OGGETTO: L'Internet delle cose è un pericolo
DATA: 23 Luglio 2024
SEZIONE: Tecnologia
FORMATO: Scenari
La capacità dell'uomo di condividere informazioni e di interagire con gli altri, negli ultimi cinquant’anni, è aumentata esponenzialmente con l’evoluzione della tecnologia digitale. La quantità di realtà codificata ha raggiunto proporzioni considerevoli ed ancora cresce grazie all’avvento delle tecnologie 5G e 6G. E con loro arrivano problemi nuovi, spesso sottovalutati.
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Oggi, gli utenti generano informazioni non solo consapevolmente – tramite post, immagini o commenti – ma anche inconsapevolmente. Le informazioni codificate, infatti, non sono più prodotte solo dall’uomo ma anche da oggetti, più o meno complessi, che attraverso Internet sono in grado di riceverle e condividerle. Stiamo parlando di uno dei principali fenomeni di innovazione tecnologica, comunemente definito Internet delle cose o Internet of Things (IoT), che ha inaugurato una nuova era nel panorama digitale, portando con sé trasformazioni profonde che trascendono il semplice progresso tecnologico e promettono, al contempo, un’esistenza più agevole e interconnessa. I dispositivi IoT non solo raccolgono e generano enormi quantità di dati e informazioni, molto spesso in modo silenzioso e invisibile oltre che largamente inconsapevole da parte degli utenti, ma sono in grado di utilizzarli per rispondere in modo intelligente all’ambiente circostante.

Questo rende possibile la creazione di ecosistemi digitali complessi come le case intelligenti (smart home), le città intelligenti (smart city), le imprese intelligenti (smart enterprises) e molto altro. Tuttavia questa seducente promessa porta con sé anche delle sfide da affrontare, come la sicurezza, soprattutto in relazione alla raccolta e all’utilizzo dei dati. Questi oggetti di uso quotidiano, dotati di sensori e capacità di connessione, diventano strumenti per un genere di sorveglianza che prima era difficile anche solo immaginare. Vien da sé che, nel contesto di questa nuova realtà, le aziende che sviluppano e forniscono software per i dispositivi IoT acquisiscono un vantaggio senza precedenti, accedendo a un’enorme quantità di dati, anche sensibili o per meglio dire particolari, che superano di gran lunga la portata delle agenzie di intelligence tradizionali.

La fruizione di tale vasto corpus di informazioni si può configurare come una forma di mineralismo digitale in cui i dati rappresentano una risorsa grezza da estrarre e capitalizzare. Questa tendenza inverte il tradizionale paradigma tra poteri statali e individuali. Mentre le agenzie e le Istituzioni infatti sono vincolate da garanzie funzionali, normative sulla protezione dei dati e processi burocratici, le entità private esercitano una forma di monitoraggio decisamente più estesa, molto spesso senza restrizioni efficaci.

È chiaro che la portata pervasiva dell’IoT offre opportunità ma al contempo dilemmi in quanto l’ubiquità di questi dispositivi potrebbe fornire nuovi modi per sorvegliare e raccogliere informazioni, complicando ulteriormente la dinamica tra sovranità nazionale e globalizzazione. Da tutto ciò ne scaturisce la questione fondamentale su chi effettivamente detenga il dominio e la gestione di tali informazioni. A tal proposito, gli Stati devono bilanciare l’opportunità di accedere a flussi di dati transnazionali con la necessità di proteggere i propri cittadini e le infrastrutture critiche. Il controllo dei dati diventa, quindi, un nuovo campo di battaglia, dove non solo le agenzie di intelligence ma anche i soggetti stranieri possono cercare di influenzare la naturale dialettica democratica o addirittura di perpetrare atti di sabotaggio, soprattutto se si considera che enormi flussi di dati possono attraversare i confini nazionali e finire in server posizionati in Paesi con differenti normative in materia di sicurezza e protezione dei dati.

In questo contesto, la domanda sul controllo e la proprietà dei dati diventa cruciale. Se un’azienda, ad esempio, è vincolata da leggi che la costringono a condividere informazioni con le Autorità governative, la sicurezza degli utenti potrebbe essere messa a rischio, sollevando ulteriori dubbi sulla tutela della privacy. Le implicazioni di tale situazione trascendono la sorveglianza in senso tradizionale e permeano il dominio della cosiddetta sorveglianza predittiva, ove algoritmi avanzati analizzano i dati per prevedere comportamenti futuri. Tale dinamica solleva intricate, e non meno importanti, questioni di autonomia e libertà individuale, introducendo un certo grado di fatalismo tecnologico ossia il potere di determinare in modo pressoché ineluttabile taluni aspetti del comportamento umano o delle scelte di vita mettendo in discussione la sovranità dell’agente, ovvero la nostra capacità di essere agenti morali sovrani in grado di assumere decisioni etiche, in modo indipendente.

Roma, Ottobre 2023. XI martedì di Dissipatio.
Roma, Ottobre 2023. XI martedì di Dissipatio

Gli attori dominanti del digitale, hanno ora in mano leve di potere che rivestono una crescente rilevanza sociale, sfidando le normative che governano le relazioni interstatali. Lo Stato ha spesso abdicato al proprio ruolo di regolatore, permettendo a questo squilibrio di potere di aggravarsi nel tempo a causa di varie asimmetrie, in particolare di potere e di informazione. Parallelamente al declino delle istituzioni tradizionali, le piattaforme digitali emergono, in modo alquanto ironico, come nuovi mediatori in un’epoca che celebra la disintermediazione. Si stanno posizionando come interpreti della realtà, come voci autorevoli che delineano il presente e prevedono il futuro, prendendo decisioni che influenzano l’intera società. E mentre detengono una quantità di dati ineguagliabile, pochi saranno in grado di interpretarli con la stessa rapidità e pertinenza. Eppure, con audacia, si avventurano in territori inesplorati, spaziando dalla finanza alla genetica, dall’automazione alla realtà aumentata. Queste incursioni, ben oltre i loro dominii tradizionali, rivelano una crescente influenza in sfere che plasmano profondamente il tessuto della nostra esistenza, influenzando l’ethos sociale, il panorama culturale e l’architettura economica del nostro tempo.

Da qui sorgono domande urgenti che devono essere affrontate. In primo luogo, quanto è democratico che entità private esercitino una tale influenza sulla vita collettiva? In secondo luogo, quali criteri determinano la legittimità di queste funzioni e chi ritiene le big tech responsabili delle loro azioni e sulla base di quali parametri? Inoltre, come possiamo salvaguardarci da classificazioni errate, informazioni incomplete, modelli e sistemi difettosi? Soprattutto, chi garantirà l’affidabilità e la trasparenza dei criteri utilizzati nei processi di selezione, classificazione e decisione?

Le agenzie di intelligence devono pertanto ripensare radicalmente i loro approcci tradizionali. Non solo è richiesta una ricalibrazione tecnologica, ma è necessario anche un esame profondo delle fondamenta concettuali che guidano i principi dell’informazione, della sovranità e dell’etica. In un mondo sempre più interconnesso, il saper-potere non è più monopolio delle istituzioni statali ma diventa una competizione aperta, in cui entità private e persino potenze straniere possono esercitare un’influenza significativa.

Questa arena multidimensionale e inestricabilmente interconnessa ha scatenato dinamiche inaudite nel modo in cui riceviamo e filtriamo le informazioni. Attualmente le minacce alla vita, alla libertà e alla sicurezza nazionale sono radicate nel crescente potere della tecnologia e delle sue applicazioni. Questi strumenti, con i loro obiettivi talvolta alienanti, ci hanno portato, anche contro la nostra volontà, in un contesto di relativismo morale dove i valori tradizionali perdono la loro natura assoluta, diventando invece variabili e soggetti a negoziazione e trasformazione.

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