Prive di una regia unica, solida e credibile, politica estera e sicurezza nazionale marciano in ordine sparso, per giunta in un contesto globale sempre più complesso, deteriorato e gravido di rischi. Questo avrebbe convinto il direttore del DIS a lasciare l’incarico in scadenza a maggio 2025, anzitempo, con le dimissioni irrevocabili a decorrere dal 15 gennaio. Secondo alcune accurate ed accreditate voci, Belloni è stata consegnata per mesi alla silenziosa e corrosiva esperienza di chi, pur avendone rango, ruolo e esperienza, finisce per constatare che, ogni giorno, il suo raggio di azione, il suo peso nelle scelte “di sistema” che pure la interpellano direttamente, vengono meno.
Curriculum solido, deciso e strutturato all’interno dei ranghi del Ministero degli Affari Esteri, al cui vertice politico-amministrativo viene chiamata con l’incarico di Segretario Generale, per la prima volta ricoperto da una donna.
Nel 2021, ancora da prima donna, su indicazione del Presidente del Consiglio Mario Draghi viene nominata direttore del DIS, dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri con il compito di coordinamento, vigilanza e monitoraggio dell’attività operativa delle due agenzie nazionali di intelligence, AISI e AISE, nonché in materia di tutela amministrativa del segreto di Stato. Con una carriera che spazia dalla gestione di emergenze internazionali come i rapimenti in Iraq e Afghanistan, al ruolo di segretario generale della Farnesina, Belloni ha dimostrato capacità di gestione e leadership. Il suo rapporto con Giorgia Meloni era considerato solido, basato su stima reciproca e collaborazione. Questo rende le sue dimissioni ancora più sorprendenti, sollevando appunto dubbi sulle dinamiche interne al governo e sull’equilibrio nei vertici dell’intelligence. Dopo la brillante gestione del G7, però, qualcosa si incrina nei rapporti con il Governo, in particolare con il Ministro degli Esteri e l’autorità delegata ai servizi (che rappresenta il decisore politico al quale l’intelligence deve far riferimento).
«Il tritacarne in cui sono finita in questi giorni – spiega – mi impone di chiarire quanto è successo e soprattutto di sgomberare il campo da illazioni che fanno male non tanto a me quanto al Paese, soprattutto in un momento così delicato. Io sono un funzionario dello Stato, faccio il mio lavoro e non è obbligatorio piacere a tutti o andare d’accordo con tutti. Purché questo – precisa ancora Belloni nel colloquio con il Corriere della Sera – non metta in discussione i risultati, come infatti non è avvenuto. Però a maggio scade il mio mandato, quando ho avvertito che già cominciavano a circolare voci sul mio futuro e soprattutto sul mio successore ho ritenuto fosse arrivato il momento di lasciare. E ne ho parlato con i miei interlocutori istituzionali, prima fra tutti la premier Giorgia Meloni e il sottosegretario Mantovano. È con loro che, sin dagli inizi di dicembre, abbiamo tracciato la strada per una transizione tranquilla e senza scossoni.»
Era stata concordata un’uscita nel massimo della trasparenza con il Governo. È andata diversamente. Pressioni crescenti, difficoltà di navigazione in acque tumultuose, dove nulla può essere lasciato al caso: non è davvero questa la realtà della decisione che l’ha portata alle dimissioni. Belloni non ha partecipato alla prima riunione a Palazzo Chigi su questo delicato dossier, e le sue dimissioni sono arrivate pochi giorni dopo. Sebbene non ci siano prove di una connessione diretta, la tempistica ha sollevato più di un dubbio.
Dall’intervista della direttrice trapela un certo disagio per essere stata a lungo sopportata dai membri del Governo (Mantovano e Tajani) con competenza sulla sicurezza informativa. Senza contare, poi, che dalla mancata elezione al Quirinale, proposta dal Movimento Cinque Stelle e da una parte del centro destra, è rimasta invisa ad una parte del quadro politico.
Tajani non ne gradiva il peso. Mantovano cercava di svuotarne funzione e competenza, travalicando il perimetro della norma che assegna al DIS il ruolo di ente di coordinamento operativo e informativo delle agenzie. All’intelligence e ai vertici militari (Caravelli) è da sempre stata indigesta – a detta di fonti bene informate – perchè vista come elemento esterno, corpo estraneo proveniente da un mondo, quello della diplomazia, che pur incrociandosi con l’attività di intelligence, lavora ad un livello diverso.
La scelta di Belloni ha spiazzato Meloni, che con l’ex numero uno del Dis aveva un ottimo rapporto.
Il peso delle gerarchie militari e soprattutto la crescente operatività di Mantovano – Presidente del Consiglio ombra più che autorità delegata – si sono rivelate uno scoglio insuperabile per il Direttore, alla quale l'(in)esperienza nel gioco dei chiaroscuri e della riservatezza operativa dell’ambito intelligence è stata fatale.
Inconsapevole e privata delle protezioni/guarentigie che pensava di aver conquistato, fuori dal centro decisionale gestito dal sistema AISE-Autorità delegata, alla Belloni sono sfuggiti di mano i ciechi ingranaggi del potere, inintelligibili, felpati ed occulti passaggi che l’hanno di colpo divelta dalla sedia.