Occorre studiare la grande letteratura per camminare sulle corde emotive della storia e capire in quale direzione, questa, sta andando. Un romanzo, dunque, e un accadimento degli ultimissimi giorni, ci suggerisce, nemmeno troppo a bassa voce cosa sta per succedere nel mondo sottosopra. Prima ancora delle telefonate sulle linee roventi dell’alta politica, prima ancora delle dichiarazioni dei decisori politico-istituzionali, ci voleva un medico, “il medico dei poveri” par excellence Louis Ferdinand Céline, per entrare dentro la psicologia della guerra ucraina, ascoltando le voci delle mogli dei soldati scese in piazza per la prima volta a Kiev e in decine di altre città, da Dnipro a Leopoli, per chiedere il ritorno a casa dei militari al fronte. A muovere i loro corpi e le loro menti, non è tanto la stanchezza che assale le élite occidentali, bensì l’ingiustizia sociale. Tra le frasi scandite dalle donne e raccolte nelle strade da Paolo Brera, inviato di Repubblica, ce ne sta una che dice molto sul corso del conflitto: “Loro in trincea, voi a divertirvi al ristorante?”. È il primo sintomo di una malattia che frantuma il tessuto sociale, insieme al consenso popolare che nei primissimi mesi aveva trasformato il presidente Volodymyr Zelensky da politico corrotto a condottiero di un’intera civiltà. Se prima arrivavano le armi da Occidente a sopperire la mancanza di ricambio di uomini sul fronte militare, ora mancano le reclute per sostituire i caduti, tantomeno per dare il cambio alle reclute, e per di più le armi arrivano con estremo ritardo. E quando i locali di notte si riempiono, mentre a qualche chilometro più in là c’è un soldato che sta marcendo nella fanghiglia gelata con un kalashnikov in mano, significa che non c’è più cura, oppure che la guerra sta finendo o perlomeno deve finire al più presto.
Proprio Louis-Ferdinand Céline in Viaggio al termine della notte (1932) attraverso il protagonista Bardamu, un giovane milite nella Prima Guerra Mondiale, che come tanti altri si è arruolato ed è tornato a Parigi a causa delle ferite riportate, il romanziere francese coglie le sofferenze, le manipolazioni, e le angosce di una società civile assalita dalla guerra. E proprio mentre sul fronte si muore, nella capitale francese la borghesia, rimasta a casa, fa grandi affari e vive una quotidianità ancora più spensierata. «Mentir, baiser, mourir». “Mentire, scopare, morire” scrive brutalmente Céline per descrivere le sensazioni di un ragazzo tradito dai suoi superiori: «Per essere ben visti e considerati, bisognò sbrigarsi alla svelta a diventare buoni amici dei borghesi perché́ quelli, nelle retrovie, man mano che la guerra andava avanti diventavano sempre più viziosi. L’ho capito subito tornando a Parigi e anche che le loro donne avevano il fuoco al culo, e i vecchi delle fauci grosse così, e le mani dappertutto, sui culi, nelle tasche». Il capolavoro celiniano mette a nudo proprio l’impostura della guerra voluta da un’élite che attraverso grandi discorsi esorta le nuove generazioni a morire per la République: «Ve lo dico io, gentucola, coglioni della vita, […] quando i grandi di questo mondo si mettono ad amarvi, è che vogliono ridurvi in salsicce da battaglia…», scriveva.
Queste pagine quasi autobiografiche, quasi centenarie, ci riportano proprio a Kiev in questi giorni, tra le mogli dei soldati ucraini, con la differenza però che i soldati a casa non ci tornano affatto. Una storia nemmeno troppo distante da quella di Gaza, con il popolo sotto i bombardamenti, e i combattenti di Hamas sottoterra, nei tunnel costruito in questi decenni, a combattere, mentre i loro leader, si trovano nei grandi alberghi di lusso a Doha, a cospirare, a negoziare, a fatturare. Esiste la geopolitica, come la geopolitica delle emozioni. Viviamo lo stesso spazio ma percepiamo il tempo in maniera diversa. Chi crede (o usa Dio), vive in eterno, chi invece lo rifiuta a prescindere diventa vittima della paura e prigioniero del contingente. Con l’ipocrisia che è segnale di stanchezza, e l’ipocrisia dell’ipocrisia, di Salvezza.