Alcuni segnali indicano che se la Federazione Russa fosse interessata ad aprire un nuovo fronte in Europa, quel fronte potrebbe essere la Moldavia. Ma una guerra su larga scala sulla falsariga della cosiddetta “operazione militare speciale” appare improbabile, se non impossibile. È dal 24 febbraio 2022, cioè dalla trasformazione della guerra nel Donbas nella guerra d’Ucraina, che in Moldavia regna la paura. La paura di essere le prossime vittime della dottrina Karaganov, l’equivalente in salsa russa della dottrina Monroe – con lo spazio postsovietico in luogo del Latinoamerica –, dopo georgiani e ucraini.
È una paura legittima quella dell’opinione pubblica moldava e degli osservatori internazionali, anche in ragione del fattore Transnistria, ma è infondata. La Moldavia, infatti, non sarà una seconda Ucraina. E se e quando il fragile status quo di Chișinău verrà meno, una guerra su larga scala in stile “operazione militare speciale” resterà altamente improbabile per una serie di motivi.
Abbaiare per evitare lo scontro
Le relazioni internazionali non sono che una gigantografia delle relazioni umane, colorata, talvolta, con tinte del reame animale. L’istinto che prevale sul raziocinio. La logica del branco. Lo stato di natura. Homo homini lupus.
Le regole del reame animale e delle relazioni umane valgono anche nelle relazioni internazionali, dove i branchi sono sostituiti dalle alleanze e dove molti comportamenti degli stati sono spiegabili attraverso una conoscenza approfondita della psicologia del cane. Stati il cui abbaiare è inversamente proporzionale alla loro voglia – o capacità – di iniziare e reggere uno scontro – tigri di carta. Stati dormienti che andrebbero lasciati dormire – come suggerito da un lungimirante Napoleone a proposito dell’Impero cinese. Stati la cui fame di emancipazione e la cui sete di rabbia non gli fa temere bastone. Stati che mostrano i loro canini per evitare uno scontro.
Per capire ciò che sta accadendo in Moldavia è necessario rifarsi alla psicologia del cane, perché se è vero che la Russia sta mostrando i denti, lo è altrettanto che non sta affilando gli artigli.
La Moldavia è persa, però…
La Moldavia è un paese profondamente polarizzato, quasi perfettamente diviso tra filorussi ed europeisti, dove il seguito popolare e l’influenza culturale delle forze filoccidentali sono cresciuti vertiginosamente negli anni. Una tendenza emblematizzata dai risultati elettorali del 2020 e del 2021, che hanno consegnato la sorella minore della Romania a Maia Sandu, la personificazione di tutto ciò che aborra la propaganda del Cremlino: atlantista, liberale, scuola Harvard, un trascorso alla Banca Mondiale.
La secolarizzazione degli usi e dei costumi dei moldavi ha lentamente privato la Russia di un importante instrumentum regni, la Chiesa ortodossa, mentre la corruzione e la malapolitica degli alleati in loco – il potente Partito socialista di Igor Dodon – hanno fatto il resto. Opportunità che Unione Europea e Stati Uniti hanno colto al volo, avanzando nel teatro moldavo a colpi di diplomazia economica e potere morbido.
La Moldavia contemporanea è irriconoscibile agli occhi dei russi, che in essa vedono una “nuova anti-Russia” di fabbricazione occidentale, parola di Sergej Lavrov, e nei confronti della quale potrebbero prendere dei provvedimenti. Provvedimenti che potrebbero portare al crollo del fragile status quo che tiene unita questa piccola multinazione, ma che, con elevata probabilità, non comporteranno nessuno “scenario ucrainizzazione”.
Nessuna operazione militare speciale 2.0 all’orizzonte
Una guerra su larga scala tra Moldavia e Russia è irrealistica per svariate ragioni. La prima è che un’invasione terrestre della Moldavia non potrebbe avvenire che in un modo: attraversando l’Ucraina. Attraversare l’Ucraina implicherebbe una caduta di Kiev, che, a scanso di equivoci, non cadrà – la tenuta di Kiev e dell’Ucraina occidentale sono la linea rossa dell’Occidente. La seconda è che, data la contiguità tra Moldavia e il territorio NATO, una guerra di dimensioni significative sarebbe causa di un’escalation di difficile gestione per ognuno dei belligeranti. Imprevedibilità che potrebbe degenerare in guerra mondiale, al di là dei veri obiettivi degli eserciti e dei loro comandanti.
Dal momento che l’Ucraina centroccidentale non cadrà e che una guerra diretta tra Russia e NATO non è nell’interesse né della prima né della seconda, è lecito chiedersi in che modo gli strateghi russi potrebbero accendere il teatro moldavo. Gli assi nella manica di Mosca sono diversi: dalla Transnistria – stato a riconoscimento limitato che dal 1990 ospita al suo interno circa 1.500 soldati russi – alla Gagauzia – regione autonoma dalle mai sopite voglie secessionistiche.
Il capo della diplomazia russa, accusando la Moldavia di essere una nuova anti-Russia – termine dispregiativo già utilizzato per indicare l’Ucraina e giustificarne l’invasione –, sta mirando a degli obiettivi molto specifici:
Partiti politici, giornali, parrocchie, miliardari, cellule dormienti di 007 e agenti provocatori pronti all’uso; Mosca ha a disposizione una vasta gamma di agenti e di strumenti nella piccola ma geostrategica Chișinău. Ma è consapevole dell’insostenibilità di una donbassizzazione della Transnistria – piccola, isolata, irraggiungibile – e dell’imprevedibilità di un’escalation in una zona tanto calda. Perciò, se e quando lo status quo moldavo verrà meno, è estremamente improbabile che sarà a causa di una replica dell’operazione militare speciale.
I nodi stanno arrivando al pettine
Nelle terre moldave, ai russi, convengono più la prosecuzione dello stato di belligeranza passiva o la conduzione di operazioni destabilizzanti di tipo ibrido – magari un tentativo di rovesciamento popolare contro la presidenza Sandu o dei sabotaggi ad infrastrutture critiche come il gasdotto Iași-Ungheni-Chișinău – che una guerra sul modello ucraino. Perché, altrimenti, i contro supererebbero i pro. Perché Chișinău non è Donec’k. Scenari da hic sunt leones.
Essendo le relazioni internazionali il reame delle possibilità, dove persino l’impossibile può farsi concretezza, non è comunque da escludere la remota eventualità di una balcanizzazione della Moldavia, eterodiretta ibridamente dalla Russia, in caso di aggravamento ulteriore e straordinario della competizione tra grandi potenze. La riaccensione della Transnistria per congelare ogni prospettiva di ingresso della Moldavia nell’eurofamiglia. Una possibile insorgenza in Gagauzia, Turchia permettendo, per spaccare il Paese in tre. La consapevolezza, da parte europea, che interventi di peso potrebbero provocare reazioni uguali e contrarie. La politica, molte volte, è il risultato di schemi e disegni testati alla fantapolitica.
I nodi sono arrivati al pettine in Ucraina, dopo otto anni di guerra a bassa intensità e di sordomutismo preferito alla diplomazia, e il redde rationem potrebbe un giorno arrivare in Moldavia. Se e quanto sarà distruttivo, però, dipenderà anche dalla diplomazia europea, che dalla tragedia ucraina potrebbe e dovrebbe trovare la necessaria spinta ad avviare un tavolo negoziale con Mosca per la risoluzione definitiva del dossier moldavo.