A poco più di un anno dall’apertura in Germania del Synodaler Weg più esplosivo degli ultimi decenni è uscito il saggio I rapporti giuridici fra lo Stato e la Chiesa in Germania (Giappichelli 2021), un lavoro di Andrea Francia (diplomatico della Santa Sede) e Lorenzo Trapassi (vicecapo dell’Unità per la Formazione del Ministero degli Affari esteri e della Cooperazione Internazionale) che si propone di illustrare al lettore italiano i rapporti tra lo Stato tedesco e le Chiese cattolica ed evangelica. Da un punto di vista prettamente culturale, il saggio ha molti meriti, tra cui spicca senz’altro quello di aver offerto una descrizione esaustiva di un rapporto storico-giuridico estremamente complesso come quello fra Chiesa e Stato in Germania. In questo senso, gli autori hanno provveduto a colmare una lacuna grave nel panorama di letteratura giuridica italiana, andando ad aggiornare quei pochi e datati lavori che esistevano sul tema (si veda, a titolo d’esempio, Collotti 1967).
Il saggio, impreziosito dai contributi ‘eccellenti’ del cardinal Parolin, Segretario di Sua Santità, il “Primo Ministro del Vaticano”, e del Presidente emerito della Corte costituzionale Cesare Mirabelli, offre in apertura una ricapitolazione storica dei travagliati rapporti fra Chiesa e Stato in Germania (dalla lotta per le investiture al Kulturkampf bismarckiano), per poi entrare nel merito della storia contemporanea.
La fine della Prima guerra mondiale costituisce in questo senso una svolta decisiva: la Costituzione di Weimar dell’11 agosto 1919 sancisce il passaggio dall’ordinamento monarchico a quello repubblicano e l’abbandono definitivo del progetto di una Chiesa di Stato. Gli anni 20 del Novecento vedono quindi la nascita e lo sviluppo della prassi concordataria messa in atto dalla Santa Sede per raggiungere accordi bilaterali con gli stati liberi di Germania formatisi durante la Repubblica di Weimar, culminata nel Reichskonkordat del 1933 con l’Impero tedesco (denominazione utilizzata ancora fino all’Anschluss del 1938): il concordato con lo Stato Libero di Baviera è del 1926, mentre al ’29 e al ’32 risalgono rispettivamente quelli con Prussia e Baden. La questione degli accordi stipulati con i Freistaaten è di rilievo dal punto di vista giuridico, poiché la Legge Fondamentale (Grundgesetz) del 1949 stabilisce una certa indipendenza dello iuscontrahendi dei vari Länder nei campi legislativi loro propri: si tratta di un’autonomia relativa, in quanto l’attività legislativa dei Länder è teoricamente svolta sotto il controllo della Federazione (Bund), ma di fatto gli Stati federati hanno sempre agito sullo scenario internazionale concludendo ben 49 accordi con la Santa Sede dal 1949 ad oggi.
Un ruolo di grande importanza nel trattamento delle res mixtae, le materie di interesse condiviso, è giocato dai Katolisches Büros, «il ponte tra il mondo ecclesiale tedesco e quello politico»: vera e propria lobby, esso rappresenta un gruppo di pressione «per presentare e sostenere la visione cattolica sui temi di volta in volta affrontati dal dibattito politico e legislativo». Tra le res mixtae regolate da accordi e Costituzione, Francia e Trapassi si soffermano sul matrimonio, sull’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici, sulle fonti di finanziamento della Chiesa tedesca, sul diritto al (e del) lavoro alle dipendenze della Chiesa e sulla cura pastorale delle forze armate, dedicando un capitolo a ciascuna.
A differenza di quanto accade in Italia, alla Chiesa non è riconosciuta dall’ordinamento tedesco la statura di una persona giuridica indipendente e sovrana e non viene di conseguenza percepita come una presenza ‘separata’: eloquentemente, compito previsto dallo Stato per la Chiesa (e per le chiese, vista l’imponente realtà delle comunità luterane, evangeliche ed indipendenti) è quello di «collaborare con lo Stato per il perseguimento di finalità pubbliche». Se la diffusa assenza del crocifisso nei luoghi pubblici in Germania è motivata dalla preoccupazione di garantire e preservare la libertà religiosa «negativa», dal punto di vista del diritto del lavoro la Chiesa gode di vasta libertà d’azione e costituisce di fatto la più grande azienda del Paese, considerando che nel 2015 contava più dipendenti della Volkswagen.
Proprio l’aspetto economico rappresenta il punctum pruriens dell’organizzazione della Chiesa in Germania: al di là degli investimenti – comunque non sempre trasparenti (basti ricordare la vicenda dell’accusa comparsa nel 2011 sul Die Welt e rivolta all’editore di proprietà della Chiesa Weltbild di far soldi con la pornografia) – vero segno di contraddizione per i fedeli teutonici è la celebre Kirchensteuer, la tassa ecclesiastica. In virtù del riconoscimento della Chiesa come ente di diritto pubblico, la Costituzione di Weimar le accorda il diritto di riscuotere una tassa pari quasi sempre al 9% del reddito del cittadino appartenente alla corrispondente confessione religiosa, questo meccanismo andando a costituire l’80% degli introiti annuali della Chiesa cattolica tedesca. Come poter sfuggire? L’unico modo è quello di acconsentire a un’uscita formale dalla Chiesa (Austritte) ed è questo il motivo per cui, sottolineano Francia e Trapassi, si registra un ingente aumento nel numero dei cristiani che lasciano la propria comunità.
Riprendendo quanto già accennato in esordio, in buona sostanza il saggio offre molte premesse, ma non tira nessuna conclusione. Di per sé, questo è anche lecito visto il carattere tecnico-giuridico del testo; stona, tuttavia, la convinta proposta del ‘modello tedesco’ a paradigma efficace per una pacifica e fruttuosa convivenza fra autorità civile e Chiesa sul medesimo scacchiere. Se riflettiamo infatti sul contenuto esplicito ed implicito del lavoro, è proprio l’esattezza e l’esaustività della trattazione a portare il lettore non sprovveduto a domandarsi sull’opportunità reale dell’euforia che pervade il testo, laddove ad ogni chiusa si coglie occasione per sottolineare l’unione d’intenti tra Chiesa e Stato.
Il grande merito, probabilmente non cercato né voluto, del saggio è proprio quello di mettere in evidenza per contrasto la grave situazione in cui versa la Chiesa in Germania, sempre più indistinguibile dallo Stato nell’adesione a politiche culturali e ideologiche liberal e sempre più dipendente dallo Stato in termini economici. L’asse Chiesa-Stato nella riscossione della Kirchensteuer ha portato la Chiesa tedesca a diventare una delle più ricche e influenti conferenze episcopali del Continente, con il risultato di risultare sempre più sensibile alle lusinghe politiche interne da un lato, e di poter esercitare una sensibile pressione sulla Chiesa di Roma dall’altro. Solo una conoscenza perlomeno introduttiva della forza economico-politica della Chiesa tedesca – e in questo senso il saggio è fondamentale – permette di comprendere una certa completezza la profonda crisi che caratterizza le sue relazioni con Roma.
Dal ‘distacco dal mondo’ (Entweltlichung) invocato durante la visita al Paese nel 2011 agli attacchi espliciti nelle Ultime conversazioni del 2016, non è mancata la tensione fra il papato di Benedetto XVI e i vescovi tedeschi sul tema del potere e del denaro, ma anche Francesco non se la passa troppo bene e negli ultimi anni la situazione non ha fatto che aggravarsi. Con le proprie polemiche dimissioni presentate al pontefice nel giugno scorso, il vescovo di Monaco e Frisinga (già presidente della conferenza episcopale tedesca fino al 2020) Reinhard Marx più che un mea culpa non richiesto di fronte alla tragedia degli abusi nel clero ha pronunciato un pubblico j’accuse nei confronti della Chiesa cattolica, arrivando a parlare di «innovazione» e «riforma» come unica possibilità di «svolta»: la «via sinodale» da lui indicata sta puntualmente dando i primi frutti, dopo l’esplicita rottura con la Chiesa di Roma sulla liceità delle benedizioni alle coppie omosessuali. C’è chi sostiene che questi movimenti politico-ideologici di apertura rispetto allo Zeitgeist dominante da parte dei vescovi tedeschi rappresentino un tentativo per recuperare alla Chiesa tedesca quei fedeli allontanatisi proprio per i sopracitati motivi economici; in ogni caso, lungi dall’assistere ad un virtuoso esempio di sana cooperatio, sembra di ritrovarsi in presenza di un singolare ralliement in Germania tra Chiesa e Stato in chiave antiromana, in un contesto che di ‘cattolico’ sembra aver conservato soltanto il nome.
L’impressione che si avverte all’ultima pagina del saggio di Francia e Trapassi è quella un po’ malinconica di una verità detta a metà. L’atmosfera che si respira fin dalle prime battute del cardinal Parolin che esprime «soddisfazione» per la sana cooperatio (vero leitmotiv dell’intero testo) instauratasi fra Chiesa e Stato ha del decadente, sa di costruzione artificiosa alla cui edificazione tutti si sforzano, perché diversamente nessuno ci crederebbe più. La stessa nozione di sana cooperatio (Costituzione conciliare Lumen Gentium, 76) assume le sembianze di una Felicita gozzaniana, intristita, e di un concetto vergine che, imborghesitosi, ha perso tutto il proprio nerbo divirgiliana Camilla. Ciò che veramente sembra emergere dal testo – e quindi da una storia ormai centenaria di carte ed accordi, leggi e concordati – è la radicale impossibilità storica di una comunanza sincera di obiettivi tra Stato e Chiesa in un Paese così profondamente segnato dalla lotta per il potere in epoca moderna: al contrario, si configura ancora una volta uno scenario nel quale la Chiesa tedesca è richiamata a schierarsi, se non vuole diventare lo strumento e il ‘volto umano’ del soft power tedesco.