Nessuno saprà mai cosa Joseph Ratzinger stesse pensando quando il 19 aprile 2005 osservava, per la prima volta da Pontefice, i fedeli in festa a San Pietro. Nelle settimane precedenti aveva fatto di tutto per mettere in chiaro che tipo di Pontificato sarebbe stato il suo, mentre i vaticanisti già cominciavano a scartarlo dai papabili. Non solo per la sovraesposizione, ma anche per via del lavoro svolto dallo stesso Ratzinger per accreditarsi come sommo rappresentante di una linea conservatrice, che difficilmente avrebbe mostrato il volto caritatevole della Chiesa nel Ventunesimo secolo. Il giorno prima – il 18 aprile – durante l’omelia della Missa Pro Eligendo Romano Pontefice, le sue parole devono essere rimaste particolarmente impresse ai Cardinali presenti:
“La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via.”
E ancora:
“Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare ‘qua e là da qualsiasi vento di dottrina’, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.”
Poco meno di otto anni dopo, nel pieno di un Pontificato che ha conosciuto alti e bassi, arriva la rinuncia. Papa Benedetto XVI, nella Declaratio, ammette di non avere più le forze per portare avanti il suo disegno celeste, di riportare la Chiesa a essere direttrice della legge morale dell’Occidente slegata dalle logiche politiche temporali cui il Magistero di Giovanni Paolo II aveva abituato. Con la fine della Guerra Fredda si era entrati in una nuova epoca, e la malattia aveva reso il Papa polacco poco incline ad accorgersene. Forse anche per questo è arrivata la decisione: non voler diventare un simbolo sterile, un burattino manovrato dall’oscurità durante i giorni meno felici della propria esistenza. Con queste premesse arriva la fumata bianca per Jorge Mario Bergoglio, mentre Benedetto XVI si ritira al Monastero Mater Ecclesiae fino alla fine dei suoi giorni. Il Magistero di Papa Francesco si porrà in una tale discontinuità con il suo predecessore, che è difficile credere quest’ultimo non se ne sia sorpreso.
Il 31 dicembre 2022 il Papa emerito muore. È di qualche giorno dopo la notizia della prossima uscita di un libro scritto a quattro mani da Georg Gänswein – suo Segretario Personale – e Saverio Gaeta, Nient’altro che la verità (Piemme), che abbiamo ricevuto in anteprima. Quella che doveva configurarsi come la biografia personale dello stesso Padre Georg è presto diventato il caso editoriale dell’anno. Un dietro-le-quinte, “un libro verità”, fonte primaria dei pensieri più reconditi di Ratzinger, ben nascosti dietro la patina del cerimoniale. “L’idea dell’Arcivescovo è quella di scatenare una guerra?”, si sono chiesti in molti. E in effetti alcune righe sono apparse decisamente improntate verso questa direzione, specialmente considerando il tempismo con cui sono giunte. Anche se l’equivoco – a leggere il libro – sembra che a crearlo siano stati i giornali più che le confessioni di Gänswein. Gli interrogativi però restano: esiste un disegno più grande dietro la strategia di Gänswein? Siamo di fronte a una chiamata alle armi fra i conservatori contro i Bergogliani al potere? Cosa si sono detti in via confidenziale il Papa Emerito e il suo segretario personale in questi lunghi anni di silenzio? Padre Georg sta portando avanti la missione di Benedetto XVI oppure è una guerra privata?
Così, nei giorni di lutto per la scomparsa del Papa emerito, i riflettori erano tutti sul suo Segretario. Al di là delle anticipazioni arrivate a mezzo stampa sulla presunta delusione di Ratzinger per la fine delle messe in latino o dello stesso Gänswein per l’invito di Francesco ad abbandonare il suo ruolo da Prefetto, pur rimanendo tale formalmente, ciò che rimane è la personificazione di un conflitto fra i due Papi che fino a poche settimane fa era solo nella testa dei più fantasiosi. Scrive Gänswein:
“Leggendo quanto Papa Francesco aveva detto il 12 settembre 2021 durante la conversazione con i gesuiti slovacchi a Bratislava, il Papa emerito corrugò la fronte dinanzi a una sua affermazione: «Adesso spero che con la decisione di fermare l’automatismo del rito antico si possa tornare alle vere intenzioni di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II. La mia decisione è il frutto di una consultazione con tutti i vescovi del mondo fatta l’anno scorso»”
Il libro ha altri riferimenti, specialmente negli ultimi due capitoli – “Il rapporto fra i due papi” e “Nel monastero il silenzio operoso” – alle reazioni di Benedetto a quanto ha detto o fatto Francesco. Che però veniva sempre tacitamente accettato proprio per non dare ossigeno all’una o all’altra “tifoseria”, come definite da Gänswein:
“In effetti, mi sembra che l’analisi più corretta possa individuare come problema non tanto quello della coesistenza di due Papi, uno regnante e uno emerito, quanto la nascita e lo sviluppo di due tifoserie, poiché con il passar del tempo ci si rese conto sempre di più che effettiva- mente c’erano due visioni della Chiesa. E queste due tifoserie – ciascuna fondandosi su affermazioni, gesti, o anche soltanto impressioni riguardo ad atteggiamenti di Francesco e di Benedetto (per di più, talvolta con invenzioni del tutto gratuite) – hanno creato quella tensione che si è poi riverberata anche su quanti non erano sufficientemente consapevoli delle dinamiche ecclesiastiche.”
Fa strano notare come da una parte Padre Georg condanni la faziosità interna alla Chiesa che vuole dividersi in correnti in favore di uno dei due papi, mentre dall’altra si adoperi per alimentarla facendo uscire un libro dove si parla di giochi di potere, dove si citano scandali e documenti, a distanza solamente di alcuni giorni dalla morte del Papa emerito, nel momento di massima attenzione mediatica. Sembra di avere a che fare con un rivoluzionario riluttante, incapace di andare fino in fondo, ma perfettamente conscio di quello che sta facendo, dei meccanismi del potere vaticano e della lotta che si pone sullo sfondo. Quella fra due Chiese, quella attuale e quella da ritrovare, che segue le idee di Ratzinger. Citando quest’ultimo scrive:
“A me sembra certo che si stanno preparando per la Chiesa tempi molto difficili. La sua vera crisi è appena incominciata. Si deve fare i conti con grandi sommovimenti. Ma io sono anche certissimo di ciò che rimarrà alla fine: non la Chiesa del culto politico, ma la Chiesa della fede”
L’unica speranza, sottintende Padre Georg, è affidarsi alla tradizione, lasciando da parte le questioni politiche che la pongono vicina alla temporalità, ma distante dalla sacralità. Eppure, fra le righe, è difficile non fare caso a come anche lui sia stato costretto a fare affidamento alla polemica in pubblica piazza per poter attirare l’attenzione del mondo cattolico conservatore e dello stesso Papa Francesco, che alla fine ha deciso riceverlo in audizione privata. Non conosciamo il contenuto della loro conversazione. Ma vogliamo immaginare che in cambio del silenzio di Padre Georg, Papa Francesco abbia giurato di riportare il disegno “cristocentrico” di Benedetto XVI al centro della Chiesa.