La guerra in Ucraina ha dato un impulso straordinario ai pregressi processi di derussificazione nella stragrande maggioranza dello spazio postsovietico – con l’eccezione singolare ma prevedibile della Bielorussia – che nella piccola Moldavia ha assunto una forma sui generis: rumenizzazione.
Il dibattito pubblico e politico sull’annosa questione del paradosso dell’uovo e della gallina in salsa daco-romana – è nata prima la Moldavia o la Romania? – non è mai stato ferocemente divisivo come oggi, epoca della competizione tra grandi potenze, ma l’europeista Maia Sandu è dell’idea che dal fatidico tre marzo 2022, giorno dell’inoltro della candidatura all’Unione Europea, non sia possibile né auspicabile tornare indietro.
A un anno di distanza dalla decisione di avviare il processo di adesione all’eurofamiglia, sanzionato da Bruxelles il 23 giugno 2022, Chișinău ha compiuto un ulteriore passo in direzione dell’avvicinamento all’Occidente e dell’allontanamento dall’Oriente russo: la cancellazione del moldavo, sostituito dal rumeno, dalla Costituzione, dai comunicati, dai documenti e dal vocabolario del politichese.
Il parlamento moldavo, alla vigilia del primo anniversario dell’inizio ufficiale dell’incamminamento verso l’Europa, ha proceduto ad implementare una sentenza della Corte Costituzionale, datata 2013, circa la superiorità di alcuni contenuti della Dichiarazione di indipendenza del 1991 sul Testo fondamentale del 1994. Contenuti come la lingua ufficiale dell’allora neonata nazione, identificata nel rumeno al momento dello scollamento dall’Unione Sovietica ma rimpiazzata col moldavo tre anni più tardi dal Parlamento dominato da forze del moldovenismo.
In sostanza e nei fatti, si è unicamente dato seguito a un verdetto che da esattamente un decennio attendeva un riscontro. Verdetto rimasto senza risposta durante l’era di Igor Dodon, il capo del reame della sinistra filorussa, ma infine recuperato da Maia Sandu, presidente dal 2020. Verdetto apolitico, perché pronunciato da un tribunale e non dal parlamento, ma che, data la congiuntura internazionale, assume una valenza politica e identitaria epocale.
Il passaggio dal moldavo al rumeno, che – attenzione – sono la stessa lingua, è il secondo mattoncino dell’edificio della derussificazione della Moldavia – il primo fu l’abbandono dell’alfabeto cirillico in favore del latino. Perché l’idea che Moldavia e Romania siano due nazioni distinte, con lingue e popoli differenti e differenziabili, è una fabbricazione sovietica rispondente al nome di moldovenismo. Moldovenismo che, non sorprendentemente, continua a sopravvivere in quella provincia ribelle che si è fatta Stato che è la Transnistria, dove moldavo è antitesi e nemesi del rumeno.
Il moldavo è o può essere tutto, come è o può essere niente. È tutto per Mosca e per i suoi agenti, come i separatisti del Nistro, che su tale identità, intrinsecamente slava e ortodossa, fanno leva per mantenere la Moldavia nel Mondo russo. È niente per le forze politiche europeiste di Chișinău e per il ceto urbano moldavo, che intravedono nel moldavo un sinonimo di rumeno e nella rumenosfera l’anticamera dell’Occidente.
Le reazioni alla riesumazione della campagna di demoldavizzazione saranno uguali e contrarie. Uguali nelle strade delle città moldave, popolate da giovani che si sentono rumeni e che sognano l’entrata nell’Unione Europea. Contrarie nelle strade sterrate della Moldavia rurale, roccaforte dei partiti filorussi e dell’altrettanto filorussa Chiesa ortodossa, abitate da adulti e anziani che si sentono moldavi, dunque russi, e aborrano l’idea tanto dell’ingresso in Europa quanto della fratellanza col popolo rumeno. Contrarie in Transnistria, che proverà a vendersi come il vero Stato dei moldavi, in Gagauzia, osservatrice inquieta di ogni evento riguardante i diritti delle minoranze, e in Russia, che spronerà le quinte colonne ad attivarsi – dai partiti filorussi agli oligarchi – con l’obiettivo di destabilizzare dal basso la presidenza Sandu.
È battaglia nella e per la Bessarabia. La Moldavia è nel limbo geopolitico, perché alle attuali condizioni non può essere né UE né NATO, e questo dà forza alla Russia, come gliel’ha data in Ucraina. Urge un piano per la risoluzione definitiva della questione moldava, che prevenga scenari di donbassizzazione, perché da ciò dipendono il futuro scoppio o il disinnescamento di un’altra bomba in Europa. Urge riconoscere l’importanza di questo lembo di terra incuneato tra Romania e Ucraina, perché fu l’attraversamento del Prut da parte dell’esercito russo il casus belli della guerra di Crimea – e potrebbe esserlo di nuovo.