«Gli Stati Uniti credono che la proprietà e il controllo della Groenlandia siano un’assoluta necessità». Se non fosse stata pronunciata nella conferenza del 7 gennaio a Mar-a-Lago, Florida, dal Presidente Trump in persona, avremmo potuto pensare all’esordio di un capitolo dell’ultimo libro di Ken Follet, Clive Cussler o John Le Carrè.
L’isola possiede vasti giacimenti di petrolio, gas naturale, diamanti, oro, uranio, piombo e terre rare, elementi essenziali per la produzione di dispositivi a tecnologia avanzata soprattutto nell’attuale condizione di linee di frattura così nette nello scontro imperialistico tra USA e Cina. Nel 1953 è divenuta parte del Regno di Danimarca attraverso l’istituto dell’unione personale. Il sovrano di Danimarca rimane Capo dello Stato della Groenlandia che fin dal 1979 si è vista riconoscere autonomia e indipendenza per effetto della devoluzione di competenze legislative, esecutive, giudiziario. La Danimarca, però, mantiene ancora il controllo economico-finanziario sull’isola tanto da provvedere al versamento di un sussidio annuale pari a 4,5 miliardi di corone danesi (600 milioni di euro).
Eppure, la presenza americana in Groenlandia risale alle seconda guerra mondiale. Il 9 aprile 1941 venne siglato “l’Accordo sulla difesa della Groenlandia”, con cui l’isola diventava un protettorato de facto degli Stati Uniti. Washington otteneva in cambio il permesso di costruire alcune basi militari sul territorio, permesso che in origine doveva cessare al concludersi della minaccia tedesca, ma che fu poi prolungato fino ad oggi. Durante il secondo conflitto, gli Stati Uniti occuparono l’isola dopo l’invasione nazista della Danimarca, e nel 1946 offrirono di acquistarla per 100 milioni di dollari, una proposta rifiutata da Copenaghen. Durante la Guerra fredda, gli Stati Uniti stabilirono diverse basi militari in Groenlandia, tra cui la famosa base di Thule, che ospita un sistema di rilevamento di missili balistici intercontinentali. La stessa Cina, dal canto suo, ha dimostrato un forte interesse per la Groenlandia, investendo in infrastrutture e progetti minerari. Sin dal 2012, Pechino ha avviato colloqui con le autorità groenlandesi per progetti come la costruzione di aeroporti e lo sviluppo idroelettrico. Il governo danese, però, ha bloccato l’operazione preoccupato di esporsi all’influenza cinese, tanto da finanziare esso stesso le infrastrutture nella misura del 50%. Inoltre, dettaglio non irrilevante, la Groenlandia – come parte del territorio danese – è membro della Nato e un eventuale occupazione americana sarebbe in aperto contrasto col trattato di difesa, sebbene non vi sia alcuna clausola che faccia esplicito riferimento alla fattispecie di un attacco di uno stato membro ad altro stato membro, essendo la ratio e lo spirito dell’accordo a scopo difensivo ab externo.
Intanto, c’è chi, tra i membri del partito Repubblicano americano, ha ipotizzato una trattativa diretta con il governo dell’isola, bypassando la Danimarca, per avviare una consultazione referendaria allo scopo di far scegliere al popolo se mantenere l’attuale status di indipendenza formale o di costituirsi come stato sostanzialmente autonomo (non più unito al Regno danese). Se dovesse passare la linea indipendentista totale, a quel punto il governo degli Usa potrebbe avanzare un’offerta per l’acquisto dell’isola che diverrebbe il 51° stato della federazione. Dopo la visita di Trump jr in Groenlandia, il primo ministro Múte Bourup Egede ha ribadito con forza: “La Groenlandia è nostra. Appartiene al popolo della Groenlandia. Non siamo in vendita e non lo saremo mai”.
Il governo danese ha presentato un piano da 390 milioni di euro per rafforzare l’intelligence e la sicurezza sul territorio della Groenlandia. Attualmente la sorveglianza e l’intelligence nell’Artico e nell’Atlantico settentrionale avviene tramite l’utilizzo di droni a lungo raggio, quattro navi di ispezione ormai obsolete, un aereo di sorveglianza Challenger e 12 pattuglie di cani da slitta. Un piccolo arsenale per tutelare un’area vasta di 2,2 milioni di kilometri quadrati per circa 60.000 abitanti.
Nel frattempo, si discute anche dello stazionamento di forze dell’UE in Groenlandia. A fine gennaio scorso il presidente del Comitato militare dell’UE, il generale austriaco Robert Brieger, ha dichiarato che sarebbe “abbastanza sensato prendere in considerazione lo stazionamento di soldati dell’UE” in Groenlandia. Sarebbe un segnale forte”. A Bruxelles Andrius Kubilius, Commissario europeo per la Difesa, ha dichiarato: “Siamo pronti a difendere il nostro Stato membro, la Danimarca”. Mette Frederiksen – primo ministro danese – ha tuttavia dichiarato ai giornalisti a Bruxelles di non avere “alcuna ragione di credere che ci sia una minaccia militare per la Groenlandia o la Danimarca”. Il ministro degli Esteri francese Jean-Noël Barrot non ha escluso l’invio di truppe europee in Groenlandia “se i nostri interessi di sicurezza sono a rischio”, ha segnalato in un’intervista radiofonica ad un giornale italiano.
Cold Response 2022 è stata la più grande esercitazione NATO tenuta all’interno del Circolo Polare Artico alla quale hanno partecipato circa 35mila soldati. Ed oggi si parla in ambito UE di un’operazione militare, ribattezzata COLD COOKIES, estesa ad alcuni membri NATO non europei a difesa dell’isola, così da evitare che l’Europa resti schiacciata dalle mire contrapposte di USA e Cina. La Groenlandia rappresenta oggi un laboratorio di frizioni tra sovranità locale, interessi economici globali e rivalità internazionali.
Ci si dimentica, ancora una volta, di ciò che vorrebbero i groenlandesi. In un’intervista del 1954, il governatore della Groenlandia Eske Brun osservò:“se la Groenlandia oggi rimane danese, è in parte dovuto al fatto che era situata alla fine del mondo e la Danimarca era l’unico paese ad interessarsene. Oggi, la Groenlandia si trova proprio al centro del mondo; tuttavia, per come il mondo si sta comportando ora, questa circostanza sfortunatamente attira principalmente l’attenzione militare”. La visione, dimostrata anche da Trump, di interessi strategici degli Stati contrapposti agli interessi delle società e delle persone ripropone uno schema antico, di tipo coloniale nel quale tutto è accettabile se suscettibile di valutazione economica, in cui ogni terra è territorio da sfruttare, come fosse una landa desolata.