OGGETTO: La terza guerra mondiale senza combattere
DATA: 19 Gennaio 2022
SEZIONE: Geopolitica
FORMATO: Analisi
AREA: Asia
I Servizi Segreti e il mondo delle lettere e delle arti. Una breve storia della strategia dello "stay behind" culturale.
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Che lo si accetti o no, le dure logiche della guerra non risparmiano neppure gli intellettuali, i circoli culturali e, in generale, gli interpreti dello spirito di un certo periodo storico. A maggior ragione se, come nel caso della guerra fredda, le stesse ragioni materiali e immateriali che consentono il mantenimento di un precario equilibrio di potenza inducono gli avversari a ricorrere a strategie sotterranee e meno muscolari. Greci, romani e arabi seppero fare buon uso della politica culturale contro i “barbari”; più tardi se ne avvalsero la Santa Romana Chiesa contro gli “infedeli” e le grandi monarchie europee. Singolare è, però, il contesto dell’ordine bipolare, in cui ogni mezzo alternativo alla forza militare è lecito, purché si scongiuri lo scenario delle rappresaglie massicce senza quartiere. Una lezione che resta straordinariamente attuale, utile per analizzare lo scontro multi-scenario tra Stati Uniti e Cina.

“Un vero americano, non un europeo trapiantato”, che incarnava virtù virili, non un Picasso o un Matisse, “uno a cui sia concesso il gran vizio americano, il vizio di Hemingway, quello di bere”.

Budd Hopkins

È una verità storica scomoda, accolta con riluttanza e imbarazzo all’indomani del 1989, se non addirittura rimossa, che si può trarre dagli studi più recenti sulla guerra fredda: uno fra tutti La Guerra fredda culturale. La Cia e il mondo delle lettere e delle arti della giornalista e storica britannica Frances Stoner Saunders. Fu presentato subito come un’operazione rivelatrice di abboccamenti e intrighi che videro coinvolti protagonisti insospettabili della storia italiana ed europea del secolo scorso, da Benedetto Croce a Ignazio Silone, da Bertrand Russell a Raymond Aron. In molti finirono nel mirino dell’intelligence dell’uno o dell’altro fronte e lunga è la lista di scrittori, filosofi, scienziati, registi, critici d’arte, editori e giornalisti. Comprensibile l’imbarazzo dell’opinione pubblica, dato che genio e sregolatezza, persino di pittori come Pollock, si scoprivano “dimezzati”; inevitabile il fatto che, nelle dinamiche dello scontro ideologico e della guerra psicologica, non ci fosse corrente di pensiero capace di sfuggire all’opera di persuasione e convincimento di servizi segreti e agenzie americane e sovietiche. Chi era Jackson Pollock nel conflitto sotterraneo? 

La Guerra fredda culturale (Fazi Editore) di Francis Stoner Saunders

Presto critici e voci dell’élite culturale statunitense riconobbero nell’arte non figurativa dell’astrattismo un agile veicolo di libertà d’espressione, un emblema della libertà di impresa e dell’anticomunismo. In sintesi, l’antitesi del realismo socialista. Non mancarono le resistenze del mondo della politica e il Congresso non accolse con favore iniziative come la mostra dal titolo “Advancing American Art”, che doveva essere esposta a Parigi e Praga. A quel punto, nell’ambito delle prove generali di attuazione della guerra culturale, la Cia assunse la direzione operativa per tenere le istituzioni rappresentative all’oscuro della strategia. 

“Si agiva segretamente perché se si fosse votato in modo democratico, le iniziative sarebbero state bocciate. Per incoraggiare la libertà d’espressione, dovevamo fare tutto segretamente”,

Tom Braden, ex membro dell’OSS

Dal ventre dell’Urss nascevano i “Partigiani della Pace”, che corsero a piantar bandiera nel dibattito sul pacifismo post-1945. Dal centro operativo del programma americano denominato in codice “packet”, ideato per “vincere senza combattere la terza guerra mondiale”, la Cia rispondeva con il Congresso per la libertà della cultura, sorta di internazionale degli intellettuali in funzione anticomunista fondata nel 1950 a Berlino. La ricostruzione storica si fa ora più complicata e indecifrabile, poiché manca uno studio analogo incentrato sul Kgb. A presiedere il Congresso di Berlino c’erano Benedetto Croce e Ignazio Silone. In Italia, nella dirigenza della sezione del Congresso, erano presenti Adriano Olivetti, Mario Pannunzio e Ferruccio Parri. Sugli sviluppi del “packet” sul suolo conteso della penisola converrà soffermarsi, poiché si vedrà come molte chiavi di lettura aiutino a interpretare il duello USA-Cina. 

“Ci fu dunque negli anni Cinquanta una costellazione di riviste culturali di tradizione laica e antifascista che professava un franco anticomunismo. […] Vogliamo ricordarne i titoli? «Il Mondo», «Il Ponte», «Nord e Sud», «Comunità», «TempoPresente», «Il Mulino», «Sele Arte», più tardi «Nuovi Argomenti»”.

Nello Ajello su La Repubblica, 7 luglio 1995

Se il grado di pervasività e ramificazione della strategia dello stay behind culturale non fosse ancora palese, si potrebbe ampliare la lista con movimenti quali l’Unione goliardica italiana nelle università, il Movimento federalista europeo di Altiero Spinelli, il Movimento di collaborazione civica, i Centri di Azione democratica, i comitati Scienza e libertà, la Federazione nazionale insegnanti scuola media, il movimento Comunità di Adriano Olivetti, la Consulta e l’Unione italiana dei circoli del cinema. Un apparato portentoso prestato alla guerra psicologica, che piegava stili di vita, opinioni, idee e conoscenze di ogni campo del sapere agli obiettivi strategici del fronte atlantico. La guerra senza combattimenti si trasferiva dalle frontiere esterne all’interno degli Stati, gli uni mescolati agli altri. Il confronto tra stili di vita diventa lotta tra sistemi valoriali e, quindi, tra diritti assoluti, dogmi della “civiltà che si contrappone all’inciviltà”, valori non negoziabili. Oggi, con l’Impero celeste alla porta, il richiamo “a stelle e strisce” alla difesa dello stile di vita occidentale, un insieme di libertà e principi fondamentalissimi amalgamati da democrazia e liberismo, si fa grido di battaglia. Si può così intuire con facilità la necessità del “Summit for Democracy” voluto dal presidente Biden in questo frangente storico. 

Proseguendo con il parallelismo tra la guerra fredda culturale e il confronto sino-americano, ci si potrebbe domandare: esiste un “partito del Dragone” dotato di una struttura paragonabile al Congresso per la libertà della cultura in Italia? La firma del MoU sulla Nuova Via della Seta suggerisce una risposta affermativa e il recente rapporto “Una preda facile. Le agenzie di influenza del Pcc e le loro operazioni nella politica parlamentare e locale italiana” sembra gettare luce sulla questione. Tra gli strumenti di proiezione esterna del Dragone, si annoverano il Dipartimento per i contatti internazionali, l’Associazione di amicizia del popolo cinese con l’estero, il Consiglio cinese per la promozione del commercio internazionale e due organizzazioni non governative, la Società di promozione della cultura cinese e l’Associazione di ricerca della cultura cinese Yan Huang. Vengono poi le visite informali dei leader politici italiani all’ambasciata cinese in Italia, con tutti gli interrogativi che ne derivano: Beppe Grillo a novembre 2019 e Matteo Salvini a settembre 2021. 

E, ciononostante, per la Casa Bianca i maggiori timori dovrebbero ruotare attorno a due canali di diplomazia culturale che legano Roma e Pechino. Da un lato si trovano le prove di dialogo tra Chiesa cattolica e governo cinese, con la prima galvanizzata dalla riscoperta di Matteo Ricci a opera de La Civiltà Cattolica e il secondo che sembra temere più i vescovi cattolici presenti nel recinto cinese che l’ariete liberal diagenzie e think tank statunitensi. Ora appare evidente che a Pechino l’attenzione sia concentrata sui campioni internazionali della soft power come Italia e Vaticano. Non a caso, dall’altro lato, gli Istituti Confucio si possono inquadrare come catalizzatori dell’espansione culturale cinese, con cui il Partito comunista cinese punta a primeggiare nella “guerra psicologica” erodendo l’Anglosfera e un Washington Consensus già malaticcio. 

Nelle logiche della guerra fredda culturale una rete che nel 2019 contava circa 500 Istituti Confucio in oltre 134 Paesi nel mondo non può che destare sospetti. Con tutto l’apparato di dirigenti, insegnanti, materiali didattici, programmi scolastici e finanziamenti che gli Istituti hanno al seguito. Mentre la frattura tra USA e Cina si aggrava, reperti di età romana, tesori greci ed etruschi del Mediterraneo e opere degli Uffizi viaggiano lungo le Nuove Vie della Seta per un prestito in cambio dei soldati di terracotta dell’Impero del Centro (Zhongguo). Nulla di anomalo, si dirà: normale cooperazione tra musei. Saunders potrebbe essere di un altro avviso: c’è un’altra lezione di guerra fredda culturale da scrivere, ma i tempi non sono ancora maturi.

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