È difficile entrare nei sogni di un grande autore perché, come sosteneva Carmelo Bene, per capire un poeta bisogna essere un poeta. Aveva dannatamente ragione. Per avvicinarsi al genio bisogna saper chiudere gli occhi, accecarsi, tramontare, smarrirsi per vedere davvero, per aprirsi in questo modo all’ascolto. La poesia, però, non appartiene solo alla parola scritta, ma si manifesta tramite molte forme, dalla lirica alla liturgia, soprattutto attraverso la canzone. La musica secondo alcuni è l’arte più alta, sicuramente quella più astratta, la cui forza risiede proprio nell’essere una misteriosa forma del tempo e dell’assoluto. È un ponte tra il divino e l’umano con cui l’artista realizza un dipinto fatto di suoni, realizzato con i colori delle emozioni, una danza armonica e circolare, come nell’opera di Matisse, o una dissonanza interiore volta al mirarsi addosso, a raccontare il verme interiore, come in Francis Bacon. Poesia, musica, pittura possono confluire tutte insieme generando emozioni potentissime ed immagini straordinarie. Il poeta che introduciamo oggi è un artista eclettico, dalla scrittura versatile e lirica, in cui si fondono Opera e pittura astratta, cantautorato e rock, elevando il pop a nuovo classicismo, grazie agli innumerevoli accostamenti e confronti con i più grandi compositori della storia. Morgan, al secolo Marco Castoldi, è stato ed è tutt’ora il più grande dissidente della musica italiana contemporanea, l’ultima vera rockstar che, in un’era di finti ribelli, mostra costantemente un coraggio e una coerenza di un uomo che non sceglie di essere diverso per posa o vezzo, ma perché è unico.
Io non mi curo, non intendo ringiovanire, non ho nulla da preservare o centellinare. Non ho giorni da dimenticare. Fotografie nascoste o ambizioni di perfezione. Io non simulo il mio progresso, perché son contro me stesso.
Morgan
Enorme cantautore, polistrumentista, maestro d’orchestra, compositore, tra le migliori penne della canzone italiana, è stato amato dalla musica in persona: Celentano, Zero, Paoli, Endrigo, e osannato dalla grande critica per la complessità dei testi e la genialità nel creare nuovi nomi per chiamare le emozioni in note. Salito sulla vetta del successo mondiale a capo dei Bluvertigo con cui si presenterà a Sanremo varie volte con brani cult, uno tra tutti L’assenzio, dal 2003 prosegue il proprio percorso artistico da solo aggiudicandosi il premio Tenco come migliore opera prima con l’album Le canzoni dell’appartamento, contenente il suo capolavoro Altrove, definito dalla rivista Rolling Stone come il miglior brano italiano del 21esimo secolo. Negli anni a venire il suo talento inarrestabile lo condurrà a grandi trionfi. Morgan, genio visionario al di fuori del proprio tempo, italiano in Algeri, è un simbolo, come Baudelaire, dell’artista che, mentre compone e suona, riesce a trascrivere le ierofanie della vita. Lo si può immaginare seduto al pianoforte con una sigaretta in un notturno illuminato da una luce soffusa mentre suona, passando da una canzone di Tenco o De André a David Bowie, dalle sinfonie di Bach all’Eroica di Beethoven, proseguendo magari tra i suoi più famosi brani come La sera, Amore assurdo, Spirito e virtù, Aria, The baby fino all’immancabile Altrove, prosciugando con la sua musica la notte del suo silenzio e del suo mistero. Un artista iconico, un mito vivente, una rockstar imperdonabile, conoscendo Morgan si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un uomo di una inaudita gentilezza, di una dolcezza miracolosa e malinconica, capace di conservare una tenerezza incorruttibile che persiste nonostante gli attacchi di una stampa mediocre e di un senso comune squallido che lo definiscono senza conoscerlo, che lo giudicano senza capirlo.
«Il lato della tenerezza è forse l’unico che può dare esempio. L’uomo che piange è un modello, però dipende dal perché piange e che suono fa quando è perso nel pianto. Io spesso piango, ovviamente quando sono solo. Piango per delle cose piccolissime, magari sento un odore che mi ricorda qualcosa e mi strugge… ma quella è la scintilla e dopo due minuti penso al Cristo e piango anche per lui. Ogni volta che piango torno sempre lì. Questa è la tenerezza».
Morgan
In questa dichiarazione c’è il vero volto di Morgan, lo sguardo sensibile e penetrante, di un artista ammaliante, profondo e delicato, inattuale e imperdonabile, colto e ascetico, che, insieme a Franco Battiato, ha saputo nascondere nelle sue opere il canto segreto del dolore dello spirito e dell’uomo. «Ed è in certi sguardi che s’intravede l’infinito», recitava il testo di una celebre canzone del compianto artista siciliano, appunto. Della sua figura tutto s’è detto ma senza andare a fondo, senza alcuna ricerca, descrivendone false sagome e facili stereotipi, per nulla veritieri. Questo però è il destino di colui che in solitudine affronta i giganti. Uno contro tutti. Sempre in trincea, abitando la battaglia senza mai fuggire. Degna è la vita di colui che è sveglio, e allora il nostro (anti) eroe non può che divenire un faro per tutti gli irregolari, i non conformi, coloro per cui l’arte ancora ha un valore e non un prezzo, un valore supremo, sacrale e umano, liturgico e profano, intollerabile e inaudito. Per tali motivazioni come autori di questa intervista ci siamo accostati a Morgan con la distanza e la gratitudine che avremmo riservati a Baudelaire, a Satie, a Pasolini, a Tenco, ovvero a tutti quegli uomini che sono stati dei maledetti, perché vissuti in un’epoca in cui poesia e spiritualità sono maledette, come disse Quadrelli, e che quindi, conscio di questo suo fardello, ha sempre scelto la via del bosco, della sensibilità, del mistero. Solo contro tutti, da vero uomo contro. «Non sono di nessuna fazione, li combatterò tutti», diceva Louis Antoine de Saint-Just, e potrebbe essere l’epigrafe di Morgan, il riassunto della lotta di un musicista in costante ricerca, di un sognatore che non ha mai smesso di lottare per un bene superiore, la musica, riuscendo forse attraverso essa a «donare un’anima al Pensiero».
-Lei è tra i musicisti più anticonformisti del panorama italiano, la cui forza non risiede solo nel suono o nella voce ma soprattutto nel testo. Partendo da questo, come nasce La sera?
La Sera nasce innanzitutto tra le canzoni del mio secondo album di inediti da solista, Da A ad A, un disco molto articolato dove ho fatto un ampio uso dell’orchestra allargata, sinfonica, assieme al gruppo rock e all’elettronica. Il disco, estremamente diverso dal precedente Le canzoni dell’appartamento, è molto eterogeneo. La canzone in questione nasce in modo assolutamente sperimentale, con un carillon smontato e di cui ho campionato ogni singola nota. Sono partito dal loop generato da quel campionamento, ottenuto attraverso la cassa dell’amplificatore del basso, questo ha generato le armonie e le melodie del pezzo da cui è cominciata questa avventura di canzone che ha impiegato tantissimi anni prima di arrivare alla versione strutturata e ascoltabile.
Poi, non è stata inserita all’interno del disco perché era ancora informe e così ha subito una lavorazione di arrangiamento e allo stesso tempo ha avuto inizio anche la mia diversa maniera di concepire la musica. La cosa strana è che stiamo parlando di un brano del 2006 e arriviamo al 2010 che ancora la sto lavorando per poi presentarla, infine, nel Sanremo compromesso dalla famosa intervista che mi fece sbattere fuori a priori. Stiamo parlando di un arrangiamento che è piaciuto moltissimo all’orchestra che addirittura applaudiva durante le prove prima che io fossi eliminato, ed esistono anche le registrazioni di queste prove così esaltanti. Tutto ciò è paradossale se pensiamo che io, come musicista che compone arrangiamenti e anche come direttore d’orchestra, mi sono sempre distinto da quel che circola, facendo uso di dissonanze e mescolanze timbriche, portando la musica pop ad una complessità tale da essere paragonata alla classica e questo i musicisti e gli orchestrali l’hanno sempre apprezzato. Poi è arrivato un altro Sanremo disgraziato, mi riferisco a quello del 2020, dove fui contestato dall’orchestra per via di un sabotaggio. Che fu costruito volutamente per distruggermi la reputazione dando vita al caso Bugo che è molto articolato.
-Spesso le sue canzoni nascondono un profondo senso di malinconia, come un’ombra che fluttua nell’oscurità ma che, in fondo, genera nuova luce.
La prima volta che ho sentito parlare di ombre nelle mie canzoni è stato perché Ivano Fossati mi aveva chiesto di fargli ascoltare dei brani dato che stava iniziando a lavorare ad un disco con Mina dal titolo Fossati-Mina. Così, parlando, era curioso di ascoltare dei miei brani per capire se poteva introdurli proprio perché aveva l’intenzione di scrivere assieme a me in occasione di questo progetto. Gli mandai cinque pezzi miei che stavo scrivendo in quel periodo e Fossati mi rispose dicendo che vedeva troppe ombre in quelle canzoni e che non andavano bene per Mina. Rimasi sorpreso di questa definizione perché non avevo mai riflettuto su questo aspetto, devo però dire, a mio avviso, che non credo si tratti di ombre. Si tratta invece di quel che la luce del sole realmente produce, che è anche ombra. Senza di essa non può esistere la luce e quindi per forza le canzoni con ombre sono canzoni illuminate. Private dell’unione tra luce ed ombra sarebbero piatte. Le mie sono canzoni che hanno una connessione con la realtà e con questo termine intendo dire che hanno a che fare con la realtà dei sentimenti, una materia estremamente complessa e ricca di chiaroscuri e anche per questo credo abbiano svariato realismo.
-Per lei la musica è una preghiera? Una misteriosa forma del tempo?
Sicuramente la musica è molte cose, tra le quali anche la preghiera. Questo avviene perché si tratta di una pratica di meditazione, di trance, di perdita di coscienza. Vi è una connessione con una dimensione “altra” che sicuramente è metafisica. Una dimensione che trascende la materia. La musica domina il tempo perché ha il potere di controllarlo, lo assume e ne fa quel che vuole. L’essere umano non può tornare indietro nel tempo, la musica si e quindi ne diventa proprietaria dimostrando nuovamente di essere una connessione con regni metafisici. In questo è anche una misteriosa forma del tempo.
-Nei mesi scorsi lei ha fatto una analisi del testo de L’uomo in frack, celebre canzone del sacro Modugno. Il suo capolavoro Altrove è stato spesso assimilato a quella vena poetica, che ne pensa?
A proposito dell’analisi, con L’uomo in frack, non riesco a trovare la connessione con Altrove perché spesso il mio modo di analizzare un brano è volto a mostrare un punto di vista altro rispetto a chi l’ha scritto, dato che scopro delle proprietà a cui lo stesso autore non aveva pensato. Spero che qualcun altro approcci alla mia canzone come io ho fatto con quella di Modugno e tiri fuori delle proprietà nascoste che vanno al di fuori di me. L’uomo in frack è una canzone che ho ragionato, esplorato, trovandoci la dimensione metafisica nel senso poetico e non epico e dunque, mancando l’io narrante, mancando la ragione della collettività, della storia, delle gesta eroiche, rimane solo la dimensione metafisica appunto. Altrove invece è lirica, nel senso che ha un io narrante che è una persona, il che è totalmente diverso da L’uomo in frack perché in quel caso non c’è è proprio l’essere umano.
-Una volta ha precisato il fatto che all’interno di errore è contenuta la parola eroe, specificando che questo è parte dell’ideale presente nel romanticismo. Secondo lei la caduta, l’errore, può fornire il punto di partenza per una opera?
Ho scoperto, giocando con queste parole, che nel suono della parola errore, non nell’etimo, paradossalmente vi è la parola eroe, che rappresenta il contrario. L’eroe è colui che non sbaglia mai, che aderisce perfettamente al destino ma è anche quello che lo stesso destino sfida. Egli è in controllo di sé stesso, l’errore invece è quello che lascia, perde, esonda dalla giustezza, ferma ciò che procede e rendendo così non funzionante qualunque cosa funzionasse prima. L’ingranaggio s’inceppa. Ma dell’errore, proprio perché contiene eroe, non avevamo previsto una cosa. L’eroe che va contro il destino senza accettare quel che deve essere fatto nella maniera che vada al di là di lui diventa l’errore. Dice “io esisto” ed è proprio in quel punto, quando afferma sé stesso, fa in modo che si ribalti quel che è stato disegnato senza il suo volere perché entra in gioco con la propria unica e totale diversità. Con la propria autonomia, con la propria coerenza, decide quel che è giusto per sé stesso in barba al destino. Quell’eroe che è dentro l’errore, è l’artista.
-Come si diventa un imperdonabile nel mondo dello spettacolo?
Innanzitutto il mondo dello spettacolo è altra cosa rispetto al mondo dell’arte, che è altra cosa rispetto al mondo della creatività, che è altra cosa rispetto al mondo della sperimentazione artistica, che è altra cosa rispetto al mondo dell’invenzione e delle idee, che è altra cosa ancora rispetto al mondo della cultura, e quindi della musica. La musica è cultura senza alcun dubbio, stessa cosa vale per il rapporto tra musica e arte, ma sull’unione che si fa musica-spettacolo mi sorgono alcuni dubbi. Non è detto che per forza debba anche essere spettacolo. Per me lo è perché ho un’idea spettacolare della musica ma questa è una mia personale visione. Penso per esempio a Bach, la cui musica non ha nulla a che fare con la spettacolarità, è pura musica e basta. Poi, se vogliamo, possiamo intendere lo spettacolo con il musicista che esegue il brano ma questa è un’altra declinazione perché non c’entra nulla con la musica in sé. La musica è una forma di comunicazione, di introspezione. Una forma di struttura importante di connessione all’interno dell’universo umano tra il sentimento, il ragionamento e quel che riguarda il rapporto con gli altri. Si tratta di un punto altissimo, il crocevia più evidente tra la tematica e il poetico.
Il mondo dello spettacolo invece è altra cosa. Innanzitutto c’è molta violenza, molta infelicità. È pieno di stupidità e ignoranza, cosa che nella musica tendenzialmente non c’è. Il mondo dello spettacolo non ha nulla a che fare con quello della purezza, è invece molto legato all’interesse personale e alle peggiori espressioni dell’uomo moderno: sempre arrabbiato, infelice e disperato, una rappresentazione costante di guerra, di predominio, abuso, dominio sugli altri concorrenti dello stesso mondo. Colui che offre un intrattenimento, a cui non si può credere davvero, che adesso è comico e poi è tragico, fa piangere, fa ridere, ora fa paura, ora è sanguinario. Il mondo dello spettacolo è un pentolone delle streghe dove frigge dentro di tutto, dove ci sono le pozioni magiche dei millantatori-stregoni, c’è morte, puzza, non-chiarezza di forme, un luogo in cui non si capisce dove finisca una cosa e dove inizia l’altra. Possiamo dire che è una rappresentazione horror in cui spietatezza e criminalità la fanno da padrone. Un mondo che mette in scena l’orrore, che ogni tanto fa ridere ma poi diventa horror, è tragicomico e sentimentale, consolatorio in cui si passa da uno stato emotivo all’altro senza continuità. Il mondo dello spettacolo è un posto spaventoso. Per cui, non vedo come possa essere un imperdonabile all’interno di un contesto in cui non esiste il perdono. Come si fa a capire il perdono all’interno di un universo sregolato? È un concetto che sta di casa dove c’è rispetto, dove esiste la civiltà e la dignità ma il mondo dello spettacolo non è dignitoso.
Io sono in grande contrasto rispetto all’insensibilità e porto questo tipo di visione in un contesto che crede di poterla tritare assieme a tutto il resto, che la fagocita, perché se ne frega se arriva un essere che parla una lingua diversa proprio per il fatto che non è interessato a cosa dice. S’interessa soltanto a quanto rende in termini economici quel che dici ma se ne frega dei tuoi contenuti. Non può esistere l’imperdonabile nel mondo dello spettacolo, perché queste persone non sanno cos’è. Basta pensare alla frase sciocca «The show must go on» che tutti amano mettersi in bocca quando si trovano davanti ad un problema morale, quando invece bisognerebbe cessare di fare chiasso e di sparare stronzate perché c’è qualcosa di grave e invece è proprio lì che tirano fuori la carta del «The show must go on». Quando Tenco si è ucciso a Sanremo Mike Bongiorno è andato avanti lo stesso nonostante il povero suicida avesse scritto: «mi ammazzo perché le canzoni fanno schifo», però ecco che viene fuori «The show must go on». Il mondo dello spettacolo è sciocco e la cosa bella è vedere come questa stupida frase venga poi utilizzata dagli stessi anche al contrario, nell’ipocrisia del dire: «quando c’è il covid non si fa spettacolo» e invece, siccome il teatro, le canzoni, i film, i romanzi sono il luogo in cui si esprimono l’anima e l’intelligenza dell’essere umano è proprio lì che bisognerebbe fare il ragionamento sulla pericolosità del «The show must go on». Se il suicidio di Tenco avesse fatto scattare un certo ragionamento, una comprensione del gesto e avesse tolto dal torpore tutti quelli che lavoravano al Festival, potevano dire: “Andiamo avanti ma come ci insegna il nostro amico che è morto per questo. Quindi d’ora in poi the show must go on ma non come credete voi e lo show andrà avanti e il premio non lo daremo a Iva Zanicchi, lo daremo a Tenco che non lo potrà ritirare perché è morto però se lo merita”. Questo vuol dire veramente «The show must go on», perché lo spettacolo continua ma illuminato dal sacrificio dell’artista.
-Come mai, nonostante il successo delle sue ospitate televisive, non è mai stato fatto un programma da lei condotto o creato?
Questa domanda bisognerebbe rivolgerla ai direttori televisivi. Sarebbe un miracolo se rispondessero, perché non è mai capitato né a me né ai miei collaboratori. La realtà è che sono più di dieci anni che vivo una condizione molto faticosa che mi ha fatto male da un punto di vista artistico: la realtà di essere il migliore comunicatore musicale attualmente in Italia. La mia, a differenza di molti, è una conoscenza vera proprio perché, oltre ad essere un bravo divulgatore, posso dire che quel che so, che è dovuto al fatto di essere musicista. Quindi, secondo la definizione di cultura secondo Chomsky, sono in grado di mettere in pratica quello che dico. Negli ultimi dieci anni sono stato usato dal sistema televisivo italiano in cui ero l’unico diverso in mezzo ad un mondo di figure superficiali. Ancora adesso mi capita di essere utilizzato nei contesti in cui sono ospite, come il personaggio che porta servizio pubblico e che raggiunge il picco di ascolti. Giustamente ci si chiede, perché allora non mi danno uno spazio?
La risposta è semplice: perché diventerei molto forte. In realtà, se questi mi dessero anche soltanto dieci minuti in fascia notturna su un canale come Rai 3, dove però io sono il padrone di casa e decido cosa fare, questo cambierebbe la mia vita e pure la televisione stessa, cosa che loro non vogliono. Questi in realtà sono l’Italia peggiore, quella ignorante e del potere economico nelle mani di pochi, che se lo tengono stretto facendo terreno bruciato attorno per una smania di potere. Sono gli stessi che poi hanno paura di me e infatti sentono il bisogno di gestirmi, di tenermi sotto controllo ed infine, nonostante il grande regalo che faccio di volta in volta all’azienda, per così dire, il modo in cui fanno veicolare le notizie su di me ha sempre la modalità della diffamazione e del mobbing. Io sono al centro di un vortice di mobbing spietato che viene portato avanti scientemente sia dai direttori di rete che dai personaggi esterni i quali contano di più dei produttori stessi. Tali figure mi temono perché ritengono che sia una minaccia. Io dico innanzitutto che non hanno nulla da temere perché a me non interessa la loro posizione. Io dal momento in cui ho un tetto, del cibo e dei vestiti che mi coprono dal freddo, sono apposto e tutto il denaro che c’è in più per me è una sconfitta, come direbbe Silvano Agosti.
È ovvio che il mio discorso non lo possono comprendere, perché a differenza loro ho un bisogno di espressione artistica e non di denaro. A differenza dei signori di cui parlo non voglio che il popolo rimanga ignorante, che venga gestito senza il consenso. Al contrario, sogno una società forgiata dal pensiero. Non hanno neanche saputo sfruttare quindici anni di vicinanza a me illudendomi che avremmo fatto un sacco di progetti che gli proponevo, fantastici, chiedendomi prima di fare l’ospite in diverse mentre continuavano a rimandare tutto di sei mesi in sei mesi e alla fine sono invecchiato e mi ritrovo a cinquant’anni. È uno scandalo culturale. Purtroppo ha trionfato la strategia della paura, tant’è vero che le persone sono quasi interamente diventate come piacciono a loro, gestibili e subalterne.
-Di fronte all’avanzamento del regno della quantità e dell’annullamento dell’individuo come può l’artista trasformare il rapporto con i propri collaboratori per sfuggire al sigillo dell’omologazione?
Ecco cosa si dovrebbe fare: istituire una cattedra, inventare una nuova necessaria e rivoluzionaria disciplina, da studiare perché aiuti l’uomo moderno. Questi è costretto all’utilizzo della macchina, ma tenuto ignorante della macchina perché il sistema possa renderlo schiavo, non pagarlo, dominarlo, usarlo in molti modi illeciti senza che si accorga e, infine, controllarlo nel caso gli sembri un tantino più evoluto degli altri quindi pericoloso. In quel caso o verrà punito o subirà mobbing e pesantissimo sabotaggio nel suo lavoro al limite da andare fuori completamente di testa, o si farà in modo che lavori per loro, senza esserne conscio, perché gli si costruisce nella macchina un universo di automatismi al comodo della finalità incognita che il suo lavoro contribuisce a raggiungere. In questo caso, è probabile che ci si assicuri che usi molta sostanza stupefacente quando è a contatto con la macchina, e ciò si farà perché in questo modo egli assocerà, connetterà la dipendenza tossica con il lavoro intellettuale digitale al computer, e la simbiosi genererà una specie di stakanovista di clausura, geniale e creativo, solitario e ricattabile, controllabile, usabile, e non in grado di liberarsi da quella condizione in cui magari lavora 48 ore di fila senza mangiare, senza andare in bagno, senza alzarsi da una sedia, e se vorrà denunciare quello che di spaventoso gli sta capitando nella vita tutti gli rideranno in faccia o molti, che non hanno la più pallida idea di cosa significhi essere dei grandi artisti o dei veri intellettuali, o semplicemente delle personalità creative ed inventive oggi al computer, diranno: è una tua scelta, sei disordinato, sei inconcludente (senza immaginare che si fa un mazzo incredibile per altra gente che sfrutta le sue invenzioni disturbando i suoi percorsi creativi che non controlla più, e gli diranno i beoti: sei inconcludente! Non consegni i progetti! Sei inaffidabile!).
Nonostante molto probabilmente sarà una mente incredibilmente funzionante, altrimenti a nessuno importerebbe di ciò che fa, nella società media, nell’opinione comune, tra la gente normale alla luce del sole e della vita sociale nessuno gli darà attendibilità, lo lasceranno solo, condannato a sbrigarsi da solo quella allucinazione involontaria che alterna genio e criminale a piacimento e che usa il talento pregiato e raro per finalità che, tutto sommato, non sono nobili. Questo perché, anche laddove si appropriano di progetti e li mettono sul mercato, saranno sempre approssimativi e meno potenti di come sarebbero stati se il loro inventore fosse stato coinvolto nell’impresa in modo scoperto e dignitoso con una paga e dei compiti precisi, firmando la paternità di una sua idea e conducendola al completamento perfetta e giusta, non totalmente fuori fuoco come invece accade.
Il tragico protagonista del progresso tecnologico si chiama Hacker/Cracker, ce ne sono molti di più di quante siano le ragazze abusate dagli adulti ma esattamente come loro la violenza subdola che subiscono regolarmente non riescono a confessarla facilmente, per la paura che hanno oggi e la vergogna che temono di domani. Per restituire libertà alle persone e riprendere la dignità perduta strappata agli esseri umani di oggi bisogna iniziare a guardare veramente la scrittura del mondo, le parole, i messaggi, i comandi, dove sono, come sono, che colore hanno, quando arrivano, quanto stanno, quando se ne vanno, cosa vuol dire quello che guardo, perché lo sto guardando, aprire gli occhi sulla parola e sul messaggio non è altro che grafica del linguaggio.
-Crede che dopo di lei ci saranno nuovi Morgan?
Secondo me c’è un errore di fondo, perché tutte le esperienze, umane e artistiche, sono uniche e per questo non ripetibili. Intendo che il passaggio sulla Terra degli individui è una one shot e questo è ciò che dovremmo mettere a fuoco proprio per il suo essere irripetibile: l’incontro tra i suddetti individui, la società ed il tempo in cui vivono. Quando è passato sulla terra Pasolini la società era in un certo modo e l’Italia di quegli anni era diversa, David Bowie ha compiuto il suo passaggio in quel tempo in Inghilterra, De André lo ha compiuto nella sua Genova nel secondo Novecento. Ogni essere umano, non soltanto artista, può essere un creatore. Mi riferisco all’essere umano compiuto, colui che si è accorto del Sé in relazione agli altri, ossia colui che è cosciente e che ha avuto in dono il talento dell’intelligenza, d’una sensibilità. Queste sono armi potenti se combinate, ed ecco che succedono degli individui. Dico “succedono” perché in realtà l’individuo è un accadimento che può avverarsi solo se ci sono certe condizioni esterne a lui, perché costui mette del suo, ma fuori da sé vi è la società, lo spazio in cui si manifesta la vita. Ecco perché le mie invettive spesso sono rivolte all’Italia di oggi, che è totalmente incapace di accorgersi e quindi di lavorare per magnificare la bellezza, per far emergere e valorizzare il talento e il genio, soffocandolo invece fino ad annientarlo. Tutto ciò accade per quali ragioni?
La massa annienta l’eccellenza con l’irragionevole omologazione e il torpore che purtroppo gli è stato somministrato, ma chi ha il potere di fare le scelte annulla consapevolmente, volutamente, l’individuo che eccelle per suo merito. L’eccellenza e il merito possono anche essere anche di livello medio, nel senso che ci sono parecchi individui che si stagliano sulla norma, ma poi ci sono quelli super meritevoli che arrivano veramente in alto e che automaticamente diventano una vera minaccia. Allora, o i super meritevoli sono eticamente corrotti, privi di alcuna visione etica e quindi sono quelli che abbiamo costantemente davanti, questi sedicenti artisti, oppure saranno persone che faranno una grande fatica ed il loro emergere è una fatica immensa, un campo di battaglia. Nel mio caso è così. Non credo ci sarà un nuovo De André o un nuovo Pasolini, è ovvio. Uccidere Pasolini vuol dire rinunciare per sempre a quel mondo, a quelle idee, perché ripeto, gli accadimenti individuali non sono replicabili. Queste sono semmai scintille che vengono offerte a quegli individui, ed è un’occasione per brillare e se, nonostante questo, per esplodere come bombe non si verificasse alcuna luce diversa, sarebbe sprecata.
Ad esempio, quando a volte qualcuno dice che io sia l’erede di Battiato o di de André credo non sia accettabile, anche perché a quel punto scattano subito dei paragoni ed è ovvio che salta fuori chi dice: “Come ti permetti di paragonarti a …” Non c’è nessun erede di Battiato, e men che meno io, però c’è un’eredità ed è un’altra cosa. C’è un insegnamento, un lascito di quel che ha fatto, detto, scritto che esiste e se esiste deve poter penetrare in tutti perché, altrimenti, se io sono l’erede, gli altri cosa sono? Gli spettatori? No. Quello che è il prodotto della sua creatività, è nutrimento, e nel momento in cui nutre è ovvio che entra nel nostro tessuto muscolare, epidermico, e diviene parte di noi. Credo che, per quel che ho fatto, non sono ancora realizzato al punto da pensare che ci sia una capacità di raccogliere ciò che ho prodotto per via dell’ostruzionismo dell’Italia di oggi in cui, se fossero capitati, i grandi da me citati avrebbero subito maggiori difficoltà. Oggi Battiato non sarebbe potuto esistere, così come David Bowie non avrebbe venduto tutti quei dischi in Italia perché i discografici dell’Italia di oggi non amano certa musica, così come non permettono a me di fare i dischi che vorrei fare.
-È cosciente di essere l’ultima rockstar italiana?
È inutile fare i finti modesti. Sono cosciente di essere uno che sa perfettamente cosa sia il rock n roll, perché posso vivere in quella determinata maniera. II rock‘n roll è stato frainteso a causa del sex and drugs, che in realtà è un fattore esterno, ma esso, oltre ad essere un genere musicale, è uno stile di vita che coincide con l’essere libertario, l’essere anticonformista e quindi tutto ciò che si ritiene opportuno nelle circostanze. Non vuol dire essere una cosa specifica come i cacciatori o militaristi, vuol dire invece sapersi comportare in modo libertario in qualunque circostanza. Rock‘n roll vale a dire non avere padroni. Questo non significa essere impertinenti, tutt’altro, può essere molto elegante l’atteggiamento del rock proprio perché è la libertà rispetto a noi stessi, essendo coerenti e non facendo in modo che altri ci instradino in sentieri non decisi per nostra volontà. In fondo tutti i bambini sono rock e tutti i poeti possono definirsi in tal modo, perché la poesia coincide con quanto detto. Saper esprimere le emozioni profonde a parole è un atto rock‘n roll.
Gli italiani all’estero vanno in branco, fanno risse, sporcano, diventano degli animali perché non hanno la curiosità e il rispetto per ciò che è diverso da loro. Criticano tutto quel che non è in linea con la loro visione e purtroppo la cultura nostrana attuale è messa male. Poi ci sono i giovani, quelli che fanno tanto i moderni, coloro che lottano contro tutto ciò che per loro è vecchio per portare il mondo verso un “nuovo”, ma il nuovo degli italiani è molto più vecchio di certe esperienze passate. Quello che in realtà è lo spirito di modernità di un essere umano che troviamo, ad esempio nel Settecento in Mozart, oggi è identicamente moderno e avanguardistico. La modernità di Mozart non ha nulla a che fare con l’età anagrafica o il periodo storico. Infatti anche Carmelo Bene, nella sua età più matura, era molto capace di anticonformismo e di pensiero libertario. Io non dico di essere stato l’ultima rockstar, anche perché nel nostro paese non è che ce ne siano state tante, tra le poche eccezioni potrei citare Loredana Bertè, Eduardo Bennato, Carmelo Bene, Franco Battiato, Renato Zero. Sinceramente anche i Måneskin a parer mio sono rock, anche se più per un fattore estetico. Ora, sono ancora adolescenti, ma spero che riescano a coltivare un pensiero libero. Luigi Tenco è stato una vera rockstar e lo è tutt’ora, perché è un simbolo, e quindi rimane dopo la morte.
La visione che ne hanno le persone retrograde non ha nulla a che fare con l’essenza di una visione di vita. Libertario significa che la libertà è il valore primario, coincide con l’anarchismo che è una parola il cui significato è legato all’ambito politologo, politologico e di ragionamento sulle forme governo. Libertario sta a significare la stessa cosa ma su un piano individuale, mentale, psichico e filosofico, dunque vuol dire avere uno spirito che pone la propria libertà al di sopra di tutto. Con libertà personale s’intende automaticamente anche quella del prossimo, perché non rispettare gli altri ed essere egoisti non può permettere quella libertà concreta di cui stiamo parlando. Un libertario si accorge sempre della presenza altrui, non invade gli spazi degli altri, non occupa, non è un prevaricatore e quindi un violento. In realtà si sforza a capire chi è diverso da lui ed è per questo che è più aperto a tutte le possibilità. Direi, infine, che è l’espressione artistica dell’intelligenza e della vastità della mente. Persone come Alice Cooper, David Bowie o John Lennon sono state delle vere rockstar ma, al tempo stesso, tra le più acculturate che questo pianeta abbia avuto, e lo si capisce dal loro linguaggio multiforme, dal sapersi modellare in base al contesto in cui ci si trova. Tutto ciò non può esistere in Italia, perché questo Paese è conformista, in cui solo le regole possono primeggiare e se non ci fossero neanche quelle, ci sarebbe il caos, la barbarie.
-Molti la paragonano a Carmelo Bene, sia per l’inventiva sia per la genialità artistica. Che rapporto ha con Carmelo Bene? E farebbe mai un uno contro tutti come il maestro di Otranto?
Possiamo dire che Carmelo Bene è un santo. È un grande patrimonio della cultura di cui ogni italiano può andare fiero nel mondo e potrà farlo per sempre, perché episodi come l’avvento, l’epifania di Carmelo, sono universali; il suo gesto nei confronti della vita, del teatro, della voce così come della scrittura e della cultura sono universalmente validi e sempre potenti in tutti i tempi e in ogni spazio… in ogni luogo. Ha raggiunto uno dei massimi livelli possibile del talento e della lucidità mentale di tutti i tempi. Un vero uomo di spettacolo. Io non sono assolutamente paragonabile a lui, soprattutto perché il suo livello di erudizione era sorprendente, io so di essere una persona colta, ma lui lo era molto più di me. Carmelo Bene è uno dei miei beniamini e ci sarà sempre nel mio cuore, così come nella mia testa, ma egli è solo contro tutti. Per me è un po’ la stessa cosa da diversi anni, io sono sempre quell’uno contro tutti, sempre.
-Ha ancora dei sogni?
Certo che ho ancora dei sogni. Sono di natura artistica, ma posseggono una propensione al bene degli altri. Il mio sogno è di rendere felici le persone che scelgono di seguirmi idealmente o artisticamente. Il sogno artistico e squisitamente privato è quello di realizzare determinate opere che ho nella testa e vorrei che si traducessero in musica reale da poter ascoltare. Questo è un desiderio che si rinnova tutti i giorni, la mia testa è piena di sogni che però trasformo pian piano, giorno dopo giorno, in concretezza. Ho costantemente voglia di vedere l’idea desiderata divenire atto compiuto.
di Francesco Latilla e Francesco Subiaco