OGGETTO: Abitare il potere, una storia immobiliare
DATA: 10 Gennaio 2022
SEZIONE: Storie
AREA: Italia
Ripercorriamo la storia della Società Immobiliare Italiana e della Songene, tra Vaticano, massoneria e omicidi.
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Le origini della Società Immobiliare Italiana e della Sogene, diventate una cosa sola solo negli anni Settanta, affondano nel 1862, nella Torino capitale d’Italia, quando fu creata con lo scopo di costruire le opere pubbliche di cui il nascente Stato avrebbe avuto bisogno. Le sue sorti si decidono nel 1929, coi Patti lateranensi, con la montagna di denaro arrivata nelle casse del vaticano: 750 milioni e un miliardo in titoli, senza contare che il riconoscimento di vaste proprietà ecclesiastiche comporta tutta una serie di oneri pubblici, a cominciare dalle forniture idriche ed elettriche. Per gestirli, nessuna task force. Secondo il papa Pio XI basta un solo uomo, un personaggio che fa tutt’uno con la finanza del Novecento, un po’ come Andreotti coi tanti misteri italiani. Si chiama Bernardino Nogara, ed era entrato nelle grazie ecclesiastiche nel 1914, acquistando una serie di titoli per conto di Benedetto XV. È un ingegnere veneto dai massonici talenti, ha un fratello vescovo e, nella sua fosforescente carriera, non si preoccuperà mai di conciliare finanza e dottrina sociale della Chiesa. Dopo aver partecipato al Comitato di Liberazione Nazionale a Roma rimarrà fino alla morte (nel 1958) legato alla Banca commerciale. non senza essersi guadagnato, con Giovanni XXIII, la più alta onorificenza pontificia prevista per un laico, quella di Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine Piano. 

Il 7 giugno del 1929, cinque mesi dopo la firma dei patti lateranensi, Pio XI, con motu proprio, chiama Nogara a dirigere, quale suo Delegato, l’Amministrazione Speciale della Santa Sede, cuore futuro del suo potere personale e principale azionista della SGI. A quell’epoca, lo IOR non esiste ancora (l’Istituto Opere di Religione sarà creato da Pio XII nel 1942) ma le funzioni sono quelle. La storia di Sogene nasce invece nel 1926 come SAVAI (Società Acquisti e Vendite Amministrazione Immobili), acquistando il nuovo nome alla fine del 1944, quando diventa il braccio edilizio della sua controllante SGI, che in tal modo separa l’attività produttiva da quella finanziaria e fiduciaria. Nogara, consigliere anche dell’altra grande società attiva nell’edilizia romana, la Beni stabili, può ben dedicarsi al suo sport preferito: acquistare potere, occupare posti nei consigli di amministrazione di tutte le società che contano. Decide dove investire, quali aziende comprare, dove e chi piazzare nei tanti cda, non importa -tanto nessuno dice nulla- se sono parenti di Eugenio Pacelli alias papa Pio XII: il fratello Francesco vicepresidente di Italgas, il nipote Marcantonio Pacelli (dal 1942 nel cda anche della stessa SGI) e l’altro nipote Giulio (nel cda di ITALGAS e COMIT).

Nel dopoguerra, la SGI vanta partecipazione di maggioranza in decine e decine di banche e si organizza secondo una sempre più ramificata architettura di società conrollate. I suoi quattro maggiori azionisti sono le Assicurazioni generali (5,1%) l’Anonima infortuni (2,9%) e la Fondiaria (1,8%) e ovviamente l’Amministrazione speciale della Santa sede che col 32,2% fa la parte del leone. I tre principali azionisti di Sogene sono invece, a parte l’Amministrazione Speciale della Santa Sede, Fiat e Italcementi, guidata da Carlo Pesenti che l’ha ereditata dallo zio Antonio, senatore del Regno e amico personale di Benito Mussolini. Roma è la città delle illusioni, diceva Gore Vidal, e non per caso ci sono la Chiesa, il governo e il cinema, tutte cose che producono illusioni. Ma è anche la città delle costruzioni, dilagate senza che nessun piano regolatore abbia mai potuto intralciare i piani dei costruttori, in una città dove ancora negli anni del dopoguerra sette od otto proprietari possedevano quasi il doppio dei terreni di proprietà comunale. Come nei migliori noir metropolitani, il sindaco è nelle mani di interessi che nella capitale sono soprattutto edilizi. Ed ecco così che col denaro del contribuente arrivano i servizi, a far salire alle stelle il valore di terreni fino ad allora agricoli. Si dice tanto dei buchi lasciati da Veltroni, ma nemmeno l’amministrazione Rebecchini scherzò: circa 120 miliardi di lire in circa nove anni di attività (dal 1947 al 1956), ciò che non gli fu certo d’intralcio per la carriera diplomatica, come ambasciatore presso il governo di Franco, a Madrid. 

Anche il suo successore, Urbano Cioccetti, è strettamente legato alle gerarchie ecclesiastiche (cameriere di cappa e spada da Pio XII, membro del consiglio di amministrazione dell’”Istituto di credito finanziario”, a capitale vaticano): nel 1961 è costretto ad abbandonareanzitempo il Campidoglio per via di alcuni appalti di manutenzione stradale affidati, a trattativa privata, alle ditte controllate da amici democristiani, ma senza particolari conseguenze personali: diventa presidente dell’ENPDEP, (Ente di previdenza dei dipendenti di enti di diritto pubblico) e altri significativi incarichi, di regola collegati con il mondo vaticano. Un periodo d’oro, quello del dopoguerra: un Paese che rinasce, un partito che comanda indisturbato, spesso e volentieri con l’appoggio del Movimento Sociale, un papa che fa quel che vuole, diventato parte integrante di un sistema di potere che a quei tempi ancora poco mediatizzati poteva operare senza troppi rovesci, anche quando le magagne arrivavano alla luce del sole. Con l’aeroporto di Fiumicino, per esempio: doveva essere pronto nel 1950, fu ultimato nel 1961, doveva costare una ventina di miliardi di lire, ne costò 80, di qui lo scandalo assorbito con il solito sistema: commissione d’inchiesta, richieste di dimissioni (per il ministro della difesa Andreotti), archiviazione veloce, nel 1963, della Procura di Roma. Stessa musica con l’informazione: l’articolo di Manlio Cancogni (scrittore prestato al giornalismo, prima che giornalista) pubblicato nel dicembre del 1955 su L’Espresso diretto da Arrigo Benedetti s’intitola “Capitale corrotta, nazione infetta”. Denuncia la speculazione edilizia in mano ai privati ed è come un sasso nello stagno. La SGI querela, e subito, nel gennaio 1956, arriva il processo per Cancogni e Benedetti: trenta udienze, assolti con formula dubitativa in primo grado, condannati a otto mesi in secondo, e infine amnistia.

Nel 1958 muore Bernardino Nogara. Papa Giovanni XXIII, nomina come suo successore il banchiere del Credit Suisse Henry Maillardoz, ma qualcosa sta cambiando. La politica vuol mettere le mani sull’economia, le grandi figure di grandi manager pubblici stanno per essere sostituiti da uomini più legati al sistema dei partiti (meno competenza, più affidabilità, politica o familiare che sia). Il clima sociale poi è incandescente, e inchieste come quella de L’Espresso rischiano di ripetersi. Così conPaolo VI il Vaticano decide di vendere una parte del patrimonio immobiliare per attutire le polemiche sulla ricchezza della Chiesa e sugli scempi urbanistici romani. Parte così una riforma delle strutture economiche, sei creano complesse architetture finanziarie, si diversificano gli investimenti, spostandoli sul mercato internazionale. Un habitat ideale per Michele Sindona. Difficile credere che il suo ingresso come stratega finanziario del Vaticano sia arrivata dal cielo. All’inizio degli anni Sessanta il suo nome era già noto, lo era da quando Giovanni Battista Montini, futuro Paolo VI e allora arcivescovo di Milano, gli aveva affidato una consulenza per la “modernizzazione” dello IOR. Sindona era uno dei tanti professionisti che aiutavano la borghesia a esportare i capitali all’estero. Nel 1960, la sua società “Fasco Ag” domiciliata in Liechtenstein, centro segreto del suo impero finanziario, aveva acquistato dal presidente dello IOR Massimo Spada il pacchetto di maggioranza della “Banca Privata Finanziaria”. Ora, si va più in là. Nel 1968, dopo che il mancato rinnovo di certe agevolazioni fiscali concesse da Mussolini, la quota di maggioranza della SGI viene ceduta proprio a Michele Sindona, diventato figura centrale nello scacchiere vaticano, con l’arcivescovo Paul Marcinkus che nel 1971 prenderà il comando nello IOR. Solo molti anni e molti scandali dopo verrà messo al sicuro, da qualche parte in America.

Paul Marcinkus

Sindona acquista aziende prossime al fallimento, le risana (o fa finta di risanarle) e le rivende. Il delirio di onnipotenza gli è fatale, in breve tempo distrugge il patrimonio aziendale. Il 27 settembre 1974 la magistratura milanese sentenzia la liquidazione coatta della Banca Privata Italiana. L’avvocato Giorgio Ambrosoli, nominato unico commissario liquidatore, porta alla luce un sistema di finanziamenti ed esportazione di capitali all’estero senza precedenti. L’11 luglio 1979 Ambrosoli viene ucciso con quattro colpi di pistola. Ai suoi funerali, si nota l’assenza delle istituzioni, ad eccezione di Paolo Baffi, governatore della Banca d’Italia. Nel 1974 la SGI viene rilevata dal Banco di Roma, che chiede a un gruppo di immobiliaristi romani (nomi noti e meno noti: Belli, Marchini, Parnasi e vari altri) di dar corso a una specialità tutta italiana, la dimostrazione di “responsabilità”. Senza che si sia mai ben capito perché, nel 1977 acquistano per 110 miliardi il pacchetto di controllo dell’Immobiliare, nel frattempo finito in mano al Banco di Roma che aveva finanziato Sindona: SGI e SOGENE a questo punto vengono fuse mediante incorporazione della Sogene nell’Immobiliare, che assume la denominazione di Società Generale Immobiliare Sogene S.p.A. Con le varie controllate SGI Lavori, SGI Casa, SGI International a far da contorno. Ma i debiti nel 1985 la conducono all’amministrazione controllata del Banco di Roma.

Giorgio Ambrosoli

Nel marzo 1986 Sindona viene avvelenato nel carcere di Voghera. La famosa “lista dei 500” (i suoi clienti, nel migliore dei casi grandi evasori) tanto strombazzata sui giornali non vedrà mai la luce. SOGENE passa in mano a tre azionisti maggiori, la Eurfin, la finanziaria dell’immobiliarista Belli, che la controlla con il 18,36 per cento, la Lombardfin di Paolo Mario Leati, che ne detiene il 12 per cento, e Iniziativa Meta, che nel suo portafoglio ha il 17,25 del capitale, sequestrato in questi giorni, a causa di una vecchia pendenza con la stessa Eurfin. Non che dal mondo dell’informazione non arrivino mani tese e magari anche interessate: in “Sogene esce dal tunnel”, (la repubblica, 2 dicembre 1986) Massimo Fabbri si dice certo del futuro roseo (“si dà per certo, scrive che con il ritorno in bonis della SGI Sogene a metà del prossimo marzo la Consob, che è stata costantemente informata degli sviluppi della situazione, deliberi la riammissione della società alla quotazione di Borsa”). Il giornalista sarà radiato dall’albo (in seguito all’inchiesta aperta in seguito al fallimento della commissionaria di Borsa Lombardfin, a sua volta fallita nel 1990 con un buco di 50 miliardi,  presso la quale erano stati trovati dei conti intestati a giornalisti economici), ma non senza essere stato smentito persino dal suo stesso giornale, la repubblica, che tre mesi dopo, il 27 marzo 1987, titolava così l’articolo di ben altro tono firmato da Nino Sunseri: “Il malinconico tramonto della SOGENE”.  

Michele Sindona

Da allora banche in crisi (il Banco di Roma chiude bottega nel 1992 diventando Banca di Roma), concordati preventivi, liquidatori, liquidatori fallimentari, aste. A metà 1991 spunta un acquirente per la parte più pregiata, la Sogene Casa, proprietaria di immobili e terreni, Se l’aggiudica Sandro Parnasi versando, secondo le cronache, 205 miliardi di lire praticamente in contanti. “Per mettere una pietra tombale sui segreti di SgiSogene”, si dice. Ma non è finita. Perché nel 2003 uno sconosciuto affarista di nome Sesto Corvini, avvicinatosi all’edilizia negli anni Ottanta, acquista all’asta (dopo il fallimento dei precedenti proprietari), le proprietà residue della Sogene di Casal Palocco, il complesso immobiliare tra roma e Ostia che la SGI aveva realizzato con la convenzione del 1960. Il quale Corvini inizia a rivalersi sui singoli proprietari con una serie di azioni per la revisione dei confini, per l’uso o il possesso delle aree che risultavano incluse negli elenchi dell’asta. Il neo proprietario della società generale immobiliare ex-Sogene verrà ucciso dieci anni dopo, proprio in una strada della “sua”Casal Palocco, con tre colpi di pistola al volto, a bordo del suo vecchio camioncino con cui era solito girare nel quartiere.

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