Gli storici ci insegnano che è sempre più difficile individuare e spiegare la continuità rispetto alla discontinuità. Nella storia della costruzione della propria autocoscienza, i russi si sono sempre distinti per le loro posizioni estremistiche e diametralmente opposte (si pensi al classico esempio di slavofili e occidentalisti). D’altro canto, sarebbe un errore molto grave dedurre da ciò una mancanza di pragmatismo da parte dei russi. Luca Gori descrive nel dettaglio il lungo e complesso processo che dalla fine dell’Urss ha portato alla “nuova” ideologia russa del putinismo: il conservatorismo. Il termine ideologia non deve far pensare a un’ideologia ufficiale di Stato. La legislazione della Federazione Russa vieta infatti ogni tipo di ideologia di Stato. Perciò questa espressione deve essere intesa in senso culturale-politico e non pubblico-legislativo.
Avendo radici lontanissime e profonde, il conservatorismo russo non deve essere inteso come un mero atteggiamento politico-culturale difensivo e retrogrado. Il conservatorismo russo abbraccia tutta la storia russa ed esprime l’essere stesso dei russi. Esso include in sé tutto il passato in vista di un futuro che non derivi da radicali cambiamenti di paradigma. Proprio per questo è corretta la lettura pan-conservatorista della storia russa da parte di Gori: la specificità della politica, società, economia, geografia e cultura russe possono essere considerate a partire da questo concetto. Le idee essenziali del complesso e variegato panorama del conservatorismo russo sono, a detta di Gori, le seguenti: ““il cambiamento organico”, e quindi per la gradualità e la specificità del percorso di sviluppo della società di ogni singolo Paese; in secondo luogo, “la fede nell’origine extra-umana dell’ordine sociale” e dunque la disponibilità a investire in valori universali, permanenti e immutabili” (pag. 23). A ciò si aggiunga la triade di Uvarov “Ortodossia, Autocrazia e Nazionalità” (nazionalità intesa come narodnost’) che ha profondamente segnato la storia del conservatorismo russo e oggi riveste un’importanza fondamentale per la comprensione della nuova ideologia conservatrice del putinismo.
Dal punto di vista del conservatorismo russo l’avvenire storico è spiegato dalla logica binaria descritta da Lotman, a cui si aggiunge la pericolosa tendenza del mondo russo verso il nichilismo (o Apocalisse) individuata da Berdjaev e il concetto per il quale nella storia russa il governo e/o lo Stato abbia sempre rappresentato il vero. Nel mondo russo non è possibile concepire uno stato senza una pretesa di tale tipo. Da qui si comprende perché nella storia russa l’avvenuto o meno riformismo sia sempre partito dall’alto: per evitare il caos. Da qui si comprende il concetto di stabilità e difesa dello status quo. A partire dalla formula della “Terza Roma” coniata dal monaco Filofej di Pskov nel XVI secolo, i russi sono designati come il popolo eletto destinato a combattere l’Anticristo. L’Anticristo nel mondo russo si concretizza in due modi: dall’esterno (nemico esterno che minaccia l’ordine costituito) e dall’interno (nemico interno e/o elementi di instabilità che possono destabilizzare lo Stato). Il mantenimento dell’ordine diventa il valore primario, la prerogativa essenziale dello stato: da ciò il concetto filosofico-politico di Kathécon come scudo che protegge dai due volti appena delineati dell’Anticristo. A questo aspetto per ovvie ragioni corrisponde l’illiberalità che in misure diverse a seconda dei periodi storici ha sempre caratterizzato lo stato russo. L’opera di Gori si conclude con la dettagliata definizione del vocabolario del nuovo conservatorismo russo: Stato, Democrazia, Libertà, Felicità e Spazio.
Ciò che sembra cambiare dagli anni duemila, ciò che i russi molto spesso e non troppo correttamente dal punto di vista grammaticale chiamano «nulevye» (cioè gli anni zero), sembra la strategia inclusiva e inglobante da parte dell’ideologia politica (ammesso che esista e non considerata avulsa da un certo pragmatismo), dell’atteggiamento intellettuale e, più che di una cultura di massa omogeneizzata, di un sentire comune diffuso e profondo. I principali avvenimenti individuati da Gori che dopo il crollo dell’Unione sovietica hanno scandito la formazione della nuova ideologia conservatrice sono i seguenti: la liberalizzazione del paese e la negazione del passato sovietico durante l’era Eltsin, il concetto di politica estera del 1993 e la “dottrina Primakov” del 1996 sul multipolarismo, la crisi finanziaria del 1998, l’inizio dell’era Putin e la storia del suo rapporto con il concetto di ideologia e liberalismo, il tentativo russo di instaurare con i partner occidentali rapporti stabili di reciproco riconoscimento della legittimità dei propri intessi e del proprio status di potenza regionale, il fallimento di questo tentativo con le rispettive conseguenze non solo politico-geopolitiche ma anche e soprattutto culturali, la guerra del 2008 con la Georgia, la rielezione di Putin del 2012, la crisi ucraina del 2014, l’intervento in Siria nel 2015, il referendum costituzionale del 2020 e, oggi possiamo aggiungere, gli ultimi due discorsi di Putin alla nazione (quello del riconoscimento dell’indipendenza delle repubbliche separatiste e l’ultimo in cui è stata comunicata la decisione di un intervento militare in Ucraina) e la stessa iniziativa militare nei confronti dell’Ucraina.
A fronte di questi avvenimenti Gori descrive come sia stata possibile la formazione di un tale tipo di ideologia e quale precisa configurazione ha assunto e sta assumendo. Nonostante con la riforma costituzionale si siano segnati dei punti di non ritorno soprattutto dal punto di vista della lingua e dell’identità russe, nonché del rapporto con l’Occidente, tenendo soprattutto conto degli avvenimenti degli ultimi giorni, si deve concludere che questa ideologia è ancora in fieri. Questa sua costante e per certi aspetti aleatoria potenzialità lascia aperto un ampio margine di possibili configurazioni future. Più che l’Europa sono gli Stati Uniti d’America a rappresentare il necessario alter ego con il quale la Russia inevitabilmente si confronta. Al di là del fatto che questo alter ego possa essere ora un amico ora un nemico, la conoscenza di sé si basa su questo confronto. Alla base di queste due grandi civiltà ci sono due concetti opposti di eccezionalismo inteso in senso metafisico e metastorico.
Un difetto della minuziosa analisi di Gori consiste nel fatto che il tema della fine della logica binaria di Lotman è solo accennato. Nel testo se ne parla o come di un tentativo consapevole da parte di Putin di superare le difficoltà legate alla formazione della nuova ideologia conservatrice o come mera una conseguenza dei fenomeni presi in considerazione. Questi due aspetti, anche se innegabili, sono però meramente epifenomenici. La storia russa è caratterizzata da tre profonde autonegazioni: la negazione del passato zarista da parte dell’Unione sovietica, l’era Eltsin che cerca con grande insuccesso di negare l’esperienza sovietica- forse delle tre negazioni questa è stata la più profonda e tragica- e, infine, l’era Putin che nega sicuramente il filo-occidentalismo di Eltsin senza d’altro canto rigettarne le novità soprattutto economiche. L’elaborazione di questo tipo di passato ha condotto il livello di autocoscienza dei russi a un punto tale da considerare unitariamente e unilateralmente tutte le esperienze della propria storia. Ciò corrisponde alla trasposizione in termine teorici e generali della definizione geopolitica della Russia data D. V. Trenin, citato da Gori, secondo la quale la Russia è un post-post-impero.
Negli anni duemila l’approccio russo al mondo e alla propria storia è diventato meno vincolante e unilaterale: è venuta a mancare la necessità di una negazione estrema e radicale per l’affermazione e la realizzazione di un’idea che sembri finalmente incarnare il vero senso della missione destinale russa. Nel nuovo conservatorismo russo, qui inteso sia come pratica sia come teoria, sono state inglobate le idee e le pratiche essenziale di tutte le precedenti fasi storiche: da qui la definizione di Putin da parte di Gori come di “un uomo ottocentesco” (definizione di cui Putin, a detta dell’autore, andrebbe fiero). Il senso attribuito alla storia russa che viene dal periodo zarista, l’inevitabile rivendicazione dell’eredità sovietica per quanto riguarda i diritti sociali, il liberalismo inteso da un lato come espressione di interessi privati ormai difficilmente negabili e superabili e, dall’altro, come un atteggiamento pragmatico che vede nell’economia di mercato un mezzo per rimanere autonomi e indipendenti dal punto di vista geopolitico,hanno raggiunto un livello di sintesi nel quale tutte le contraddizioni perdono la propria spinta centrifuga e si configurano come parti essenziali di un processo unitario e monodirezionale diretto verso il futuro.
La caratteristica essenziale di questa nuova idea russa intesa come sentire comune è appunto l’inedita monodirezionalità storica, l’assenza della necessità di fare scelte irrevocabili tra due opzioni tragicamente contrapposte. Per la prima volta nella storia russa sono assenti bivi epocali ed è questa la ragione per cui il modello descrittivo del binario di Lotman non permette più di comprendere il senso degli eventi. Infatti, sono completamente assenti le basi per la formazione di un qualsiasi polo opposto entro il quale la storia russa dovrebbe oscillare corroborando ancora una volta la validità delle categorie concettuali di Lotman. Al nuovo conservatorismo non corrisponde nessuna alternativa opposta altrettanto radicale. L’unica opposizione a tutto ciò che rappresenta Putin riguarda solo l’illiberalità dello stato nei confronti della società civile. Ma come è stato precedentemente spiegato, questo aspetto non corrisponde a una caratteristica essenziale del putinismo o del nuovo conservatorismo, ma caratterizza lo stato russo in generale nella sua essenza. Per questa ragione tale opposizione non può trasformarsi in un polo alternativo e opposto alla nuova ideologia. In questo nuovo contesto ogni tensione viene assorbita e annullata nell’unico polo esistente. Quindi sembra venire meno il collasso nei termini classici.
La tendenza del pensiero e del mondo russo verso il nichilismo descritta da Berdjaev ora si configura in modo diverso: il nichilismo non corrisponde più alla vittoria del polo opposto, ma al fallimento dell’unico polo esistente. Il nulla non è più il risultato della realizzazione del polo opposto, ma è il necessario orizzonte dell’unico polo rimasto (il nulla in senso rigoroso non può essere definito come un secondo polo o un’alternativa). Questo unico polo sembra includere in sé tutte le opposizioni precedenti. Questa condizione ontologica della Russia è perfettamente descritta da Gori. Egli mostra come nella formazione di questo nuovo conservatorismo si cerchi di evitare il fallimento dell’unica via-idea russa esistente. Il rischio di questo fallimento è descritto da Gori a livello ontologico come la caduta nel niente, a livello metafisico come la perdita del significato messianico che i russi attribuisco al proprio paese, cioè di un paese che si pensa come civiltà-stato con una missione e dei compiti storico-destinali e, infine, a livello geopolitico, come la perdita dello stato di potenza e della possibilità della propria autodeterminazione che si declina a sua volta nella difesa dello status quo e di un mondo multipolare.
Ciò che manca nell’analisi di Gori è la chiara individuazione della causa principale di tutti i fenomeni presi in considerazione: la fine della logica binaria di Lotman e le inevitabili conseguenze di questo cambiamento epocale. Molti si chiedono se la Russia guarda a Occidente o a Oriente (di nuovo due poli opposti fra i quali scegliere senza apparente via di ritorno). La risposta a questa domanda non c’è e non può esserci perché la domanda è desueta e mal posta. La Russia guarda alla Russia: è questo il significato della definizione di D. V. Trenin. Pertanto, l’unica domanda che può essere posta sembra essere la seguente: quando la Russia guarda a sé stessa, cosa vede? Il testo di Gori è il tentativo di rispondere a questa domanda con onestà intellettuale e senza scadere in un’interpretazione “esotica” della realtà russa.