Definendo i Russi ne La tentazione di esistere, Emil Cioran ha attribuito loro – sulla falsariga di quanto già fece Spengler – una civiltà quasi nascente, lontana dallo stadio di decadenza delle coeve nazioni occidentali:
«Non c’è nulla davanti a loro, nulla di vivo col quale possano scontrarsi, nessun ostacolo: non fu uno di loro a usare per primo, in pieno XIX secolo, la parola “cimitero” a proposito dell’Occidente? Presto arriveranno in massa per visitarne le spoglie. I loro passi sono già percettibili a orecchi fini. Chi potrebbe opporre alle loro superstizioni in marcia anche solo un simulacro di certezza?»
La sfida russa all’Occidente assume in verità colori e sfumature differenti, coagulandosi nello scontro tra il residuo materializzato di un sogno messianico e l’avvento di un coacervo di illusioni, di miti culminanti nel metaverso, quale estrema proiezione della tecnica dell’Occidente. Cuore della guerra in corso è l’umano divenuto ancora una volta sinonimo di sofferenza, di sangue, di sopportazione. L’età dell’oro del benessere euro-occidentale è stata spazzata via, in successive ondate. L’illusione di una Russia più occidentale che asiatica è andata anch’essa liquefacendosi. La contesa planetaria apre a sconcertanti prospettive di palingenesi globale, in una guerra che proprio perché umana – tremendamente umana – assume il volto spettrale di un duello all’ultimo sangue, che non avrà fine fino al completo annientamento dell’una o dell’altra fazione. La guerra tra Atene occidentale e Gerusalemme orientale è esplosa improvvisa nelle visioni allucinanti del popolo russo. Esplosione che è quasi una ricerca di conforto dalla disillusione, così come predisse Lev Sestov:
«Ormai da secoli gli Ebrei piangono la distruzione di Gerusalemme. Ora sono i Russi a piangere la Russia. A non trarre conforto da alcuna visione. E, di conseguenza, nessuna visione è più possibile. A meno che più tardi, in un futuro lontano, l’energia accumulatasi a lungo non esploda in fiamma luminosa di “rivelazione”».
Umano – ancora una volta, tremendamente – è il Dio che guida le legioni russe nella propria crociata contro il “cimitero” occidentale. Così, nonostante i rovesci militari subiti, nonostante la guerra abbia assunto sfumature forse imprevedibili per lo Stato Maggiore della Federazione, la fiducia non sembra venuta a mancare. Così Limes ha riportato l’ottimismo del preside della Scuola superiore per la televisione dell’Università statale di Mosca, Vitalij Tret’jakov:
«Tutto il resto del mondo è stanco dell’egemonia statunitense in particolare e occidentale in generale. Voi, Occidente, siete venuti a noia al mondo intero».
Che la Russia perda la guerra non è assolutamente contemplato. Si attende, semmai, dal Cremlino il collasso economico dei vassalli europei, come suggerisce lo storico Emmanuel Todd per Tass.
Si attende lo scollamento definitivo tra la popolazione e le sue élite, incapaci di assicurare quel benessere che per decenni è stato l’unico parametro-guida delle politiche europee dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in avanti. Nel frattempo la Russia si reinventa e si radicalizza. La popolazione più stanca della guerra e più vicina per mentalità all’Occidente ha già lasciato o sta lasciando la Federazione. Di conseguenza, suggerisce Elena Tagliaferri per Domino, la Russia è ora votata completamente alla vittoria o all’annientamento. Annientamento che, se percepito, verrebbe subito scongiurato con un cambio al vertice. Profondamente umani e radicati nelle viscere stesse della propria, ancestrale, aspirazione alla potenza, i russi vinceranno o diverranno altro, senza mai rinunciare alle proprie pretese, rimanendo distinti dall’Occidente, sebbene collegati ancora a quest’ultimo da quel sottile – non inconsistente – ponte, chiamato San Pietroburgo, issato sul Baltico nel XVII dal suo zar più occidentale, Pietro il Grande.
La realtà è funzionale ad un disegno complessivamente sovrumano. E sovrumane sono anche le pretese, diametralmente opposte, del nemico occidentale. Orfani di Dio e pronipoti dei Lumi, del Positivismo e del nuovo Dio Progresso. Investiti di una missione che parla dell’umanità in puri termini utilitaristici e mercantilistici, gli Occidentali antepongono il ragionamento alla realtà, allo stesso modo di quanto fanno i russi con Dio. Potenziano in questo modo, anch’essi, l’umano. Così Dario Fabbri nell’editoriale di Domino, suggerisce l’assoluta umanità di quell’estrema illusione e sovrastruttura, che è il metaverso:
«Metaverso e intelligenza artificiale esistono (forse) come creazione dell’uomo, non anticipano alcuna realtà. La loro capacità è fatalmente limitata, perché imitazione della parte minore della mente umana, quella dicotomica, innesco dell’aritmetica binaria. Ovvero, la convinzione che la combinazione di 0 e 1 sappia riprodurre l’intero creato e che basta accordare 0 e 1 per ottenere ogni fenomeno. Principio che regola i contemporanei elaboratori digitali».
Un simile sistema di pensiero conduce alla fallace aspettativa che tutti gli esseri umani perseguano gli stessi sogni e gli stessi desideri, che desiderino esclusivamente i diritti politici, il benessere materiale e che siano ben disposti a liberarsi (sotto consiglio e magari con un aiuto cospicuo da parte Occidentale, si intende) delle catene dei propri oppressori. 0 e 1 traduce democrazia o autocrazia. Buoni o cattivi. Le sfumature vengono meno. In una società improntata alla demolizione di qualsiasi possibile nemico ideologico e culturale, o presunto tale, l’assunto di una bipartizione totale e radicale si è estremizzata al punto tale da non distinguersi punto dalla crociata e dal messianismo ortodossi. Come per i russi, il progresso tecno-scientifico (scrive Zeno Goggi per Domino) è una consolazione:
«Siamo poi tanto diversi dagli uomini delle epoche trascorse e che giudichiamo, dall’alto dei nostri pregiudizi progressisti, come individui irrazionali nelle loro credenze, nei loro usi e costumi […] se crediamo veramente che un’equazione possa lenire, in un modo qualsiasi, il nostro bisogno di consolazione?»
Religioni di guerra, con i rispettivi apparati politici e i propri miti, si scontrano sulla pelle di quella terra di mezzo, martoriata e sottomessa, che è l’Europa. Il trionfo della Terra o del Mare parlano la stessa lingua, cifra di un tempo di ideologie radicali, di un’umanità stanca, repressa e ormai sul punto di esplodere in una follia collettiva. Ci si batte per valori universali, anti-coloniali, anti-occidentali, anti-decadenti da parte russa; libertari, democratici, improntati all’illuministica predisposizione umana al benessere sono invece i loro avversari. Ideologie universali come la battaglia per il cambiamento climatico, che invece diviene ulteriore terreno di scontro e di interessi contrapposti. Così lo scioglimento dell’Artico è dramma planetario ma anche infinita proiezione di potenza marittima per la Russia o per il Canada. Così lo stesso metaverso, espressione di aziende spesso in prima linea – almeno in linea teorica – nella lotta al cambiamento climatico, eppure portatori di un nuovo ed ingente impatto sul pianeta. Scrive ancora Fabbri come
«In Occidente le emissioni digitali superano quelle delle industrie marittima e dell’aviazione sommate […]. La realtà parallela potrebbe letteralmente raddoppiare l’inquinamento. Con la prevista crescita del 900% dell’estrazione mineraria necessaria a produrre dispositivi dell’internet 3.0, la più tossica delle attività. Terre rare, rame, argento, litio. Ma in piena retorica da metaverso taumaturgico, descritto come inarrestabile e avvolgente destino, difficile incolpare gli Stati di questa nuova indifferenza nei confronti dell’ambiente. Nella narrazione il futuro è notoriamente saggio».
Disabituandosi ad una terra abitabile, gli uomini ne edificano un’altra in cui continuare a percepirsi come umani, integrandosi in superpotenze o in potenze virtuali. Il metaverso, suggerisce ancora Goggi, spera in un’apocalisse nucleare non meno di quanto il Dio dei Russi auspica il collasso dell’Occidente. L’uomo, del mondo, non sa più che farsene. Ne ricerca un altro. Non sa che farsene nemmeno del benessere, dilapidato in un paio di decenni in tutta l’Europa occidentale e sostituito con un riarmo dettato dalla nuova agenda militare dell’Alleanza Atlantica. L’uomo è tornato a pretendere l’impossibile, nelle rispettive crociate. Auspica la salvezza della propria anima o del proprio avatar disincarnati dal disastro del mondo emerso.
Uomini del sottosuolo siamo divenuti noi occidentali e i russi allo stesso modo: «Certo che Dio esige l’impossibile. Dio esige solo l’impossibile.» dirà Dostoevskij, secondo Lev Sestov quale pietra di paragone e perfetto avversario del criticismo kantiano e del razionalismo cartesiano e spinoziano. L’impossibile si manifesta quale estrema illusione e come consapevolezza di un vuoto umano incolmabile. Lontani anni luce dal sogno nietzschiano, Dio è risorto nella sua veste più tradizionale, o ha assunto nuovi colori e sfaccettature, alimentandosi delle follie e delle pulsioni collettive, manifestandosi in un codice binario o nell’esercito russo. Risvegliando un’umanità profonda e rimasta insepolta, fino ad oggi.