OGGETTO: Sei mesi d'autonomia
DATA: 09 Marzo 2025
SEZIONE: Geopolitica
FORMATO: Analisi
Le notizie principali di questi giorni sono legate alla sospensione degli aiuti Usa all’Ucraina e alla continuazione dell’impegno militare da parte dell'Unione Europea: gli scenari possibili del conflitto danno a Kiev un tempo limitato per cercare di compensare il congedo del suo primo sostenitore. Il tempo scorre inesorabile e la Permanent Structured Cooperation (PESCO) voluta da Bruxelles potrebbe non essere sufficiente.
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L’attuale situazione in Ucraina è segnata da un clima di incertezza e preoccupazione, soprattutto dopo la recente decisione del presidente Donald Trump di congelare gli aiuti militari statunitensi. Questa mossa ha colto di sorpresa Kiev, che ora si trova a dover affrontare una potenziale crisi di approvvigionamento di armi in un momento cruciale del conflitto con la Russia. Mykhailo Podolyak, consigliere del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ha annunciato su Telegram che l’Ucraina sta attivamente discutendo con i partner europei la possibilità di sostituire gli armamenti americani. Questa strategia è fondamentale, poiché il deputato Fedor Venislavsky ha avvertito che Kiev ha un margine di sicurezza di circa sei mesi dopo lo stop degli aiuti da Washington. La situazione è ulteriormente complicata dalla mancanza di informazioni d’intelligence, che sono essenziali per le operazioni militari ucraine.

Oleksandr Merezhko, presidente della commissione per gli affari esteri dell’Ucraina, ha paragonato la decisione di Trump all’accordo di Monaco del 1938, sottolineando che fermare gli aiuti significa, in effetti, favorire l’aggressione russa. Questa analogia storica mette in evidenza la gravità della situazione e il rischio di un’ulteriore escalation del conflitto.

La reazione russa non si è fatta attendere. Dmitry Peskov, portavoce del Cremlino, ha dichiarato che la sospensione degli aiuti potrebbe spingere Kiev verso un processo di pace. Tuttavia, la Russia ha anche sottolineato che la normalizzazione delle relazioni con gli Stati Uniti deve passare attraverso la revoca delle sanzioni, un aspetto che complica ulteriormente il panorama geopolitico.

Con la sospensione degli aiuti militari americani, l’Ucraina si trova a dover esplorare alternative per l’approvvigionamento di armi critiche. Il premier Denys Shmyhal ha affermato che il paese è pronto a firmare accordi sui minerali critici con gli Stati Uniti, ma la situazione rimane precaria. La capacità di resistenza dell’Ucraina, pur essendo stimata in sei mesi, è legata a fattori esterni come l’intelligence e il supporto logistico.

In questo contesto, i droni rappresentano una delle ultime speranze per Kiev. Con una produzione massiccia di FPV e Baba Yaga, l’Ucraina sta cercando di mantenere un vantaggio strategico. Tuttavia, ci si aspetta che Mosca aumenti gli attacchi contro le infrastrutture di produzione di droni, rendendo la situazione ancora più critica. Un ulteriore elemento di vulnerabilità è rappresentato dal sistema Starlink, che fornisce connettività internet e comunicazioni cruciali per le operazioni militari. La possibilità che questo sistema possa essere disattivato rappresenta una minaccia significativa, poiché senza di esso l’Ucraina rischierebbe di diventare “cieca” e “sorda” sul campo di battaglia.

In risposta alla minaccia del nemico e al defilarsi degli alleati, l’Europa ha avviato un significativo riarmo, con un incremento continuo delle spese per la difesa negli ultimi dieci anni. Secondo i dati dell’European Defence Agency (EDA), il budget complessivo per la difesa è passato da 182 miliardi di euro nel 2014 a una proiezione di 326 miliardi di euro per il 2024, con un ulteriore aumento previsto nei prossimi anni. Questo trend non solo evidenzia una crescente consapevolezza delle sfide geopolitiche, ma segna anche un cambio di paradigma nella visione della sicurezza europea, che ora si orienta verso una difesa più coesa e autonoma.

In parallelo, l’Unione Europea ha intensificato le sue operazioni comuni, promuovendo manovre militari congiunte per migliorare l’integrazione delle forze armate nazionali. Esercitazioni come EUFOR, che coinvolgono paesi membri dell’UE, hanno l’obiettivo di migliorare la prontezza operativa e la capacità di risposta a scenari di crisi. Un aspetto fondamentale di questa evoluzione riguarda l’incremento degli investimenti in tecnologie avanzate, tra cui droni e sistemi di difesa cibernetica, essenziali per contrastare le minacce non convenzionali che emergono nel nuovo contesto geopolitico.

Roma, Febbraio 2025. XXIV Martedì di Dissipatio

Uno degli sviluppi più significativi è la Permanent Structured Cooperation (PESCO), un’iniziativa che coinvolge 26 dei 27 Stati membri dell’UE e mira a rafforzare le capacità di difesa comuni, migliorando l’interoperabilità delle forze armate nazionali. Dal suo lancio nel 2017, PESCO ha sviluppato 66 progetti, coprendo una vasta gamma di ambiti, tra cui addestramento, capacità terrestri, marittime, aeree e cyber difesa. L’obiettivo a lungo termine è quello di aumentare la spesa per la difesa, migliorare la capacità di mobilitazione rapida delle unità militari e, allo stesso tempo, garantire che l’Unione Europea possa rispondere con efficacia a minacce nuove e più complesse.

La recente revisione strategica della PESCO, approvata nel novembre 2024, segna un ulteriore passo verso una difesa europea più integrata, in grado di rispondere alle sfide di sicurezza a livello continentale. Questo processo è fondamentale per il consolidamento della coesione europea e per il rafforzamento delle capacità difensive degli Stati membri, che ora si trovano ad affrontare una crescente minaccia russa.

L’aggressività della Russia ha costretto l’Europa a fare i conti con una minaccia diretta che non si era manifestata dalla fine della Guerra Fredda. Non solo l’invasione dell’Ucraina nel 2022, ma anche le operazioni precedenti, come l’annessione della Crimea nel 2014 e l’aggressione alla Georgia nel 2008, hanno evidenziato le intenzioni imperiali di Mosca. La Russia ha saputo sfruttare la disattenzione e la reticenza dell’Unione Europea, che inizialmente ha risposto con politiche deboli e inconcludenti. La guerra in Ucraina ha dimostrato che la stabilità europea non può più essere garantita senza un impegno forte e collettivo in termini di difesa. Inoltre, la Russia ha messo in campo anche strategie non convenzionali, come la guerra ibrida, che include disinformazione, sabotaggi e attacchi informatici, rendendo la risposta europea ancora più complessa e difficile da coordinare. La difesa europea deve ora affrontare queste minacce multifattoriali in modo più efficace e tempestivo.

La crescente spesa per la difesa in Europa, che ha visto un incremento record negli ultimi anni, è una risposta necessaria alla nuova realtà geopolitica. Tuttavia, sebbene le risorse siano aumentate, la vera sfida risiede nella coordinazione e nell’efficacia degli investimenti. L’Unione Europea si trova a fronteggiare il problema di una difesa ancora frammentata, con ogni Stato membro che gestisce autonomamente il proprio budget, senza una pianificazione strategica condivisa a lungo termine. Questo crea difficoltà logistiche, standardizzazione e produzione di equipaggiamenti, come si è visto nel supporto militare all’Ucraina.

Inoltre, il gap tecnologico nell’industria della difesa europea è un altro ostacolo significativo. Nonostante i progressi compiuti dal 2019, i Paesi dell’UE hanno ancora molta strada da fare per colmare le lacune in settori come la difesa aerea, i sistemi missilistici e la protezione CBRN (chimica, biologica, radiologica e nucleare). L’iniziativa dell’European Defence Fund (EDF) è cruciale per rispondere a queste sfide, poiché finanzia la ricerca e lo sviluppo di tecnologie avanzate, riducendo la frammentazione degli investimenti nazionali.

Nonostante gli ostacoli politici e le resistenze sovraniste, la tendenza generale in Europa sembra orientata verso una maggiore integrazione delle politiche di difesa. Tuttavia, la creazione di una difesa comune europea rimane una sfida complessa, soprattutto alla luce della diversità di interessi e approcci tra gli Stati membri. Paesi come la Germania, la Francia e l’Italia, sebbene abbiano incrementato gli investimenti in difesa, continuano a manifestare perplessità riguardo alla cessione di sovranità in ambito militare. La questione della difesa comune si scontra, inoltre, con la mancanza di una politica estera europea unitaria.

Nonostante ciò, la crescente autonomia strategica dell’Unione Europea è ormai una necessità. La proposta di destinare almeno il 5% del PIL alla difesa, come suggerito nel report Draghi, è un passo importante per consolidare il ruolo dell’UE come potenza di difesa indipendente nel contesto di un mondo multipolare. La difesa europea sta evolvendo, ma il processo è ancora in fase di costruzione, e la guerra in Ucraina ha solo accelerato la necessità di un’Europa più coesa e preparata ad affrontare le sfide della sicurezza globale.

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