In una recente intervista apparsa su un quotidiano italiano, Marco Minniti, già ministro della Repubblica italiana e attualmente presidente della Fondazione Med-Or, ospite al nostro utlimo “martedì di Dissipatio” spiegava come si è passati da un mondo bipolare al tentativo di un mondo multi-polare a un mondo “a-polare”. Sono saltati gli equilibri dell’ordine internazionale, e di conseguenza si accendono, come non accadeva da decenni, focolai di guerra strettamente interconnessi fra loro, in contemporanea e in diverse latitudini. In un arco temporale brevissimo, i governi delle medie e grandi potenze si sono dovuti misurare prima con la guerra in Ucraina, poi con la riesplosione del conflitto nel Nagorno Karabakh, e ora con i massacri in corso in Israele. A Gaza non è in gioco soltanto la questione palestinese, ma l’ordine internazionale che già da qualche mese americani e cinesi stanno cercando di costruire su nuovi equilibri.
Dopo la disfatta della Nato in Ucraina, come rivelato dalla stessa Giorgia Meloni durante la telefonata con i due comici engagé russi (anche se prima di linea già gli americani lo dicevano a bassa voce), quella di Israele, molto più difficile da perdere, segnerebbe la fine del vecchio mondo. Hamas, in evidente difficoltà di fronte agli Accordi di Abramo – in corso di accettazione da ambo le parti, si sono fatti e si facevano sopra la loro testa, con la loro testa sul tavolo – hanno agito repentinamente per provare a far saltare il tavolo. Ora che si è arrivati a un punto di non ritorno stralci di quegli accordi iniziano ad uscire velatamente e non possono passare inosservati per gli addetti ai lavori.
Gli israeliani non vogliono combattere una guerra totale per due ragioni. La prima è che gli “Accordi di Abramo” con l’Arabia Saudita favoriscono lo Stato Ebraico; la seconda è che c’è la consapevolezza di non essere sufficientemente pronti alla guerriglia con Hamas. Basta vedere i video di propaganda che l’organizzazione militare palestinese sta diffondendo per capire come si porta avanti la guerra sul campo in questi terreni di battaglia. Al momento dunque Israele ha un obiettivo – entrare dentro Gaza – ma più che un perseguimento di tale obiettivo sembra ad oggi un sopralluogo del proprio obiettivo militare. In realtà Washington sa che l’operazione di Israele inizialmente non era diretta contro Hamas, ma mirava a scuotere la questione palestinese evacuandone la popolazione e portare poco a poco alla luce la sostanza degli Accordi di Abramo.
E’ questa la nota più importante emersa da un mese a questa parte, ed è solo l’inizio. Infatti il Dipartimento di Stato ha proposto all’Egitto l’annullamento dell’intero debito estero (135 miliardi di dollari) in cambio dell’accoglienza e la naturalizzazione dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza. Parallelamente il Segretario di Stato americano Anthony Blinken sta avanzando un piano di pace che va in quella direzione con tre obiettivi: eliminare Hamas da Gaza; formare una forza internazionale autorizzata dall’Onu, con militari arabi ma forse anche europei, per garantire sicurezza e gestione di Gaza dopo la fine del conflitto; affidare all’Autorità palestinese il governo della Striscia, con lo sblocco di tutti i finanziamenti previsti, aggiungendolo a quello della Cisgiordania. Questa direzione porterebbe poco a poco all’epilogo degli Accordi di Abramo, cioè trasformare la Striscia da “prigione a cielo aperto” a “resort di lusso” con finestra sul meditterranneo. Una Tel Aviv in versione arabeggiante, dove le società di costruzione saudite, come hanno fatto anche in Libano dopo la guerra civile, faranno grandi affari per trasformare le macerie in resort di lusso. Con i pochi palestinesi rimasti a fare i camerieri e gli ultimi soldati dell’Anp faranno da sicurezza privata di magnificenti strutture alberghiere. Avranno creato un’attrazione turistica e la chiameranno pace.