Il volume di Angelo Travaglini, Yemen. Dramma senza fine, edito da Città del sole edizioni, pone la giusta luce su un conflitto che ormai da otto lunghi anni sta dilaniando il Paese. Un dramma che si consuma tra la più totale indifferenza dei media e della comunità internazionale e che sta provocando quella che le Nazioni Unite hanno definito “la più grave catastrofe umanitaria dalla fine della seconda guerra mondiale”.
In questo assordante silenzio, parlare di Yemen rappresenta senza dubbio un importante contributo di conoscenza, non solo per sensibilizzare l’opinione pubblica e i decisori politici, ma anche per mettere in guardia da eventuali pericoli che potrebbero derivare da una guerra che, seppur percepita come lontana e circoscritta, potrebbe avere pesanti ricadute sulle economie europee e del Mediterraneo stante l’ubicazione del Paese che affaccia sul Mar Rosso e sullo stretto di Babel Mandeb da cui passano le principali rotte attraversate da copiosi flussi di merce che dall’Oriente puntano ai porti mediterranei e del vecchio continente.
Il pregio del lavoro è frutto di un ricco trascorso professionale dell’Autore che al termine della carriera diplomatica intrapresa nel 1973 si è dedicato allo studio delle realtà arabo-islamiche, approfondito anche grazie ai contatti con i colleghi che hanno svolto funzioni diplomatiche nell’area di interesse e le cui informazioni e testimonianze, per come dall’Autore stesso rivelato nella nota introduttiva del lavoro, “hanno fornito il principale sostrato dal quale è maturato il desiderio di apportare uno sforzo di riflessione sui temi attinenti alla realtà culturale e politica di quei Paesi”.
Il volume, impreziosito dalla prefazione della Prof.ssa Moriggi dell’Università di Trieste, fornisce un’analisi puntuale e dettagliata sull’intricato conflitto, mettendo bene in luce il ruolo dei numerosi attori coinvolti e offrendo anche una profondità storica nella quale si può rintracciare l’origine dei tremendi mali che affliggono oggi il Paese che – per come sottolinea l’autore – per via della popolazione di circa trenta milioni di abitanti, delle ingenti risorse di petrolio e di gas naturale e dei porti marittimi ben ubicati, avrebbe le potenzialità per assurgere a potenza regionale.
Sin dal 1918, con l’ascesa al trono del sovrano yemenita e amico degli italiani Imam Yahya nel nord dello Yemen (la parte meridionale era sotto tutela britannica), lo Yemen è stato al centro delle bramosie dei vicini che, oltre a voler mettere le mani sulle risorse, mal sopportavano, e tutt’oggi mal sopportano, il forte radicamento all’aspetto identitario del popolo yemenita. Ne è prova la guerra di frontiera combattuta nel 1934 con il Regno saudita, e conclusasi nel maggio dello stesso anno, in cui lo Yemen, allora appoggiato anche dal Regno d’Italia, prese le province di Asir, Jzan e Naira, abitate da comunità di fede sciita e tutt’oggi rivendicate dagli Houthi.
Per come bene emerge anche dal testo, fu l’aggressione ordita da Nasser nel 1962 con finalità sia geopolitiche che economiche a creare le condizioni dello strutturale indebolimento del Paese. La guerra, protraendosi fino al 1970, pose fine alla monarchia, supportò la nascita di un’entità socialista nella parte meridionale del Paese con l’avallo dell’allora Unione sovietica, rivelandosi tuttavia umiliante sotto il profilo militare per le forze egiziane. Il conflitto, inoltre, rappresentò l’anticamera per l’ascesa al potere, qualche anno più tardi, del dittatore Saleh resosi protagonista dell’unificazione del Paese negli anni ’90, con la precipua finalità di valorizzare le risorse nazionali a beneficio delle potenze esterne e le cui politiche inaugurarono una lunga e cruenta stagione di lotta portata avanti dagli Houthi che costituiscono i maggiori protagonisti anche dell’attuale conflitto. A tal riguardo, l’Autore ci tiene a sgomberare il campo da interpretazioni semplicistiche del conflitto, e divenute narrativa dominante, secondo le quali lo scontro in Yemen altro non è che una “proxy war” tra Arabia Saudita e Iran, con gli Houthi posti al servizio degli interessi iraniani nella Penisola arabica. Travaglini, infatti, delinea dettagliatamente i tratti del movimento portando in superficie le reali caratteristiche di cui va fiero e tra cui spiccano l’identità araba e lo sciismo zaydita (differente da quello iraniano) e le battaglie di liberazione e autodeterminazione del popolo yemenita. Ne è prova l’adesione popolare che riscuote nei territori in cui è presente dove non vi è conflittualità tribale per come diversamente accade nella parte meridionale del Paese, in cui sono presenti diversi gruppi ed entità, tra cui Al Quaeda.
Gli Houthi, che anche sotto il profilo militare si presentano bene strutturati e armati – per come del resto testimoniano le difficoltà riscontrate dai sauditi in questi otto lunghi anni – per l’Autore incarnano l’espressione di un popolo che costituisce il fronte della resistenza per eccellenza considerato che, per mutuare le sue stesse parole, “da un secolo si oppone con determinazione ad un suo asservimento a Potenze straniere…o alla sua integrazione nel mercato globale, governato da leggi al di fuor dal suo controllo”. Pertanto, sottolinea Travaglini, la dipendenza degli Houthi dagli iraniani non deve essere data come scontata, ma letta come un allineamento dettato dalle circostanze politico – militari facilitata dall’aggressione saudita del 2015.
Travaglini, inoltre, delinea in modo analitico il quadro delle vicende definendo ruoli e interessi sia dei maggiori attori coinvolti direttamente sul terreno, quali appunto Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, ma anche di quelli che si muovono dall’esterno – USA, Gran Bretagna, Iran –; il tutto senza tralasciare il contesto fluido in cui procede il conflitto e ciò, sia sotto il profilo regionale che internazionale. Con riferimento all’Arabia Saudita e agli EAU è bene precisare che seppur alleati perseguono strategie ben differenti nel contesto yemenita. Così, mentre i sauditi sembrerebbero più interessati alle ricchezze minerarie del Paese, trovandosi al momento in difficoltà anche economiche per le ingenti risorse impiegate in una guerra da cui non riescono a venir fuori, Abu Dhabi, di contro, ha già potuto insediarsi nei luoghi di interesse strategico. Tra questi, la città portuale di Mocha, l’aeroporto di Mukalla, il porto di Aden, nonché l’isola di Socotra nell’Oceano Indiano. Quest’ultima, per via della sua importanza strategica, assume connotazioni egemoniche che entrano in contrasto con la postura dell’Arabia Saudita.
All’interno di questa tenaglia che ha già provocato migliaia di vittime, lo Yemen continua a sbriciolarsi mandando così in frantumi il sogno di salvare San’a per cui, come ricordato dalla Moriggi nella prefazione, si spese anche Pasolini.