OGGETTO: La storia come opinione
DATA: 23 Agosto 2023
SEZIONE: Società
AREA: Italia
Due esempi per riassumere il graduale scivolamento semantico delle discipline storiche verso qualcosa che nulla ha di scientifico.
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Nel 1903 a Roma si svolse il Congresso internazionale delle scienze storiche. Il governo italiano, all’epoca presieduto da Giuseppe Zanardelli, incaricò lo storico Pasquale Villari – presidente in carica dell’Accademia dei Lincei, oltre che direttore dell’Istituto storico italiano – di presiedere l’organizzazione scientifica del congresso. Villari, decise di nominare segretario del Congresso Giacomo Gorino, suo allievo e direttore dell’Archivio del Ministero degli esteri. Alla presidenza della sezione “Metodi di storia” venne scelto il trentasettenne Benedetto Croce. Lo scopo del programma del Congresso era accertare se lo studio della storia potesse avere un carattere scientifico o meno, tematica quindi non da poco conto.

Gli organizzatori invitarono, in qualità di relatore, il matematico italiano Giovanni Vailati, che svolgeva le sue ricerche sulla storia della scienza. Al congresso Vailati lesse la sua relazione dal titolo Sull’applicabilità dei concetti di causa e di effetto nelle scienze storiche. Tesi principale del testo era che le leggi della natura erano valide anche nella metodologia storiografica, senza eccezioni. La stessa volontà umana andava collocata nel gruppo delle causalità, fattore presente nelle discipline scientifiche, che era determinata dalla stessa natura fisica e intellettuale dell’uomo. Il Convegno di Roma fu determinante, quindi, sulla possibilità di stabilire infine che la storia fosse una disciplina scientifica. Ovviamente se si giunse a una simile conclusione il merito fu dello “storicismo tedesco” del secolo precedente, in particolare a storici del calibro Niebuhr e Ranke. Storia come scienza che fa parte dell’ambito conoscitivo e di conseguenza rientra a tutto tondo all’interno dell’identità e della costruzione culturale, sociale, economica che ha contribuito a formare entro una data comunità. Ma ultimamente il carattere epistemologico della storia – epistemologico da intendersi come scienza unica e indeformabile – ha avuto uno scivolamento semantico in doxa, ovvero opinione.

Quando quest’ultimo sostantivo lo si utilizza per commentare, secondo prospettive qualunquiste e strumentali, un dato fatto storico la conoscenza scientifica viene automaticamente messa nella categoria del dubbio, del verosimile. Storia come opinione che viene ultimamente utilizzata ad uso di autolegittimazione da parte di governi di Stati occidentali ed euroasiatici, seguendo metodi e finalità diverse a seconda della contingenza e del passato storico del Paese in questione. I casi che si possono analizzare sono due: il primo riguarda l’adozione del nuovo manuale di storia per l’ultimo anno delle superiori adottato nella Federazione Russa. Il testo che entrerà a far parte del programma di studio dal 1° settembre, ovvero il primo giorno del nuovo anno scolastico, è stato redatto in poco più di cinque mesi. Lunedì 7 agosto, in occasione della presentazione alla stampa, il ministro dell’Educazione russo, Sergei Kravtsov, ha affermato affermato che il testo ricostruirà la storia della Russia negli ultimi cinquant’anni fino ai giorni nostri, riservando un capitolo intero per l’attuale conflitto bellico in Ucraina. Secondo qualche analista italiano, come Paolo Mieli, questo nuovo testo rivisitato servirà ad indottrinare i giovani russi con lo scopo di farli arruolare per andare a combattere in Ucraina.

Un’opera di manipolazione del fatto storico è quella proclamata, ma non attuata, da parte di alcuni parlamentari italiani della maggioranza per l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta sulle varie stragi che hanno costellato l’Italia nel Secondo dopoguerra. La commissione avrebbe il compito di mettere in rilievo il ruolo che hanno avuto i servizi segreti stranieri dell’est Europa in merito alle vicende interne italiane. Sempre secondo i promotori della Commissione, essa dovrebbe continuare l’attività di altre commissioni, quali: Stragi, Moro 2 e Mitrokhin. Quest’ultima, istituita nel 2002 da Alleanza Nazionale e sciolta nel 2006 dopo quattro anni di attività, ha cercato prove fattuali sulla pista arabo-palestinese come esecutrice dell’attentato alla Stazione di Bologna. La relazione finale della Commissione è stata consegnata alla Procura di Bologna, la quale ha aperto poi un’indagine, chiusa nel 2014 per l’inesistenza di indizi probatori. A fare da controcanto a tale tesi, vi sono state una decina di sentenze giudiziarie definitive che hanno accertato le cause dell’attentato provenire da appartenenti a gruppi terroristici di estrema destra.

In un biglietto che è stato sequestrato a Gelli il giorno del suo arresto avvenuto a Ginevra il 13 settembre del 1982, la cui paternità è stata accertata dall’unanimità di diverse perizie calligrafiche, emerge che la P2 era stata l’organizzatrice e la finanziatrice della Strage e che vide come esecutori i militanti dell’estrema destra neo-fascista. In questo frangente la tragicità di un evento storico viene utilizzata per togliere un’onta indelebile nella storia della destra italiana. Storia che ha il compito di far emergere una verità dei fatti e, come ha scritto Benedetto Croce, il suo obiettivo finale è quello di essere giustificatrice non giustiziatrice. In un’intervista rilasciata a Il Resto del Carlino il ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha affermato: «Nessuna verità proveniente dal passato deve farci paura. Anche perché qualsiasi strumentalizzazione su fatti così lontani – non solo temporalmente ma anche politicamente distanti rispetto alla situazione odierna – non avrebbe senso». Una dichiarazione che, leggendo tra le righe, può essere interpretata con il vecchio detto: “parlare a nuora perché suocera intenda”.

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