Aminemici. Competitori. Rivali naturali costretti dalla storia a cooperare. Alleati problematici. Germania e Stati Uniti potrebbero essere definiti in tanti modi, e nessuno di essi, comunque, riuscirebbe a catturare l’incredibile e intrinseca complessità del legame che li unisce. Capisaldi dell’Occidente, campioni della diplomazia morale, ma oltre alla vetrina luccicante c’è (molto) di più: una piccola bottega degli orrori. E a raccontare, scorrevolmente e in maniera documentata, le tante – e spesso nascoste – problematicità dei rapporti tedesco-americani è un libro recentemente dato alle stampe: La fragile intesa. Berlino e le relazioni euro-atlantiche, scritto dal diplomatico Lorenzo Trapassi (già autore de I rapporti giuridici fra lo Stato e la Chiesa in Germania) per la LUISS University Press.
È un libro attualissimo, alla luce delle fratture riemerse tra Berlino e Washington nel corso della guerra in Ucraina, scritto da un diplomatico che ha prestato servizio nelle terre tedesche e che nasce con un obiettivo originale: investigare questo indispensabile eppure complicato asse affiancando la psicologia alle chiavi di lettura materialistiche ed economicistiche. Perché, spiega giustamente l’autore:
«Se gli aspetti politici ed economici connessi agli eventi storici sono in effetti particolarmente rilevanti, la loro analisi, se effettuata in via esclusiva, rischia di apparire materialista, finendo col ridurre i fenomeni storici a freddi automatismi, ignorandone le cause profonde, le quali vanno spesso ricercate nelle identità culturali e nella psicologia dei protagonisti».
Estraendo dal dimenticatoio documenti e memorie della Guerra fredda, buona parte dei quali appartenenti al gigante Konrad Adenauer, l’autore porta delle prove concrete sul banco dei testimoni della storia dimostrando «che, al di là della facciata di un’alleanza incrollabile, i reali sentimenti dei leader della Germania Ovest nei rapporti con gli americani fossero spesso di tipo negativo». Grati a Washington per aver evitato una spartizione a quattro delle terre tedesche, implementando il Piano Morgenthau soltanto in parte – e pragmaticamente – erano simultaneamente insofferenti nei suoi confronti per il rapporto di sudditanza creatosi – e difficile da invertire, ancora oggi – e per i vari torti subiti nel corso della Guerra fredda, in primis la decisione di rimandare a data da destinarsi l’agognata Riunificazione.
Con la memoria dell’agenda wilsoniana sempre fresca e mai morta, l’imposizione della Repubblica di Weimar, la non applicazione del principio dell’autodeterminazione dei popoli alla nazione tedesca, il continuo altalenare tra gratitudine e insofferenza avrebbe instillato nella classe dirigente tedesca un senso di “contraddizione psicologica”, ancora oggi persistente. Ciò contribuisce a spiegare le diffidenze reciproche di ieri e di oggi, in parte legate alla storia, e la voglia di riscatto, o meglio di emancipazione, che pervade la Germania. Ma una Germania completamente libera, ergo non più “stato vassallo” degli Stati Uniti, avrebbe conseguenze non di poco conto sul mappamondo, sull’equilibrio (e sul controllo) dell’Europa e per le relazioni internazionali. La storia che si ripete: ieri i britannici in funzione di contenitori delle spinte telluriche provenienti dal Vecchio Continente, oggi gli statunitensi – dal 1945 – nello stesso ruolo.
Scrivere e parlare della contraddizione psicologica dei tedeschi è fondamentale, perché significa capire quella radicata frustrazione per la propria condizione di potenza castrata, che talvolta ha assunto e assume la forma di vero e proprio antiamericanismo, e perché significa umanizzare un popolo, quello tedesco, spesso e volentieri dipinto come anaffettivo, apatico e calcolatore, come l’hollywoodiano scienziato pazzo con l’ossessione del dominio dell’umanità, o come il freddo e insensibile burocrate tutto tasse e leggi dell’immaginario italiano. Caricature fumettistiche. Costrutti stereotipati. Storture. I tedeschi sono un popolo sentimentale, che vive di emozioni e memorie potenti, come il dolore cosmico (Weltschmerz) la nostalgia del passato (Heimweh) e la malattia del desiderio (Sehnsucht). Il libro di Trapassi parla anche di questo, sfatando nocivi e travianti stereotipi duri a morire, e ciò è senz’altro un motivo in più per leggerlo. Perché può aiutare a capire il presente, il primo passo per l’anticipazione del futuro.