Un esercizio dai risvolti decisamente interessanti è quello di immaginare, nel futuro, come verrà raccontato il nostro presente. Cercare di immaginare degli esiti macro e micro storici futuri di ciò che ora è davanti a noi è particolarmente complicato, tanto che numerose opere fantascientifiche si tolgono dall’imbarazzo ambientando la narrazione in un futuro così lontano da rendere il nostro presente invisibile. Un imbarazzo non da poco, perché immaginare una storiografia futura significa anzitutto indovinare quale episodio, fra tutti, diventerà un turbine point (una nuova Battaglia di Poitiers, piuttosto che una guerra mondiale). E se questo può sembrare abbastanza intuitivo quando si tratta di grandi battaglie o di potenti rivoluzioni, diventa pura invenzione quando si comincia a parlare di quei piccoli eventi che passano inosservati nel contemporaneo, ma che sono indicatori del fatto che da quel momento la storia ha preso una strada diversa.
Gli episodi che andranno a comporre, dunque, la storiografia del futuro, sono quelli che avvengono in questo momento sotto i nostri occhi, e sono basilari perché concorreranno a creare un certo sentimento attraverso le cui lenti la nostra epoca verrà descritta.
Le etichette storiografiche sono materia strana, tese tra lo sforzo scientifico di descrivere con puntualità e la creatività poetica di raccogliere l’esprit des temps. Questa duplice natura le rende, per forza di cose, approssimative, ma non per questo fallaci: il Medioevo, che è, letteralmente, l’età mediana tra l’Antichità Classica e la Modernità, è un’etichetta tanto problematica quanto di uso globale, tanto che ormai è praticamente insostituibile, a meno di forzosi repulisti.
Quale sarebbe dunque il nome con cui sarebbe conosciuta la nostra epoca tra gli storici del futuro? Anzitutto va puntualizzato che tutte le etichette che hanno a che fare con globale, globalismo e variazioni sul tema sono delle validissime candidate.
Le lunghe reti attraverso le quali il mondo moderno è interconnesso hanno aperto vertiginose possibilità di contatto e inedite varietà di commistione. Questo è assolutamente chiaro se si osservano alcuni dati abbastanza evidenti sulla velocità e sulla densità dei collegamenti: “Mai prima d’ora c’erano stati collegamenti veloci tra Vancouver e N’Djamena”, “Mai prima d’ora un Laotiano avrebbe potuto comprare un appartamento con vista su Margitsziget “. Questi esempi, spinti al paradosso, servono a mostrare quanto sia entrata nella nostra quotidianità l’immagine di un mondo collegato in ogni suo punto, spogliato del suo mistero-almeno della parte di mistero che si annida nella sua superficie- e quindi molto simile ad un’ enorme città.
Tale spazio è illusoriamente ad uso e consumo degli esseri umani, e questo è senz’altro vero, ma etichette quali quella di Antropocene sembrano decisamente troppo ambiziose e riduttive. Ottime per descrivere la nostra realtà attuale, cercando di sottolineare i campi di battaglia e le criticità dell’epoca in corso, ma decisamente troppo sfuggenti per farne il nome del nostro tempo.
Una possibilità da non sottovalutare potrebbe essere data dalla ripresa del nome di un’epoca passata, che somigli alla nostra. Ma bisogna considerare quanto questi paragoni siano difficili. In relazione alla forma politica si potrebbe essere tentati di parlare di Tarda Età Nazionale, o simili, per rendere conto della trasformazione in atto della forma statale di stampo europeo – trasformazione che potrebbe portare al fallimento o al rinnovamento totale della stessa- in favore di un modello federalista transnazionale – come già peraltro anticipato da diverse opere di fantasia.
Di certo, quando i futuri storici recupereranno i nostri documenti potrebbero arrivare a dipingere un ritratto fosco di cosa sia accaduto in questi tempi.
L’utopia della felicità da perseguire spasmodicamente come unico coronamento personale dell’individuo è considerato, dall’antropologa Cristina Cenci, uno dei problemi della nostra epoca, specialmente nei rapporti tra genitori e figli. Nel suo libro Parole Fertili, la ricercatrice analizza in maniera tangente un’altra delle caratteristiche della nostra epoca: la parcellizzazione dell’individuo rispetto al gruppo familiare, evidenziando le cause che portano i rapporti tra genitori e figli a farsi sempre più diradati e difficili.
Secondo alcuni teorici più radicali, Hakim Bey per esempio, i legami di sangue ufficializzati dalla società borghese sono destinati a sciogliersi in favore di un microcosmo di alleanze informali basate sulla condivisione di esperienze, pena l’apocalisse.
Apocalisse che è la protagonista dei discorsi culturali dell’Occidente, come a ragione nota Viveiros De Castro, e che è una trasfigurazione della fine del nostro ordine e della nostra epoca. Si potrebbe quasi dire che questo intero ragionamento non sia altro che una lunga e confusa elucubrazione generata da questa magnetica apocalisse che attrae l’Occidente in maniera così forte.