Per gli eurasiatisti gli Stati Uniti non solo rappresentano il principale avversario geopolitico, ma, in quanto paese emblema del liberalismo, del progressismo e del globalismo, sono metafisicamente, teologicamente, religiosamente ed escatologicamente identificati con l’Anticristo. Altre volte l’Anticristo è rappresentato dal capitalismo. Questo post merita di essere tradotto poiché mostra molto bene la tendenza rossobruna già trattata e su cui torneremo nel prosieguo del saggio: «Ancora a proposito della sinistra. Capitalismo=Anticristo. Se la sinistra è contro l’Anticristo, allora è dalla nostra parte. Ma se presta giuramento al materialismo e all’ateismo e vede in noi cristiani il proprio nemico, allora non saremo dalla loro parte. Se abbandonerete le tenebre, vi accoglieremo a braccia aperte. Nel caso opposto, no, la scelta è vostra. Noi siamo soldati di Cristo, nient’altro».
Queste affermazioni non devono far pensare a un reale superamento della prospettiva socialista: il capitalismo rimane il nemico mortale da abbattere. L’unica parziale novità riguarda la “dottrina ufficiale” adoperata, ossia una versione ideologizzata del cristianesimo ortodosso che corrisponde a un misto di oscurantismo religioso, fondamentalismo escatologico ed ecumenismo mistico-relativistico che “accoglie a braccia aperte” qualunque formazione politica secondo il principio “il nemico del mio nemico è mio amico”. La sinistra sarebbe accettata esclusivamente nel caso in cui non fosse antireligiosa. Se è vero che esistono movimenti e teorie di questo tipo, più difficile è parlare di “sinistra” quando il discorso verte su “istituzioni” non ecclesiali che si richiamano alla religione come, nella fattispecie, l’esercito (“noi siamo soldati di Cristo”). Pertanto, la Sinistra non solo è ridotta alla mera componente anticapitalista, ma è altresì presentata come “amica” e “alleata” a condizione che accetti di essere completamente stravolta e snaturata. L’approccio sincretista e relativista che emerge da questi discorsi si spiega nel modo seguente: la fluidità dei concetti è direttamente proporzionale alla monoliticità dei termini utilizzati per designarli. Se gli USA (soprattutto se a guida democratica) rappresentano Satana e l’Anticristo (come le due cose fossero coincidenti), allora il “tó Katéchon” è la Russia-Eurasia la quale con la sua azione “frena” la fine dei tempi, ossia la vittoria definitiva delle tenebre contro la luce.
A livello geopolitico ciò consisterebbe nel perseguimento da parte degli USA del dominio globale, mentre a livello culturale nel definitivo sradicamento di tutti i popoli del pianeta (la realizzazione massima dell’Ur-Globalismo). Come è noto, i partiti e i movimenti di destra vedono in Trump una reazione più o meno consapevole al progressismo, al deep state e all’imperialismo statunitense. Ovviamente, nel caso di Dugin tali interpretazioni sono portate al parossismo. Nonostante in un post sia addirittura precisato che la vittoria di Trump non comporta direttamente il trionfo russo nella guerra ucraina (dato che egli rimane comunque il presidente di un’altra nazione con interessi assai differenti, se non opposti), la sua elezione segna sicuramente la fine della “globalizzazione monopolare” e di tutti i liberali e i globalisti. A dimostrazione di queste tesi sono addotti i seguenti argomenti: Trump è un “nazionalista americano”, e non un “atlantista”, e un “tradizionalista”. Se la politica del neoeletto presidente americano non sarà rivolta al perseguimento degli interessi della Federazione Russa, questo evento in ogni caso rappresenta una vittoria comune (i naša pobeda) dato che la sua figura incarna la rivoluzione conservatrice occidentale volta alla sconfitta del globalismo e alla costituzione del nuovo “polo” tradizionale disposto a dimettere la propria volontà di prevaricazione ed entrare così a far parte del mondo multipolare (eurasiatico). Ultimamente Trump si sarebbe anche interessato delle teorie del già citato Il’in.
Inoltre, in qualità di presidente americano egli dovrà gestire situazioni molto simili a ciò che l’Ucraina rappresenta per la Russia: «Per gli Stati Uniti di Trump, il Canada di Trudeau è come l’Ucraina di Zelens’kyj per la Russia di Putin: il 51° stato». In questo modo gli eurasiatisti rendono Trump una sorta di eroe nazionale russo: l’unica cosa che da questo punto di vista non viene affermata è che la sua politica (interna ed estera) sarà filorussa. Tutte le altre contraddizioni sono ben accette. Come già visto nel caso del pensiero della destra europea, la strategia consiste nel creare un’immagine erronea e stereotipata delle cose per concludere, dopo un determinato periodo di tempo, che non vi sono altre vie e che quindi, all’Armageddon non c’è scampo. Nel prosieguo del capitolo verrà mostrato che ciò riguarda anche l’atteggiamento nei confronti dei partiti di destra europei: la constatazione dell’impossibilità di instaurare rapporti durevoli con le “uniche forze sane” ancora presenti in Occidente per i dughiniani corrobora la tesi dell’“eurasiaticità della Russia” e la validità della (presunta) svolta ad est (povorot na vostok). La società russa ha seguito le elezioni americane con un apprensione che non si vedeva dal 22 febbraio 2022. Se Dugin (per il momento) canonizza Trump, uno dei suoi discepoli più noti, Maksim Viktorovič Medovarov, lo considera il male assoluto.
Il fatto che una scuola di pensiero sia caratterizzata da una forte dialettica interna è sicuramente un fattore positivo; tuttavia, qui si tratta di tesi completamente opposte. Dato che esse derivano, come si deve supporre, dagli stessi principi, ciò conferma il carattere relativistico e sincretico del loro metodo. Essendo disincantate, le affermazioni di Medovarov sono geopoliticamente più concrete. D’altro canto la figura di Trump diventa il capro espiatorio contro cui scagliarsi proprio con la stessa ferocia con la quale Dugin e tutti gli eurasiatisti inveiscono quotidianamente contro Biden, i democratici e i liberali.