«Il sepolcro deve essere nella terra; semplice, senza particolare decoro e con l’unica iscrizione: Franciscus». Le ultime intenzioni terrene del Santo Padre, consacrate nel suo testamento Miserando atque Eligendo, rivelano ancora una volta, anche nella lucida malattia degli ultimi giorni, la cifra dell’uomo che è stato in vita: cattolico ispirato e devoto, essenziale e al contempo profondo, umilmente grato a Cristo cui si è affidato nella sofferenza ed a Maria Santissima alla quale ha sempre offerto la sua vita e il ministero sacerdotale ed episcopale. Non dimentica, da buon padre, nessuno: «Il Signore dia la meritata ricompensa a coloro che mi hanno voluto bene e continueranno a pregare per me».
Tutto si tiene nella parabola terrena di papa Francesco da quel lontano 13 marzo 2013, giorno della sua elezione al soglio petrino. Non si può leggere il testamento spirituale senza rimandi di senso al discorso di insediamento. Già allora il cardinale Bergoglio ebbe modo di chiarire, da buon cristiano, quale dovesse esserne lo stile: preghiera, gratitudine, affidamento.
«Fratelli e sorelle buonasera. Voi sapete che il dovere del Conclave è di dare un Vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali sono andati a prenderlo quasi alla fine del mondo. Ma siamo qui… Vi ringrazio dell’accoglienza, alla comunità diocesana di Roma, al suo Vescovo, grazie. E prima di tutto vorrei fare una preghiera per il nostro Vescovo emerito Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca.»
La testimonianza di Francesco si fonda su due pilastri: il legame con la terra – non solo quella d’origine ma come “giardino da custodire” – e soprattutto le persone, gli ultimi, i diseredati, i traviati, gli sconfitti, ossia gli scartati, come amava definirli. Nel solco dei predecessori con l’enciclica Laudato Sii ha chiamato gli uomini, fratelli tutti, ad una conversione ecologica globale. Uniti da una stessa preoccupazione per la casa comune ha esortato con urgenza a rinnovare il dialogo sul modo in cui stiamo costruendo il futuro del pianeta. Partendo dalla convinzione che tutto nel mondo è intimamente connesso, Francesco si è speso per rinnovare in particolare il Magistero sociale della Chiesa, per fornire al cattolico moderno utili strumenti contro l’economia dell’esclusione.
Il cammino episcopale universale voluto da Francesco imprime alla Chiesa cattolica un’inversione di rotta. Con l’esortazione apostolica “evangeli gaudium” la missionarietà evangelizzante della Chiesa cerca risposte per la rinnovata sfida della trasmissione della fede in una società secolarizzata con la quale è essenziale l’ascolto dialogante. Il dinamismo della Chiesa in “uscita” che il papa vuole provocare nei credenti significa impegno per ogni fedele a lasciare segni vivi nel mondo ed essere testimoni della verità del Vangelo.
Partendo da questo messaggio, la Chiesa voluta dal papa è aperta al mondo, alle minoranze, a chi non ha voce. Non esiste alcuna forzatura né è possibile cedere alle sfumature ideologiche o alle faziosità, la parola di Dio è il verbo da tramandare in accordo con i tempi. Rifiutando ogni colorazione (conservatore o progressista), Francesco ribadisce che lo sguardo del cristiano è lo sguardo del discepolo missionario che «si nutre della luce e della forza dello Spirito Santo».
Come i carismi dello Spirito, così la chiesa disegnata da Francesco è plurale, sinodale, universale, decentrata. Il mondo che si trova dinnanzi al momento della sua chiamata a guidare il popolo cristiano è complesso. La guerra soprattutto incombe come un un’ombra sul mondo. Quella che definirà guerra mondiale a pezzi sarà un pensiero fisso: un pontificato votato alla ricerca costante della pace, della costruzione di relazioni sicure, di barriere non escludenti ma protettive, non di muri per allontanare le persone ma scudi eretti contro le bombe. L’ultimo monito di Francesco è proprio per la situazione di crisi globale. «La sofferenza che si è fatta presente nell’ultima parte della mia vita l’ho offerta al Signore per la pace nel mondo e la fratellanza tra i popoli».
Gaza e Ucraina sono stati gli ultimi fronti con i quali il ministero si è confrontato. Pizzaballa e Parolin sempre pronti a cucire e ricucire, la Santa Sede sempre pronta ad una cooperazione silenziosa ma operosa, un dialogo con le chiese orientali ed ortodosse attivo per cercare di suscitare volontà pacifiche nel cuore dei potenti.
Ogni Pontificato, quando giunge la fine terrena del suo massimo rappresentante, fa i conti con detrattori e ammiratori. Eppure, al di là della consistenza politica e temporale dell’Istituzione-Papa, monarca assoluto rappresentante dello Stato di Città del Vaticano, rimane sempre ciò che intensamente l’Uomo-Papa ha seminato e per cui si è speso. Questo modo di gestire il potere temporale, con schietta e diretta semplicità, senza infingimenti e senza mediazioni, lo ha reso ancor più il Papa della gente. È questo dunque il tempo del cordoglio e del commiato, nel quale la Chiesa tutta con viva speranza si avvia ad aprire una fase nuova della sua Storia.