OGGETTO: L’intelligence secondo Joe Biden
DATA: 28 Gennaio 2021
SEZIONE: inEvidenza
Dal “suprematismo bianco” alla sfida con la Cina. Ecco la linea della nuova amministrazione statunitense per arginare sia i sedicenti nemici interni che quelli esterni.
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Gli Stati Uniti d’America sono il riflesso in cinquanta sfumature del mondo e viceversa, ma negli ultimi anni qualcosa di simile si è cominciato a pensarlo anche riguardo la Cina, il cui recentissimo sorpasso economico nei confronti degli Usa non è passato inosservato. È tra questi due grandi magneti geopolitici che persino il più Pacifico degli oceani ha iniziato ad agitarsi e il mondo, come lo stesso fronte interno agli States, pare spaccato in due. La transizione tra l’amministrazione dell’outsider Donald Trump e quella del presidente entrante Joe Biden, l’uomo dell’establishment, si è fatta sentire ovunque come mai prima d’ora. Brogli o non brogli, seppur con una maggioranza in Parlamento sottile come un rasoio, agli occhi dello scacchiere geopolitico mondiale, Biden è il 46esimo presidente degli Stati Uniti d’America. Questo vantaggio risicato è la proiezione di quello che è il corpo elettorale americano, ma anche e soprattutto una radiografia dello scheletro meno in vista della sicurezza nazionale, ossia quell’ipertrofico apparato di agenzie d’informazione e di sicurezza in cui la polarizzazione politica dei funzionari non è nuova alla storia; basti pensare all’evidente prevalenza repubblicana nella U.S. Army. Ma, oggi più che in passato, avere il controllo dell’intelligence significa detenere il potere. 

Andiamo con ordine: nel 2016, il mandato di Trump è nato zoppo. Abbiamo assistito alle botte da orbi volate a suon di cinguettii e conferenze stampa tra The Donald e la sua nemesi John McCain, il senatore conservatore anti-trump per eccellenza, grande scoglio di opposizione all’interno del proprio partito, nonché all’avversità nei suoi confronti da parte della maggioranza dei mezzi d’informazione e comunicazione di massa, più in generale dall’egemonia culturale Dem. Il problema più grande però ha colpito il Tycoon dal profondo del vasto apparato d’intelligence americano. È proprio questo il punto che vale la pena approfondire, per riuscire a comprendere i mezzi a disposizione dell’attuale amministrazione democratica e per affrontare le sfide dei prossimi anni.  La nomina nel 2017 di Meroe Park nel ruolo di direttore deputato della CIA in transizione ai due mandati ha messo fine all’era Obama. Park vantava una lunga esperienza (27 anni) nell’agenzia in ruoli di alto grado nelle missioni in Europa Occidentale e in Eurasia, ed è stato direttore della gestione delle risorse umane e di analisi. Tanta l’esperienza quanto breve la durata del suo incarico, dopo il suo ritiro nel giugno dello stesso anno per assumere il ruolo di direttore non esecutivo della Bank of Butterfield con sede alle Bermuda, qualche mese più tardi.

Al suo posto viene nominato Mike Pompeo, personaggio dal background molto differente rispetto ai suoi predecessori. Laureato in legge con dottorato, la sua ascesa è tutta finanziaria, per approdare alla Camera dei Rappresentanti nel 2011 ed assumere nel 2017 la posizione di direttore della CIA. Diventerà Segretario di Stato in seguito al turbolento anno denso di accuse, tra governo e opposizione, riguardo la strumentalizzazione dei servizi di Intelligence da parte del team di transizione Democratico con lo scopo di mettere i bastoni tra le ruote all’ascese elettorale di Trump. Il celebre caso del Russiagate è venuto a galla dopo l’uscita di scena della Park, nella commissione permanente per l’Intelligence presieduta da Devin Nunes, il quale ha istituzionalizzato il sospetto, reso noto da fonti interne alle varie agenzie coinvolte, che l’amministrazione Obama si fosse servita dell’FBI per spiare al limite della legalità il team di Trump. Nunes sostenne la tesi della vittoria truccata del Tycoon grazie ad un imprecisato aiuto proveniente dal Cremlino, tesi mai verificata, come non verificata fino ad oggi è la contro inchiesta promossa dall’amministrazione Trump sulle reali origini del Russiagate di presunta matrice Dem. Questo polverone si è trascinato sotto la direzione della CIA di Gina Haspel, che il 19 gennaio ha rassegnato le proprie dimissioni in vista della sconfitta repubblicana più divisiva della storia degli Stati Uniti

📬Mandateci i “puntini”, noi pensiamo ad unirli: con retroscena, approfondimenti e scenari, di politica interna e internazionale. 🔥intelligence@lintellettualedissidente.it — L’Intellettuale Dissidente (@IntDissidente) January 15, 2021

Bisogna tenere conto, come scrive Francis Gavin su TNSR in una lucida analisi, che la storia americana ha visto molte transizioni amministrative dolorose come, ad esempio, nel 1800, quella tra John Adams e Thomas Jefferson, ed è stata attraversata da numerosi estremismi ideologici: dal Ku Klux Klan della post-ricostruzione nel profondo Sud alla retorica di Long, Coughlin e Lindbergh durante la grande depressione. Ma il 2021 non è il 1800. La grande differenza con il passato sta nel fatto che il Ventunesimo secolo è sorretto da grandi metamorfosi sotterranee alla storia, difficili da inquadrare per gli osservatori contemporanei. Una di queste è quella dell’apparato d’intelligence, il cui ruolo è di cruciale importanza per un’epoca in cui la collezione e l’elaborazione dei dati è funzionale allo sviluppo di strategie di previsione e azione a lungo termine, riguardo problemi sempre più complessi che vanno a coinvolgere un mondo interconnesso. Le guerre di ieri hanno plasmato la mastodontica burocrazia statunitense di oggi, ma questa sarà adatta a combattere le guerre del domani contro un “nemico”sempre più aggressivo come la Cina? 

In un momento storico definito dai maggiori osservatori come la crisi d’identità degli Stati Uniti d’America, Biden si è affidato a Bill Burns ed Avril Haines, nominandoli rispettivamente direttore della CIA (dci) e dell’USIC (dni). Ex ambasciatore statunitense in Giordania e Russia, Burns ha ricoperto ruoli di primaria importanza, durante i quali ha avuto modo di entrare in intimità con i COS delle inter-agenzie operative sul posto e sembrerebbe, agli occhi di molti colleghi, un’ottima scelta da parte dell’amministrazione in carica, essendo stato paragonato a direttori del calibro di Schlesinger (1973 Nixon, comitato ristretto Bomba Nucleare) e di Haiden (NSA 99-05 Clinton-Bush). Avril Haines è stata la prima donna nominata alla direzione della USIC, e gli insiders di War on the Rocks sostengono che, insieme a Burns, avrà modo di portare avanti un affiatato lavoro di squadra giocando una carta non scontata, cioè quella di avere la fiducia e l’attenzione del neo Presidente eletto (to get the ear’s president). Ben diverso fu il caso di Trump, il cui rapporto problematico con la propria intelligence lo spinse molto spesso ad ignorare i rapporti di quest’ultima (pur condividendo idealmente l’approccio in politica estera). Joe Biden sembra aver gettato le basi per un buon lavoro, essendosi circondato di persone fidate. Non ha, però, considerato che i funzionari e i subordinati alle posizioni ricoperte da Burns e Haines hanno avuto fino ad ora a che fare con uomini anziani di stampo nettamente differente. In seguito alle recenti dichiarazioni la neo DNI sembra determinata, insieme a tutto lo staff, a perseguire il principale obiettivo di fronteggiare la crescita cinese sul piano della collezione di dati secondo una strategia più aggressiva di quella promossa da Obama, e la cui tattica sarà mossa dal mite e risoluto Bill Burns.

Il presidente Joe Biden e Avril Haines, direttore dell’USIC

Tale aggressività connoterà anche il perseguimento di un altro obiettivo di eguale importanza per l’amministrazione Biden: il tentativo di sradicare il cosiddetto terrorismo domestico, la minaccia costituita dalla frangia più violenta di quella corrente di pensiero giudicata “cospirazionista” pro-Trump che affligge non solo il corpo elettorale, ma anche l’anima stessa del Paese; la micro politicizzazione dell’intelligence comincia a farsi sentire particolarmente nell’FBI e questo sarà un problema che terrà occupato Biden nei prossimi anni. È per questo motivo che saranno adottate misure drastiche nei confronti di quel nemico interno definito dai Dem come “suprematismo bianco” incarnato dal gruppo QAnon, da combattere anche con un nuovo Patriot Act se necessario, in linea con le restrizioni delle libertà personali che si susseguirono all’11 settembre e quelle dovute alla pandemia in atto, senza invece ritenere un problema il calderone di forze estremiste Antifa e di criminalità organizzata confluite in Black Lives Matter, che hanno infiammato l’estate americana del 2020.

L’efficacia di questa linea dura sul fronte interno potrebbe rivelarsi un successo oppure una disfatta, anche in seguito alle ambiguità sorte in capo alla vicenda dell’occupazione del congresso, nella quale erano presenti anche i Boogaloo Boys, gruppo armato di estrema destra che ha dato man forte anche alle manifestazioni violente di BLM, dunque vi saranno delle indagini, e chi se ne occuperà ancora non è chiaro. A mali estremisti, rimedi estremisti? Staremo a vedere. Certo è che Biden è determinato a non gettare la spugna né nella partita interna né in quella esterna contro Xi Jinping, pur se assediato dalla tradizionale incertezza e l’invadenza tutta americana che ha accompagnato la storia del mondo nei momenti di maggior tensione. Sarà quindi la nuova squadra capace di elaborare una grand- strategy lungimirante a sufficienza, oppure le sfide del 2021 prevaricheranno il faro del mondo? Non ci è dato saperlo, almeno per il momento; come diceva qualcuno, non vi è eroe per il proprio cameriere.


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