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Il tempo perduto della democrazia

Scrive Antonio Campati in "La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica" (Vita e Pensiero, 2022), che è solo rigenerando la giunzione tra chi governa e chi è governato che la vita democratica stessa può essere rigenerata.
Scrive Antonio Campati in "La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica" (Vita e Pensiero, 2022), che è solo rigenerando la giunzione tra chi governa e chi è governato che la vita democratica stessa può essere rigenerata.
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Che nubi fosche si addensino sui cieli dei regimi democratici del Nord del mondo (e non solo), non è un’osservazione sorprendente. Negli ultimi due decenni, e in particolar modo a partire dalla crisi globale finanziaria del 2008-2009, si è assistito a un riflusso, uno sviluppo, per certi versi, inatteso della gloriosa marcia verso la democratizzazione della “base sociale” del sistema internazionale post-bipolare. I primi vistosi segnali, rimasti largamente inascoltati, della battuta d’arresto con cui si sarebbero scontrate le ondate di democratizzazione descritte da Samuel Huntington vennero dai movimenti di protesta Occupy e le mobilitazioni contro le ricette di austerità europee. Ma, ora, a distanza di più di dieci anni da quella stagione di disillusione, il fortino della democrazia occidentale sembra consumato da una lenta entropia, mentre, nel dibattito pubblico, viene descritto quasi come assediato da tendenze autoritarie e regimi ibridi. 

L’età della “tarda democrazia”. Con quest’espressione esordisce Antonio Campati nel suo La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica (Vita e Pensiero, 2022) rifacendosi alle considerazioni di Lorenzo Ornaghi, studioso, rettore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore dal 2002 al 2012 e ministro nel governo Monti. Una democrazia definita “tarda” non soltanto per via del tempo trascorso dagli albori della sua evoluzione storica, ma soprattutto per gli sconvolgimenti interni e il logoramento di meccaniche tradizionalmente essenziali per il regolare svolgimento della vita politica. 

Dalle forme più eclatanti della crisi della democrazia, come l’assalto a Capitol Hill del gennaio 2021, la giletjaunisation di diverse piazze europee dall’autunno 2018 e il braccio di ferro tra la Commissione europea e i governi ungherese e polacco, ai fenomeni più pervasivi e trascurati, come il diffuso sentimento dell’antipolitica e di disaffezione democratica e la carenza di leadership politica nelle attuali classi dirigenti, la questione indagata nel saggio di Campati, ricercatore di Filosofia politica all’Università Cattolica del Sacro Cuore, interpella tutte le forze delle società occidentali. 

A tale scopo, occorre mettere da parte l’ingenuo ottimismo da trionfo del paradigma liberal-capitalistico affermatosi all’indomani del 1989 e sforzarsi di ritornare alle radici della democrazia: operazione intellettuale necessaria per comprenderne le strutture portanti e i fattori decisivi per il buon funzionamento di un’organizzazione politica tanto discussa nella storia del pensiero politico-filosofico quanto generalmente esaltata e considerata preferibile alle alternative nel mondo contemporaneo. Proprio quel genere di operazione proposta ne La distanza democratica.

«Negli ultimi anni – complice soprattutto una serie di innovazioni tecnologiche – l’ipotesi secondo cui i soggetti mediatori tra il potere politico-istituzionale e i cittadini possano essere soppressi è tornata in primo piano, spesso incardinata all’interno di un inedito modello di democrazia capace di consentire al cittadino di essere costantemente presente e in contatto con il decisore politico.»

A. Campati, La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica, Vita e Pensiero, 2022, p. 9

Nel quadro della più ampia riflessione sulla qualità delle odierne democrazie à l’occidentale e delle sfide cui esse sono chiamate a dare risposta, particolare attenzione viene dedicata al tema della mediazione politica, che si colloca in una giuntura cruciale. Il principio di maggioranza, che nella democrazia dell’Età Antica veniva applicato nella sua forma più fisica alla partecipazione fisica dei cittadini ateniesi nell’ecclesia, ha dovuto accordarsi con l’idea di rappresentanza, che, in egual modo, «può essere intesa come un meccanismo atto a produrre decisioni “più lungimiranti e meditate”, per filtrare le “volontà immediate” del corpo elettorale e dei suoi particolarismi […]» (F. Pizzolato, I sentieri costituzionali della democrazia, Carocci, Roma 2019 in A. Campati, La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica, Vita e Pensiero, 2022, p. 10). Da alcuni decenni, tuttavia, si è affermata nel dibattito accademico una generale tendenza all’asportazione di membra non più ritenute vitali per il corpo democratico: democrazia senza mediazione, senza partiti, senza popolo e simili. Tanto che sorge spontaneo il dubbio su quale limite si possa porre concettualmente alla pretesa di effettuare tagli e ridurre all’essenziale (persino al cuore del Legislativo). 

L’ossessione per l’immediatezza. Che sia riconducibile in massima parte all’avanzata pervasiva della rivoluzione ICT in tutti gli aspetti della vita umana o alla spinta efficientista impressa dal New Public Management, esiste un’inclinazione dei sistemi politici all’accelerazione, che sollecita le classi dirigenti a deliberare e prendere decisioni nel più breve tempo possibile. «Un’immediatezza permanente che svuota il presente di ogni sostanzialità», sostiene Miguel Benasayag, tendenza portata all’estrema conseguenza dalla combinazione micidiale di crisi degli ultimi anni. Nell’inseguimento dell’illusione dell’accelerazione dei processi democratici, si è tentato di cavalcare l’onda dell’informatizzazione con l’intento di disintermediare, minimizzare la distanza tra società civile e centri decisionali della politica.

«Una vera e propria ideologia dell’immediatezza, la quale [secondo Daniel Innerarity] suggerisce “di trasferire al popolo il potere detenuto dai suoi rappresentanti”, dal momento che si ritiene che la rappresentanza democratica costituisca inevitabilmente “una falsificazione, o quantomeno una deformazione della volontà popolare pura, la frammentazione di una presunta originaria unità nell’atomismo degli interessi»

A. Campati, La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica, Vita e Pensiero, 2022, p. 13

Nel discorso sulla democrazia riconfigurata attorno all’idea di “agire in prima persona” e di “uno vale uno”, si innesta una riflessione profonda sulla sfera pubblica intermedia, per la quale Antonio Campati attinge non solo da politologi e pensatori contemporanei, bensì anche al pensiero delle massime autorità della filosofia politica. D’altronde, ragionare sulla qualità della mediazione, che delimita tanto il raggio d’azione dello Stato quanto quello dell’interesse privato, significa interrogarsi sui presupposti necessari per la deliberazione nei vari momenti della vita democratica. Non deve sorprendere che alcune promesse di superamento della mancanza di trasparenza e delle inefficienze dei sistemi democratici nella direzione di una democrazia più diretta si siano infrante. 

Se la Rete, da una parte, si è rivelata un medium ideale per gli esercizi più disparati di contro-democrazia, ovvero, secondo Pierre Rosanvallon, di vigilanza, denuncia e valutazione dell’operato della classe politica effettuate dal basso, essa ha deluso, dall’altra, le aspettative di azzeramento della “distanza tra piazza e palazzo”. Avvalorando, al contrario, la necessità fisiologica di un’«indirettezza» vitale per una moderazione del ritmo della comunicazione e per permettere ai cittadini di giudicare e di effettuare le proprie scelte in maniera autonoma e ponderata. 

Ma, perché l’analisi della questione della mediazione-disintermediazione sia rigorosa ed esaustiva, l’autore de La distanza democratica propone prima un excursus storico sulle alterne fortune del concetto di “corpo intermedio” nella civiltà occidentale e, in seguito, una ricostruzione, appassionante e densa di riferimenti alla filosofia e alla teoria politica, sugli ingranaggi della sfera pubblica intermedia. Dalle tappe dell’Età Antica e medievale allo spartiacque della legge Le Chapelier, dalla riscoperta delle corporazioni al loro pieno riconoscimento a cavallo tra Otto e Novecento. 

«I poteri intermedi, subordinati e dipendenti costituiscono la natura del governo monarchico […]. Ho detto poteri intermedi, subordinati e dipendenti: infatti nelle monarchie è principe la sorgente di ogni potere politico e civile. Queste leggi fondamentali suppongono necessariamente dei canali mediani per i quali scorre il potere; se infatti non esiste nello Stato che la volontà momentanea e capricciosa di uno solo, non può esistere nulla di fisso, e quindi nessuna legge fondamentale»

Montesquieu, De l’Esprit de Lois in A. Campati, La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica, Vita e Pensiero, 2022, p. 70

Nell’era dell’elettronica e della velocità, sembra che l’homo technologicus si sia rassegnato a dare la pratica dell’intermediazione per scomparsa. Con questa considerazione vengono introdotti gli ultimi due capitoli del volume, focalizzati sul tempo presente. Nonostante la tensione incessante alla velocizzazione di scambi di informazioni e merci, l’innovazione tecnologica e i mutamenti di status sociale contrastino con la lentezza delle meccaniche istituzionali, non viene meno l’importanza dei corpi intermedi, indice della qualità del pluralismo e «infrastrutture di organismi e istituzioni che si autogovernano» (G. Sartori, Elementi di teoria politica, Il Mulino Bologna, 1995 in A. Campati, La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica, Vita e Pensiero, 2022, p. 99). Di stringente attualità appaiono i contributi degli autori contemporanei alla ricerca accademica e al dibattito sulle diverse declinazioni di democrazia, specialmente nel tentativo di definizione della sua versione diretta: definizione che si inserisce nel più ampio ragionamento sull’equilibrio tra governabilità e rappresentatività e sui canali di legittimazione “diretta” e “mediata” delle forme di governo. 

Prossimità e distanziamento: sottile è il crinale lungo il quale la classe politica odierna si trova a muoversi tra due poli che ricordano a governanti e rappresentanti l’uno di mantenersi in contatto e tendere l’orecchio ai cittadini, l’altro di marcare una certa distanza. Basta ben poco, in fondo, perché emerga tutta la problematicità di annullare la distanza tra popolo ed élite: il rischio è quello di confondere la volontà generale con la pretesa (quasi demagogica) di mantenere costantemente il polso della situazione, in una sorta di «democrazia meteorologica». 

Al cuore delle considerazioni sui due poli c’è il concetto-chiave di “distanza democratica”, asse attorno al quale si impernia la relazione tra governanti e governati. Osserva Campati nelle pagine finali che molti hanno insistito, in tempi recenti, sulla dimensione orizzontale di inclusione, pratiche di partecipazione e decentramento; poca importanza è stata riservata, invece, alla concezione verticale, attenta al tema del comando e, soprattutto, delle fonti di legittimazione delle élite. Non si tratta di anteporre la prospettiva dei “verticalisti” a quella degli “orizzontalisti”, per quanto la democrazia rappresentativa dei moderni si distingua dall’antica democrazia ateniese proprio per il suo sviluppo verticale. Vi è piuttosto, in Italia e oltre confine, l’urgenza di ripensare il ruolo delle élite (e il tema della loro formazione e riproduzione), tenendo ben in considerazione la crisi del rapporto tra cittadini, pubblici poteri e partiti. E, nel contesto dell’attuale accesissimo dibattito pubblico in Italia sulle riforme costituzionali, un valido contributo potrebbe provenire dalle voci autorevoli del secolo scorso, come Roberto Ruffilli. 

«Si tratta, alla fine, di adeguare alla realtà in cambiamento del paese una democrazia imperniata sul principio rappresentativo con le necessarie aperture alla democrazia diretta, funzionante sulla base del principio della divisione dei poteri sia a livello orizzontale che a quello verticale, una democrazia in grado di coniugare partecipazione, garantismo e decisione, una democrazia che sappia fare i conti con le spinte […] verso una democrazia immediata con adeguate forme di personalizzazione del potere e verso una democrazia contrattata al di dentro e al di fuori della politica dei redditi»

R. Ruffilli, Intervento al Senato della Repubblica, 11 ottobre 1983, IX legislatura, resoconto stenografico, p. 35 in A. Campati, La distanza democratica. Corpi intermedi e rappresentanza politica, Vita e Pensiero, 2022, p. 122-123

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