L'editoriale

Il sangue e l'oro

Nelle carte che disegnano il futuro di questo fazzoletto di terra c’è la volontà di trasformare la Striscia da prigione a resort a cielo aperto con una finestra sul Mediterraneo. Smilitarizzazione, deportazione di due milioni di abitanti, e grandi alberghi di lusso. I palestinesi più fortunati faranno i camerieri al servizio di qualche ricco vacanziere del Golfo. Una Tel Aviv in versione arabeggiante, senza leggi religiose ma soprattutto senza riflettori.
VIVI NASCOSTO. ENTRA NEL NUCLEO OPERATIVO
Per leggere via mail il Dispaccio in formato PDF
Per ricevere a casa i libri in formato cartaceo della collana editoriale Dissipatio
Per partecipare di persona (o in streaming) agli incontri 'i martedì di Dissipatio'

In una recente intervista apparsa su un quotidiano italiano, Marco Minniti, già ministro della Repubblica italiana e attualmente presidente della Fondazione Med-Or, ospite al nostro utlimo “martedì di Dissipatio” spiegava come si è passati da un mondo bipolare al tentativo di un mondo multi-polare a un mondo “a-polare”. Sono saltati gli equilibri dell’ordine internazionale, e di conseguenza si accendono, come non accadeva da decenni, focolai di guerra strettamente interconnessi fra loro, in contemporanea e in diverse latitudini. In un arco temporale brevissimo, i governi delle medie e grandi potenze si sono dovuti misurare prima con la guerra in Ucraina, poi con la riesplosione del conflitto nel Nagorno Karabakh, e ora con i massacri in corso in Israele. A Gaza non è in gioco soltanto la questione palestinese, ma l’ordine internazionale che già da qualche mese americani e cinesi stanno cercando di costruire su nuovi equilibri.

Dopo la disfatta della Nato in Ucraina, come rivelato dalla stessa Giorgia Meloni durante la telefonata con i due comici engagé russi (anche se prima di linea già gli americani lo dicevano a bassa voce), quella di Israele, molto più difficile da perdere, segnerebbe la fine del vecchio mondo. Hamas, in evidente difficoltà di fronte agli Accordi di Abramo – in corso di accettazione da ambo le parti, si sono fatti e si facevano sopra la loro testa, con la loro testa sul tavolo – hanno agito repentinamente per provare a far saltare il tavolo. Ora che si è arrivati a un punto di non ritorno stralci di quegli accordi iniziano ad uscire velatamente e non possono passare inosservati per gli addetti ai lavori. 

Gli israeliani non vogliono combattere una guerra totale per due ragioni. La prima è che gli “Accordi di Abramo” con l’Arabia Saudita favoriscono lo Stato Ebraico; la seconda è che c’è la consapevolezza di non essere sufficientemente pronti alla guerriglia con Hamas. Basta vedere i video di propaganda che l’organizzazione militare palestinese sta diffondendo per capire come si porta avanti la guerra sul campo in questi terreni di battaglia. Al momento dunque Israele ha un obiettivo – entrare dentro Gaza – ma più che un perseguimento di tale obiettivo sembra ad oggi un sopralluogo del proprio obiettivo militare. In realtà Washington sa che l’operazione di Israele inizialmente non era diretta contro Hamas, ma mirava a scuotere la questione palestinese evacuandone la popolazione e portare poco a poco alla luce la sostanza degli Accordi di Abramo.

E’ questa la nota più importante emersa da un mese a questa parte, ed è solo l’inizio. Infatti il Dipartimento di Stato ha proposto all’Egitto l’annullamento dell’intero debito estero (135 miliardi di dollari) in cambio dell’accoglienza e la naturalizzazione dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza. Parallelamente il Segretario di Stato americano Anthony Blinken sta avanzando un piano di pace che va in quella direzione con tre obiettivi: eliminare Hamas da Gaza; formare una forza internazionale autorizzata dall’Onu, con militari arabi ma forse anche europei, per garantire sicurezza e gestione di Gaza dopo la fine del conflitto; affidare all’Autorità palestinese il governo della Striscia, con lo sblocco di tutti i finanziamenti previsti, aggiungendolo a quello della Cisgiordania. Questa direzione porterebbe poco a poco all’epilogo degli Accordi di Abramo, cioè trasformare la Striscia da “prigione a cielo aperto” a “resort di lusso” con finestra sul meditterranneo. Una Tel Aviv in versione arabeggiante, dove le società di costruzione saudite, come hanno fatto anche in Libano dopo la guerra civile, faranno grandi affari per trasformare le macerie in resort di lusso. Con i pochi palestinesi rimasti a fare i camerieri e gli ultimi soldati dell’Anp faranno da sicurezza privata di magnificenti strutture alberghiere. Avranno creato un’attrazione turistica e la chiameranno pace.

I più letti

Per approfondire

La cantata dei giorni dispari di Gaza

Israeliani e Palestinesi combattono in una terra che Golda Meir, in un empito di umorismo ebraico, guardava sorridendo non comprendendo perché, pur così povera, fosse valsa 40 anni di espiazione divina nel deserto. È una guerra antica, che estende le sue radici nel tempo e che non troverà mai facile soluzione. Al momento, i due Stati sono un’utopia. Con gli occhi di Eduardo, il Mediterraneo attende il ritorno dei più felici giorni pari, mai tuttavia così impalpabili ed evanescenti.

L’asse Tel Aviv-Budapest-Roma

Giorgia Meloni rimane indietro rispetto a Viktor Orban e Benjamin Netanyahu in termini di autonomia strategica, e fortemente allineata alla linea dura inglese. Ma i Midterm potrebbero ribaltare la sua narrativa sul conflitto.

Sulla crisi della Pax Americana

Dall'Ucraina a Israele, dal Mar Rosso al Mar Cinese Meridionale, molti sono i rivali degli Stati Uniti che hanno deciso di sfidare l'ordine imposto. Nell'osservare questo fenomeno, ci sono due prospettive differenti, sia in termini temporali che di attori coinvolti. La prima si proietta verso il futuro prossimo, concentrandosi sugli attuali rivali. La seconda, invece, si focalizza sul futuro remoto, esplorando gli effetti a lungo termine di ciò che sta accadendo oggi. Le due prospettive si completano reciprocamente e, per questo motivo, un'analisi seria deve tener conto di entrambe.

Le responsabilità dei palestinesi

Il conflitto scoppiato il 7 ottobre non era inevitabile. E se le colpe degli israeliani sono note, quelle dell'altra parte vanno ricordate.

Israele con le spalle al muro

L’attacco di Hamas è stato l’11 Settembre d’Israele poiché ha sancito la funesta cesura fra una percezione d'apparente invulnerabilità e la sua scomparsa. Ma rappresenta anche la fine di una convergenza parallela fra Tel Aviv e l'Occidente. Il vallo orientale fra il mondo dei buoni e quello dei cattivi ha perso ogni ragion d'essere, così come il credito politico su cui si fondava la Nazione, finito bruciato assieme a Gaza.

Gruppo MAGOG