Ora
non il tempo perduto il tempo ritrovato
stagnante, nel regno dell’accelerazione
un tempo sconosciuto, irrompe
in streaming, senza consolazione
connessi tracciabili asettici
comunichiamo solitudini
moleste sovraesposte
avere timore
quaresima di parole
ritorno al reale
ora et labora A.D.MMXX
senza lavoro senza liturgia
la stagione picchia duro
prudenza fortezza
in buona compagnia
Giovanni Lindo Ferretti
15 marzo 2020
Tempo di quaresima
ora et labora fondamenta e presupposto di una cristianità d’Occidente già provata ed usurata è abolita a termine di legge. Consenso generale, imprimatur ecclesiale.
Andrà tutto bene.
Quella profonda inquietudine che mi aveva colto dopo la rinuncia del XVI Benedetto, catalogata come l’istante che fissa il punto di un non ritorno tutto da scoprire, si dissolve in legale ordinanza: sospensione/proibizione del lavoro e della liturgia.
La civiltà in cui sono nato e cresciuto, in cui mi riconosco, è finita.
La sostanza, già in atto, acquisisce forma
devo liberarmi anche della sola idea che si possa fare qualcosa è già successo tutto.
Cordoglio, pianto rituale
lutto.
15 aprile 2020
Subito dopo aver concluso l’intervista per Panorama è suonato il telefono, una voce gentile e un po’ incerta mi comunica la morte di Elviro.
È mio cugino, gli voglio bene, in questi ultimi tempi e non da solo, nel bisogno, mi sono preso cura di Lui. Ha 85 anni, in buona salute, un carattere non facile, selvatico ed inconvincibile – zucc cme’n monton – ma buono di cuore, gentile di modi e d’aspetto. Un vecchio montanaro: agricoltore allevatore boscaiolo, stagionalmente norcino e, da giovane, scalpellino. Non troppa voglia di lavorare. Alpino, per leva, quel poco di mondo visto dalle caserme venete ha assunto con gli anni un’aura mondano/sapienziale. A fine gennaio l’abbiamo ricoverato in ospedale, aveva la febbre alta per un’infezione alle vie urinarie, era fuori di sé. È stato ben curato poi trasferito in RSA per la riabilitazione. Molti problemi, molte preoccupazioni, decisioni difficili e comunque gravose. Questo non è un mondo per vecchi e d’improvviso, nelle ultime settimane, nemmeno per bimbi e ragazzi, ma posso ringraziare medici e personale sanitario in cui ci siamo imbattuti. Elviro si è ripreso, ha trascorso giorni sereni, ancora una volta mi ha stupito e ho cominciato a predisporre il necessario: il tempo della sua autonomia/autosufficienza è comunque finito e tocca a me. Ci siamo visti finché è stato possibile poi ci siamo messi ad aspettare la fine della serrata da coronavirus.
Non parliamo al telefono, mai fatto in tutta la vita se non per interposta persona e adesso che è anche sordo e rintronato non c’è modo di cominciare.
È tornato stamattina nella cassa da morto con tre addetti delle pompe funebri, ad aspettarlo sul cancello del cimitero il prete e due parenti come da ordinanza. Qualche amico intorno a più che ragionevole distanza, qualcuno proprio lontano ma visibile, e suonavano le campane. Mi ero raccomandato ai miei vicini perché fosse salva la dignità di fronte al cielo. Sulla terra avrei molto da ridire ma avendo temuto che ci consegnassero le ceneri e un sacchetto con gli effetti personali ne sono grato, riconoscente.
Nei borghi, sui monti, dispiace dirlo tra tanto dolore intorno, sembra il paradiso terrestre ma è come se l’angelo stesse già posizionato sulla porta.
La spada non l’ha ancora sguainata.
Sono giornate di una dolcezza allibita, d’improvviso una tristezza con connotazioni cosmiche le avviluppa, prepotente l’inquietudine s’addensa e manca l’aria qualcosa non torna, lo sentono gli animali, lo sento anch’io.
Mal’aria
l’ora legale offre il sole alla sera
ubriaco di primavera
l’eco di un eco lontano lampi negli occhi smanie in mano
un tempo ignoto avanza
un drappello medico militare
cavalleria cinese, galoppa nella neve
presidio del contagio in terre d’Asia.
Basilica lucente, fuochi ardenti
piazza San Pietro immota
grigio piovigginosa
un Papa solitario officia
Urbe et orbi.
Muove l’Impero di Mezzo
la Santa Sede siede, bimillenaria
Rus’ in disparte, Umma silente
i regni d’Occidente in caos
lungimirante, a scadenza.
Non pervenute altre istanze
casting in diretta schermo regnante
vale chi c’è, h24, selezioni aggiornate
eliminati miracolati salvati audience voti
milioni di milioni di visualizzazioni
quanta tristezza quanta malinconia
emoticon i like e pandemia
MAL’ARIA
mani che non toccano
parole che non fiatano
occhi schermati mascherine guanti
corpi obsoleti ingombranti.
Impresa teologica oltre che tecnologica
la Torre di Babele è in marcia
comanda la Finanza esegue la Politica
intrattenendo
sprazzi di carità e sprazzi di poesia
la Torre di Babele accelera
psico/bio/d’Io in sintesi farmaceutica
non mi prostro alla Scienza
i valorosi chierici, Ordini specialistici
dogmi stabiliti in vitro
la temo, la rispetto: carne riconoscente
spirito in allerta cuore sospetto
la Scienza avanza per se stessa
per la propria potenza
travolge indifferente ciò che non comprende
non gli interessa, lascia macerie
d’apparenza inerte e sostanza funesta
“per i miseri implora perdono
per i deboli implora pietà”
il cielo e la terra
le cose visibili ed invisibili
in breve vita, fragile
vibrante di mistero, irripetibile
c’è una frattura originaria, non si ricompone
non si riaggiusta in terra
chi lo promette mente
chi lo progetta terrorizza
per attitudine, per tradizione
per scelta: stiamo bene
se così si può dire bisognosi d’amore
per il resto si vive per il resto si muore.
Oggi è un altro giorno. Si vedrà.
Giovanni Lindo Ferretti
Che fare? Vivere, un giorno dopo l’altro e le notti.
Chi crede nel Signore in Lui confida, confida per intercessione di secoli, di nascituri, di vivi e morti e moribondi. Sono un pagano d’Occidente convertito al Cristo, affidato alla santa Madre che venero, così sono nato così vorrei morire. Non dhimmi, non ateo, non miscredente tecno/potenziato e psico/riformato. E, in tutta onestà, nemmeno troppo buono che degli uomini buoni, a meno che non siano santi, diffido.
A fin di bene, alla fine, si riempiono le fosse comuni.
Non sono nato sotto un cavolo, non in provetta affittando un utero.
Per quanto malmesso sono figlio di una storia e radicato in una geografia che non ho intenzione di ripudiare. Posso accettare di essere sconfitto, residuale, infima minoranza destinata a scomparsa non mi si chieda di intonare canti al nuovo che avanza.
Non lo farò.
E di mettermi il cuore in pace: non c’è pace sulla terra se non occasionalmente. Che la si debba salvaguardare non comporta l’avviarsi consenzienti al macello né porgere i polsi alle catene. La pace liturgica che ci si scambia(va) è la pace di Dio, fosse quella degli uomini sarebbe la pausa tra due respiri mortiferi.
Non finisce il cristianesimo che già esisteva, in altri luoghi e modi ben prima di arrivare in queste terre, solo finisce una civiltà determinata dal cristianesimo e non c’è niente, alla vista, all’olfatto, al gusto, al tatto, che possa sostituirla nel mio cuore, nella mia mente, tra le mie mani. Niente che mi appartenga a cui appartenere.
Mi innervosiscono consolazioni da poco, parole inutili, considerazioni ovvie o idiote. Nel caso necessito di parole antiche, un certo distacco, sacralità dei gesti e nel dire.
ora la liturgia del quotidiano è connessione/distanziamento/sanificazione labora un decreto che lo limita, lo vieta, l’implora panem in forma di sussidi molto promessi poco elargiti nell’attesa di et circenses a fondamenta di una civiltà metropolitana smart/green cosmopolita di plebi emotive e servili, selezionati chierici di un potere tecnologico/scientifico in veste terapeutica
non si aprono nuovi orizzonti, si restringe lo spazio, si uniforma.
L’Europa era tutto il male che è possibile contenere, tutto il dolore e la morte sovrana, ma quanta gioia di vivere, quanta bellezza, umano ingegno, molteplicità di costumi riti consuetudini, lingue e ordinamenti; comunanza e separazione; diecimila città mille capitali una più bella dell’altra e i suoi borghi, le valli, le pianure, mari e monti. Basiliche abbazie monasteri cattedrali pievi. Le terre della cristianità d’Occidente da subito abusata tradita riformata clericalizzata illuminata rivoluzionata ma inalienabile finché consumata.
Ora geoprotuberanza, snodo Asia Africa Americhe
a ridosso, sempre meglio posizionata all’interno, l’Umma
l’altro vicino/fronte di sempre – martellante ossessione
ammaliante – dilaniata straziata, vogliosa di rivalsa
in disparte la Rus’ sempre un problema, nel peggio soluzione
( a Napoleone, contro Hitler, accollandosi il comunismo reale )
irriducibile ad altro che se stessa
Santi di tutti i giorni.
15 maggio 2020
Questa situazione, provocata da una emergenza sanitaria concreta ma gli uomini ne hanno conosciute di devastanti, insidia il diritto naturale e il dovere personale e si sta radicando come abuso di potere facendo piazza pulita di molte velleità democratiche. Sfacciatamente. A fin di bene per la salute di tutti e la salvezza del pianeta.
Un progetto politico/sociale? la selezione di una classe dirigente all’altezza? un umore/sentore popolare? È ben evidente l’imbarazzo nel solo utilizzo di questi termini, siamo così evoluti!
La generazione che ci ha preceduto ha vissuto scenari ben più implacabili e basta spostare lo sguardo al vicino Oriente per far montare la vergogna. Siamo nell’ordine dell’umano/umanista, scientifico/scientista.
L’Apocalisse sta in altro ordine, come la guarigione del mondo, e sovrasta l’umano
il tempo non gioca a nostro favore – la bellezza, pur indispensabile, non ci salverà – in questo spazio in cui fluttuiamo come pulviscolo. Malattia morte dolore sono la normalità del vivere ma c’è molto altro: c’è bellezza, gioia, amore, c’è qualcosa che chiamiamo poesia e a volte ridiamo di cuore e ci abbracciamo
la libertà è del cuore dell’anima della mente e già lì si annidano i suoi aguzzini. Si nutre di memoria e di speranza, consuetudini ed usanze, poi è uno status sociale sostenuto o intralciato dalle leggi. L’imprevisto la mette alla prova salvandola dall’usura
chi può dovrebbe mettersi al riparo ma non è detto sia possibile
che il bene sia con noi è tutto ciò che ci possiamo augurare
Estate 2020
L’imbrunire
sogno ponti levatoi e mura a protezione
piccole patrie sempre sul chi vive
risate cristalline in gelide mattine
poi mi sveglio
il Pontefice disegna ponti in terra
il cielo: frontiera dell’economia
la scienza a convogliare il traffico
scusiamo il disagio, lavorano per noi
spettri che camminano autocertificati
finestre e balconi di balletti e canzoni
andrà tutto bene Imagine
avremo il vaccino Immuni
saremo
post tutto-Anti-pronti per il Niente
l’Europa è un reliquiario di intenzioni
mercato/granserraglio/smart Bisanzio
caos democratico, alta definizione
giallo/rosso/verde/azzurro/bianco/nero
in mutazione
sogno ponti levatoi e mura a protezione
piccole patrie sempre sul chi vive, vivendo
risate cristalline in gelide mattine
uno, il primo
due preti febbricitanti
tre monache claustrali
quattro esasperati
cinque affamati
sei sazi di vergogna
sette, settanta volte sette
disertori per moto interiore
orfani, vedove, sabotatori
sbandati e canaglia nel mondo di fuori
sette 70volte7 l’Occidente si fotte in diretta al tg
sette 70volte7 il vento dalle steppe eppur bisogna andar
eppur bisogna andar
Giovanni Lindo Ferretti
Feriae augustee A.D. MMXX
si celebra l’ultimo/unico rito dell’italianità: la vacanza
il nord, il sud e le regioni autonome intimamente unite
nostro sostentamento, dolce vita, nostro collante
da qui si parte e qui si torna anno dopo anno
eterno Risorgimento. Inesorabile, scomponibile
per censo, grado d’acculturazione, fascia d’età.
Patrimonio immaginifico dell’umanità che verrà.
Se verrà.
Procede il restauro della Sublime Porta e Aghia Sophia ne scandisce il tempo riannodato in tappeti da preghiera. Abluzioni e prostrazioni, miraggio gerosolimitano. Akbar. Akbar. L’eccezionalità americana si fotte in diretta, autoerotismo sadomaso trasmesso dai tg di tutto il mondo, suprematismi cromatici e sentimenti corretti. Rigurgito puritano.
Il limite del sogno, di ogni sogno, è nel risveglio. Danza di spettri Redskin sogghignante.
Giusto un anno fa, nel gravoso immoto post Corte transumante – teatro barbarico dovendo rappezzarmi rammendando un decennio ben speso e fallimentare, misi mano agli scritti, le parole che l’avevano reso possibile, accompagnato determinandolo.
La parola è al principio ed è ciò che resta, alla fine.
Ne è uscito un libro appena pubblicato: Non invano.
Avevo l’immagine di copertina e un titolo che ho continuato a giustificare contro ogni logica: più il testo si componeva più risultava incongruo.
Il libro è finito, ha trovato il suo titolo e l’editore, ha conservato l’immagine originaria celata da una sovracopertina. Ho firmato il contratto sabato 29 febbraio e mi son messo il cuore in pace. Domenica, primo marzo 2020, folgorato, venivo catapultato ne “la stagione picchia duro” il titolo di cui non riuscivo a liberarmi. Niente a che fare con il passato ma un divenire incombente ancora tutto da vivere e in atto, improvvisamente.
È arrivata subito l’immagine: un drappello medico militare della cavalleria cinese in una bufera di neve. Al mio sguardo racchiude ogni sfumatura geopolitico/sociale ma c’è uno spazio non contemplato, tra la terra e il cielo, che si è palesato trovando la sua immagine nella liturgia della settimana Santa: piazza San Pietro vuota, grigio piovigginosa, solo il Papa ad officiare. Mi mancava un’immagine, finché non l’avessi trovata avrei lasciato aperto il capitolo: un titolo, tre immagini, tre video, uno scarno resoconto.
In un flusso ininterrotto di immagini casuali, professionali, costruite ad arte – sulla forza delle immagini una politica svilita ripugnante e una socialità virtuale claustrofobica costruiscono le proprie fortune di giornata – è comparsa. È lo spazio profondo, l’interiore. È l’ultima frontiera dell’uomo: l’origine.
Chiuso il capitolo, il gioco/giogo dell’accadere.
Un giovane palestinese appollaiato sul davanzale esterno di una stanza d’ospedale veglia la propria madre, ricoverata in isolamento. Un gesto folle, insensato, che non scomoda gli angeli per render merito all’umano. Troppo umano, arcaico/eroico, dritto nel cuore dell’epica e di struggente bellezza: oh! Madre mia.
Che sia un palestinese ne aumenta a dismisura la qualità turbativa.
Lui si chiama Jihad – Iddio ci perdoni, tutti. Sì, la stagione picchia duro.
Colpi in alto e colpi bassi, diretti, ben assestati.
Ko?
Già, disse. Sono uno dei buoni. Perché non metti via la pistola? Non devo permettere a nessuno di portarmi via la pistola. Per niente al mondo. Non voglio mica togliertela. Solo, non voglio che me la punti addosso. Ok.
Cormac McCarthy – La Strada.