C’è così tanto da dire sulle guerre ibride che, a volte, è difficile stabilire da quale punto dare avvio alla loro esegesi. Si potrebbe cominciare smontando in maniera breve ma concisa la grande narrazione sulle guerre ibride: non le ha inventate Vladimir Putin, esistono da sempre, nel senso che le guerre sono ibride dall’alba dei tempi, e la famigerata dottrina Gerasimov, sulla quale sono stati scritti addirittura libri e della quale si riempiono la bocca i sedicenti esperti, è un’invenzione del cremlinologo Mark Galeotti. Invenzione involontaria per la quale lui stesso ha fatto mea culpa, sulle colonne del prestigioso Foreign Policy, perché scambiò un commento analitico di Valerij Gerasimov sull’evoluzione delle guerre nel nuovo secolo per una dottrina ufficiale delle forze armate russe in materia di conflitti non convenzionali.
Ma allora che cos’è una guerra ibrida? È una guerra condotta con mezzi non militari e non convenzionali. È creatività contro logica. È asimmetria contro regole. È non linearità contro prevedibilità. È un tipo di guerra che storicamente, dalla genesi dell’Uomo, conducono i più deboli per combattere indirettamente degli avversari più forti, imbattibili se affrontati su un campo regolare con metodi convenzionali.
Le origini della guerra ibrida si perdono nella notte della Creazione. Si pensi al racconto biblico della cacciata di Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden. Il Diavolo e i suoi angeli ribelli avevano perduto una guerra diretta e convenzionale contro gli angeli fedeli al Dio creatore. Il Diavolo voleva rivalersi per la sconfitta subita, perciò manipolò Adamo ed Eva e li convinse a nutrirsi del frutto proibito. Guerra psicologica. La prima di sempre.
Non bisogna quindi arrivare al Duemila o al Novecento per trovare casi di guerre ibride. Anche l’antichità ne è piena. La prima guerra economica della storia, del resto, fu lanciata da Atene contro Megara. Certamente, però, la guerra ibrida è sempre stata più eccezione che regola. Oggi è, invece, è vero il contrario: la guerra ibrida è la cifra distintiva del nostro tempo e ciò è accaduto per una serie di fattori, tra i quali la trasformazione del mondo in villaggio globale, il progresso tecnologico, il cambio di sensibilità delle opinioni pubbliche di molti Paesi – che non sono più disposte ad accettare il ritorno dei loro figli dentro delle bare – e una complessiva presa di coscienza sul fatto che una guerra ibrida ben pianificata può garantire il massimo risultato politico col minimo sforzo umano ed economico. Anche perché una guerra ibrida ha il vantaggio di essere occultabile agli occhi della vittima, perché è clandestina e non è dichiarata, e può essere lanciata comodamente da casa, per esempio da un telefono, al contrario di una guerra tradizionale che richiede l’impiego dell’esercito e una significativa mobilitazione socioeconomica.
Guerra ibrida è un termine dai tanti significati: guerre dell’economia e delle risorse e i loro derivati – cioè le guerre finanziarie, industriali, commerciali ed energetiche –, guerre cibernetiche, guerre dell’informazione, guerre mente-centriche – cioè guerre psicologiche, cognitive e neurologiche –, guerre elettroniche e ancora terrorismo, guerriglia, militarizzazione del diritto, entrismo – cioè infiltrazione di agenti provocatori e quinte colonne in settori-chiave di una società e delle istituzioni –, militarizzazione della religione.
Le armi nell’arsenale delle guerre ibride sono tantissime, si va dagli hackeraggi agli attacchi speculativi, dagli attentati alle false flag, dalle ondate disinformative ai meme, dai sabotaggi alle sanzioni e alle migrazioni pilotate. Il punto da capire è questo: le vie delle guerre ibride sono come quelle del Signore, infinite. Perché tutto è o può diventare arma impropria nelle mani di un guerriero ibrido.
E questo ci conduce direttamente a parlare dell’esercito delle guerre ibride, che non è composto né da soldati né da divise. Chiunque può essere arruolato all’interno di una campagna di guerra ibrida: hacker, influencer, musicisti, scrittori, mematori, terroristi, guerriglieri, missionari, mafiosi, trafficanti di esseri umani.
Il campo delle possibilità delle guerre ibride è in continua espansione e supera la creatività degli sceneggiatori più visionari di Hollywood. Perché l’opinione comune vuole che le guerre ibride siano sostanzialmente interferenze elettorali, hackeraggi e disinformazione, quando in realtà sono una complessa macedonia al cui interno si trova di tutto: le telenovele turche che spingono gli spettatori a convertirsi all’erdoganismo, o a imparare il turco o a diventare degli apologeti dell’Impero ottomano, e che alcuni paesi arabi non a caso hanno bandito; i missionari iraniani che hanno esteso l’influenza di Tehran dal Levante alla penisola arabica convertendo milioni di persone allo sciismo e creando il terreno fertile per il radicamento dei suoi proxy; tutti i social media globali, nessuno escluso; e persino le droghe.
Droghe. Già. Perché, come anticipato poc’anzi, anche le mafie e le organizzazioni criminali possono essere reclutate all’interno di una campagna di destabilizzazione. Non è un segreto che gli Stati Uniti arruolarono Cosa nostra americana nel corso dell’operazione Mangusta a Cuba, usandone sicari e assetti per compiere sabotaggi, false flag e provare a ridurre l’affezione popolare verso Fidel Castro. L’Europa sta assistendo alla nascita di patti tra organizzazioni criminali turche, cecene e marocchine e i servizi segreti di paesi come Turchia, Iran e Russia per condurre attività di spionaggio e consumare omicidi – l’Iran ha appaltato alla Mocro Maffia l’omicidio di due dissidenti in Olanda, la Turchia è di fatto la guardiana delle banlieue francesi, sempre l’Iran è stato scoperto a fine 2023 mentre complottava con clan basati in Nord Europa per colpire obiettivi israeliani.
E poi c’è la crisi degli oppioidi negli Stati Uniti, che ha fatto più di un milione di morti dal 1999 ad oggi, la metà dei quali a partire dal 2019, anno in cui è entrata in una fase epidemica per via dei decessi annualmente superiori ai centomila. Sta succedendo che l’uomo americano è depresso per una serie di motivi e che qualcuno sta alimentando il suo malessere, facendo una strage. Quel qualcuno erano e in parte sono ancora le grandi case farmaceutiche, ma oggi è soprattutto un improbabile consorzio criminale sino-messicano. Criminali delle Triadi e altre volte legittime aziende farmaceutiche che vendono oppio grezzo oppure precursori chimici degli oppioidi ai narcos, che a loro volta li trasformano in eroina o in versioni ultra-economiche, contraffatte e soprattutto mortali, dei farmaci fentaniloidi.
Parlare di farmaco contraffatto è riduttivo, oltre che sostanzialmente sbagliato, visto che parliamo di una vera e propria arma chimica in grado di uccidere semplicemente via inalazione. Per alcuni non è una guerra ibrida, ma è la Cina che potrebbe fare di più per spezzare questo traffico e semplicemente non lo fa. Per altri, invece, lo è. Del resto sono stati due cinesi, Qiao Liang e Wang Xiangsui, a teorizzare nel 1999, nel manuale Guerra senza limiti, la creazione di sodalizi con le organizzazioni criminali per destabilizzare un paese avversario, per esempio affidandogli la distribuzione di droghe pesanti al suo interno. Poco più di vent’anni dopo, facendo tesoro di una delle regole basilari della destabilizzazione – nutrire il malessere esistente –, Pechino è passata dalla teoria alla prassi.
La quarta guerra mondiale sta entrando nel vivo – la quarta, non la terza, perché cosa fu la Cold War se non una guerra mondiale sotto mentite spoglie? – e si sta combattendo più coi mezzi di Bernays che di Clausewitz. Ragion per cui è tempo di iniziare ad approfondire lo studio del primo, che continua a essere colpevolmente offuscato dal secondo.