Occhi chiari, alto, magro e molto riservato. Indossa magliette con unicorni e arcobaleni, a tratti quasi ridicole, ma Vitalik Buterin, fondatore di Ethereum è tutto fuorché ridicolo. Classe 1994, nasce a Kolomna, una città vicino Mosca. Muove i suoi primi passi nei dormitori dell’università dove entrambi i suoi genitori stavano completando gli studi in ingegneria. Già in tenera età Vitalikmostra un vero e proprio talento con i numeri e un forte interesse per il suo gioco preferito: il computer. Cresce con i nonni materni fin quando i suoi genitori in vista di un futuro migliore decidono di trasferirsi in Canada. Arrivato a Toronto il piccolo Vitalik fa fatica ad ambientarsi: i numeri sono facili da comprendere, ma imparare una nuova lingua gli richiede più tempo. Tuttavia il suo talento viene subito notato, tanto che il sistema scolastico canadese decide di dargli un posto in un programma per bambini dotati. Ciononostante anche questo sembra non essere sufficiente, così i genitori decidono di farlo seguire privatamente da un professore universitario. Crescendo viene mandato in una scuola privata dove segue corsi avanzati di matematica, latino e greco. Oltre la scuola e la programmazione spende molte ore giocando a World of Warcraft. Come spiega egli stesso quel videogioco diventata per lui una vera e propria ossessione, tanto che quando Blizzard, decide di nerfare (cambiare) il suo personaggio preferito si dispera: “Ho pianto finché non mi sono addormentato e quel giorno ho capito quali orrori possono portare i servizi centralizzati. Ho deciso subito di smettere”.
L’incontro con la decentralizzazione avviene soltanto più avanti, quando il padre gli fa leggere il White Paper di Bitcoin. Per Vitalik il mondo della blockchain diventa estremamente interessante; è un campo interdisciplinare, non riguarda soltanto la matematica, l’informatica e la crittografia, ma anche l’economia, la filosofia e la politica. Vitalik inizia a scrivere articoli per BitcoinTalk forum e viene retribuito con cinque bitcoin per pezzo (all’epoca circa 4 dollari). Proprio attraverso i vari canali in cui si discute di blockchain Vitalik si fa notare e viene contattato da un un informatico rumeno Mihai Alisie, che come Vitalik è interessato a questo nuovo mondo, ma ai videogiochi tanto cari al russo preferisce il poker. I due si incontrano via Skype e decidono di creare Bitcoin Magazine, il primo giornale cartaceo sull’argomento. Dopo due anni di collaborazione si incontrano personalmente a Barcellona, quando vengono convinti da un altro informatico ad andare in una comunità anarchica a Calafou. Calafou fu fondata dall’anticapitalista Eric Duran, che attraverso uno schema piramidale riuscì a prendere in prestito circa 500 mila euro da ben tredici banche spagnole. Si rifiutò di ripagare il prestito definendo la sua scelta:
“Una forma di disobbedienza civile e una critica nei confronti del sistema bancario che promuoveva l’indebitamento delle famiglie ignorando i rischi e il buon senso”.
Eric Duran
Nei mesi a Calafou Vitalikdecide di prendersi una pausa dall’università per approfondire il suo lavoro sull’universo crypto e proprio a Calafou passa molto tempo a programmare nel piccolo laboratorio informatico lì presente. Dopo il periodo in Spagna, passa diverso tempo a Tel Aviv dove entra in contatto con varie aziende tra le quali Mastercoin e Colored Coins. Per quest’ultima Vitalik scrive un White Paper, ma la collaborazione tra il giovane informatico russo e queste compagnie viene presto meno: lui vuole creare qualcosa di diverso dalla blockchain di Bitcoin, ha un progetto ancora più ambizioso, ma presto si rende conto di non essere capito e che non ha bisogno di grandi compagnie per raggiungere il suo scopo. Nel 2014 viene tenuta a Miami un’importante conferenza su Bitcoin, Vitalik sale sul palco e presenta il su progetto, ma anche lì non raggiunge il consenso sperato, così pensa: “Screw it, I’ll do it myself”.
Secondo Vitalik ai Bitcoin mancava qualcosa. Il suo intento era quello di creare una nuova blockchain, che avrebbe dovuto essere una piattaforma sulla quale sarebbe stato possibile supportare qualsiasi tipo di smart contract. Smart contract è un termine coniato dal crittografo Nick Szabo, che nel 1998 inventò una moneta digitale chiamata “Bit Gold”. Ma cosa sono questi smart contract? Non sono altro che programmi di vario genere che possono essere implementati sulla blockchain di Ethereum – attraverso un linguaggio chiamato Solidity – e che godono di tutti i vantaggi della decentralizzazione, ovvero: nessuna censura, trasparenza e controllo da parte degli utenti. Il suo intento dunque era quello di dare a qualsiasi sviluppatore l’opportunità di creare applicazioni che nessuno avrebbe mai potuto fermare.
Gavin Wood, uno dei più importanti sviluppatori di Ethereum e autore del Yellow Paper- testo tecnico di Ethreum- ha definito Ethereum come un computer globale. É il primo computer non localizzato della storia, in quanto non c’è una sola istanza fisica su cui gira il codice, e perciò non può essere spento, resettato o censurato. Qualsiasi persona può scaricare attraverso una connessione internet l’intera blockchain di ETH, e quella di fatto rimane sul proprio PC, come su quello di altri milioni di utenti che hanno fatto la stessa operazione. Tutti possono accedervi e c’è spazio per tutti gli utenti del mondo, in quanto gli indirizzi pubblici possibili sono 2^160, ovvero un numero quasi incalcolabile. Ovviamente la decentralizzazione comporta dei problemi, in quanto essendo la blockchain composta da molti nodi sui quali i programmi girano contemporaneamente, questi per sincronizzarsi e raggiungere un consenso nel risultato finale di una determinata operazione hanno bisogno di maggior tempo rispetto a un sistema centralizzato.
Dopo la pubblicazione del White Paper di Ethereum redatto interamente da Vitalik, furono diverse le persone che decisero di seguirlo in questo progetto. Sono anni complicati per Vitalik&Co, lavorano tanto, ma hanno pochi fondi, perciò sono costretti a vivere tutti insieme in una casa presa in affitto a Zurigo e ad andare avanti con i propri risparmi. Decidono di trasferirsi in Svizzera proprio perché la legislazione era molto meno rigida rispetto a quella americana con la quale avrebbero avuto molti più problemi. Tuttavia nonostante la passione per ciò che stavano realizzando non mancano le incomprensioni. C’erano visioni differenti su come avrebbero dovuto raccogliere soldi per lo sviluppo del progetto e su come si sarebbe sviluppata legalmente la Foundation e il ruolo che avrebbe dovuto avere. Come suggerisce Camila Russo nel suo libro The Infinite Machine, si apre un dilemma: “Google o Mozilla?”. Ovvero le alternative erano due: essere una società con una gestione centralizzata, oppure una fondazione che avrebbe supportato i vari sviluppatori per costruire Ethereum nel modo più decentralizzato possibile. Charles Hoskinson- attuale CEO di Cardano – preferiva la prima alternativa, ovvero una società che avrebbe fatto affidamento su Venture Capitalist con esperienza e conoscenze nel settore della finanza che avrebbero aiutato la startup a crescere. La tensione tra Vitalik, altri membri del team e Charles si fa sempre più pressante tanto che alla fine il diciannovenne russo decide di rimuoverlo dal suo ruolo di CEO e ometterlo tra i fondatori della “sua” blockchain.
Di fatto tutti avevano un ruolo importante, ma solo quello di Vitalik era indispensabile. Così nonostante la giovane età è lui ad avere l’ultima parola: “Ethereum sarebbe stato un progetto noprofit e opensource”. Ovviamente il profitto c’è stato, in quanto dall’ICO (Initial Coin Offer) – che consiste nella vendita di ether – sono riusciti a raccogliere 18 milioni di dollari. L’ICO può essere considerato simile all’IPO (Initial Public Offerings), ma a differenza di quest’ultimo in cui vengono vendute azioni di una società quotata in borsa, vengono venduti dei token in cambio di moneta fiat (Dollaro, Euro, ecc.) o di altre cryptomonete. Nel caso di Ethereum per esempio vennero venduti ether in cambio di bitcoin: con un bitcoin potevano essere acquistati 2000 ether. Le ICO possono essere differenti tra di loro, Ethereum ad esempio ha utilizzato un sistema chiamato “premine”. Ovvero mentre in Bitcoin l’intera offerta di moneta è creata dai miner, in questo caso c’è stata invece una distribuzione di ether prima del lancio del network. Questa scelta è stata criticata perché l’offerta totale di token è in questo modo risulta essere più centralizzata rispetto a quella della blockchain di Satoshi.
Tuttavia Ethereum è un progetto opensource e decentralizzato, in quanto la Foundation, pur avendo un ruolo importante, non può controllare o censurare la blockchain che ha creato. Per intenderci, Vitalik oggi è un miliardario come lo è Mark Zuckerberg, e lo sono perché il loro prodotto è innovativo e sono riusciti a crearlo prima degli altri e in una forma migliore. La differenza sostanziale è che Vitalik non ha potere diretto su Ethereum, non gli appartiene, perché Ethereum non appartiene a nessuno, e se domani Vitalik volesse censurare un progetto costruito sulla “sua” blockchain, impedire ad un utente di spostare ether da un indirizzo ad un altro, oppure bloccare l’indirizzo di quell’utente e congelare i suoi fondi semplicemente non potrebbe farlo. Ovviamente la sua ricchezza dipende da Ethereum, come quella di Zuckerberg dalle varie società che presiede, quindi è nel loro interesse che funzionino e che abbiano sempre più utenti, ma mentre il CEO di Facebook &Co è pressoché un monarca assoluto, che può oscurare un profilo per un periodo o bannarlo per sempre, Vitalik non lo è, perché la decentralizzazione non lo permette. E questa non è una differenza da poco.