tutti. I suoi segreti giacciono sepolti con lui, come tesori in un baule affondato nell’oceano del tempo.

Le pagine della sua autobiografia ci ricordano un’epoca in cui gli eroi non indossavano mantelli, ma smoking immacolati e silenzi enigmatici. L’eredità di Duško Popov va ben oltre il suo contributo alla vittoria alleata. La sua vita rappresenta un affascinante capitolo nella storia dello spionaggio e dimostra come a volte la realtà possa superare la finzione. Il playboy di Titel che giocava d’azzardo con la propria vita per servire una causa più grande rimane una figura leggendaria, una vera spia che ha ispirato il personaggio di finzione più famoso del genere.

In questo bolero tra realtà e finzione si cela il vero fascino della storia di Popov. Fleming, all’epoca ufficiale dell’intelligence navale britannica, lo incontrò al casinò di Estoril, in Portogallo, nel 1941. Osservò quella figura elegante scommettere contro un ricco lituano, in un gesto tanto audace quanto calcolato e, con tutta probabilità, ne rimase affascinato. Nelle sue memorie l’agente serbo racconta di come avvertì gli americani di un possibile attacco a Pearl Harbor con mesi d’anticipo. Un avvertimento totalmente ignorato da Hoover, un’occasione mancata che avrebbe potuto cambiare il corso dell’intero conflitto mondiale. La vera arte sopraffina di Popov fu quella di trasformare alcune debolezze umane in vantaggi: vanità, avidità, lussuria, paura – tutto diventava uno strumento utile nelle mani di un uomo che aveva imparato a leggere l’animo umano.

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