La Corea del Nord è tappezzata di manifesti a dir poco vintage. La propaganda dello Juche sembra ferma agli anni cinquanta: operai e soldati dalle baionette innestate vegliano dall’alto le strade, il culto mistico della personalità innalza i Kim a semidei, camionette vetuste portano musica sovietica nei viali alla sovietica. L’impressione che ne ricava l’uomo occidentale è (legittimamente) negativa: se la comunicazione e la lingua di un Paese sono fermi nel tempo deve essere fermo anche il Paese stesso. Bisogna però andare oltre. Invece che ridere delle parate a Pyongyang si dovrebbe rimanere terrorizzati dall’efficacia di una formula di governo totalitaria, dimostratasi capace di sopravvivere ai decenni. Il regime della famiglia Kim ha trovato una strategia capace di resistere a cambiamenti regionali e globali di proporzioni monumentali – una lezione straordinaria ed angosciante di antropologia politica. Il più recente ritorno al passato della Repubblica Popolare è clamoroso ed ha a che fare con la sua politica estera. La Duma russa ha ratificato giovedì 24 ottobre il Trattato di partnerariato strategico tra Federazione Russa e la RDP di Corea. L’accordo era stato firmato da Vladimir Putin e Kim Jong Un a giugno in una cerimonia senza dubbio storica. La Corea del Nord ritrova una sponda con cui equilibrare la dipendenza dall’ingombrante vicino cinese, una sponda economica e securitaria nata già prima della guerra di Corea e morta a causa del collasso sovietico.
Incontrare Mosca significa di certo trovare nuove opportunità energetiche, alimentari e tecnologiche. Queste opportunità potevano solo essere fornite dalla Cina, che le offriva con il contagocce per controllare il vicino nucleare. Alla Corea del Nord si aprono le porte dello sviluppo economico in un’epoca diversissima da quella delle economie pianificate – ovvero quella dell’ultima integrazione commerciale, quella con l’URSS. Non sembra però questo essere il baricentro del Trattato – più simile ad un patto di mutua difesa ed assistenza. Da una parte la Russia riceve rifornimenti militari da usare in Ucraina e sta permettendo a truppe nordcoreane di partecipare alle ostilità, nel mentre la Corea riceverà, secondo fonti statunitensi, tecnologie militari. Nell’intreccio degli iperattivi BRICS allargati e delle partnership russo-cinese e russo-iraniana si trova la chiave della storia: legandosi con il vicino in difficoltà la Corea del Nord può blindare la propria posizione e rafforzarsi senza più dipendere solamente da Pechino, soprattutto in campo strategico e militare.
Del trattato si discute ampiamente per la possibile partecipazione delle forze armate coreane nella guerra Russo – Ucraina, che sia aprendo le porte dei depositi militari o mandando le sue unità a conoscere la moderna guerra di trincea. L’Armata del Popolo Coreano, una delle istituzioni su cui si fonda il regime dei Kim, non combatte una guerra da settant’anni e ci sono molti motivi per dubitare della sua preparazione, dalla corruzione istituzionale alle difficoltà materiali. Se mai si tornasse a combattere con mezzi convenzionali attraverso il 38esimo parallelo si riprodurrebbero le scene fangose e sanguinarie di Bakhmut o Vuledar. Quindi alle gerarchie nordcoreane si sono aperte non solo opportunità di riconoscimento politico e cooperazione economica, ma anche di studio militare. Anzi, si può andare oltre ed ipotizzare un grande moto di riforma nelle forze armate del Nord. La stampa internazionale, citando funzionari americani, sostiene che sui campi di battaglia ucraini stiano venendo impiegate quantità esorbitanti di munizioni nordcoreane. Pyongyang, ancora più dell’URSS, accumulava paranoicamente sconfinate quantità di armi nel caso in cui si trovasse a combattere da sola. L’artiglieria però giocava un ruolo maggiore, ovvero quello di deterrente. Gli oceani di proiettili da 122 e 152, nonché di missili non guidati, minacciavano la Corea del Sud come Hezbollah ed Hamas con lo stato di Israele. La Corea del Nord però sta compiendo un salto tecnologico che rende questa deterrenza spendibile. Il suo programma nucleare e missilistico è oramai di alto livello, e potrà essere migliorato in quantità e qualità grazie ai nuovi assi con Iran o Russia. Quest’ultima poi, in cambio di quelle munizioni vitali per il disegno offensivo del Cremlino in Ucraina, darà accesso a mezzi bellici convenzionali più costosi e complessi di quelli attualmente nell’inventario dell’Armata del Popolo, basata sulla leva di massa e su strumenti che solo la guerra russo-ucraina poteva far tornare attuali. Se il legame con la Federazione Russa durerà allora una riforma estensiva del dispositivo di combattimento convenzionale è possibile.
Il baratto del Trattato, armi di base in cambio di armi e tecniche superiori, è di certo sostenibile oggi. C’è da chiedersi cosa accadrà il giorno in cui i nordcoreani non potranno ulteriormente svuotare le casematte. Starà all’abilità dei vertici del Partito mantenersi desiderabili agli occhi russi, che sia per ricevere benefici da essi o avviare una forma di competizione con la Cina. L’insita instabilità nell’accoppiata Mosca-Pechino è in verità una garanzia di lungo periodo per Pyongyang. La Corea del Nord ha bisogno della terra di mezzo tra l’alleanza di Mao e Stalin e la spaccatura sino-sovietica. Essa le permette di imparare dai conflitti contemporanei e presentarsi pronta all’appuntamento che, prima o poi, la attenderà: combattere sul 38esimo parallelo.
La prosecuzione della guerra di Corea è chiaramente la prospettiva onnipresente della politica estera di Pyongyang. La penisola coreana continua ad essere il crocevia delle più pericolose tensioni e linee di conflitto internazionali, imperniate oggi nelle rivalità sino-americana e nel transitorio allineamento degli imperi autoritari asiatici. Il contesto strategico odierno ha molto in comune con quello del 1950, ovvero quello che permise a Kim Il Sung di tentare la riunificazione delle coree. I due stati coreani sono militarizzati e la loro legittimità politica è marcatamente nazionalista; la Corea del Nord può giocare Cina e Russia l’uno contro l’altro per ottenere risorse e supporto; sono presenti truppe americane in Corea e Giappone, e viviamo un’epoca in cui le linee rosse hanno bisogno di essere rimarcate; la deterrenza nucleare potrebbe fallire (a causa del precedente ucraino), al netto della proliferazione attualmente messa in atto dalla RPC. Si potrebbe obiettare: non c’è da preoccuparsi, considerando come la politica di Pyongyang si sia quasi sempre sviluppata nell’ottica della mera conservazione del regime e dello status quo; ancora, il trattato con la Russia è semplicemente una occasione colta al suo offrirsi, una occasione di allargare la piccola platea dei garanti del regime. È un’ipotesi ragionevole e che probabilmente coglie nel segno. Detto ciò è sempre necessario considerare gli scenari più pericolosi. La fissità della Corea del Nord garantisce anche la stabilità dei suoi obiettivi di lungo periodo: è sì un regime che si vuole conservare facendo leva sapiente delle pressioni al suo esterno, ma è anche uno stato che mobilita da ottanta anni la sua popolazione in senso revanscista. Secondariamente, le cose si stanno muovendo anche dall’altra parte della frontiera.
La Corea del Sud è un paradiso se la si confronta con il Nord. Grazie alla politica della manifattura d’esportazione è diventata tanto sviluppata e benestante quanto stati che sono entrati nella rivoluzione industriale un secolo prima. È una democrazia, ed è aperta al mondo. Rispetto al Nord la sua popolazione è più numerosa (50 contro 26 milioni circa) e molto più benestante con tutto ciò che ne consegue in quanto a capacità di difendersi. Lo stato sudcoreano gode inoltre di uno scudo militare permanente, grazie al legame speciale con gli Stati Uniti. La Corea del Sud non ha motivi per passare il 38esimo parallelo con il suo esercito moderno, ma se una guerra scoppiasse di certo sarebbe l’unica delle due Coree vagamente equipaggiata per sconfiggere convenzionalmente ed annettere l’altra. La posizione nel mondo della Corea del Sud è stabile, oggi. Il domani però è incerto. La Repubblica ha fondato il suo miracolo su principi culturali che, per molti aspetti, non sono distanti da quelli totalizzanti e collettivistici del Nord.
La cultura sudcoreana è ossessionata dal lavoro, dal denaro e dal consumo al livello di sacrificare completamente la dignità e felicità dell’individuo. Un titolo che le viene affibbiato è quello di cyberpunk dystopia. La transizione da colonia agricola giapponese a repubblica postmoderna è stata così rapida da avviare una spirale di denatalità irreparabile. Il boom economico ed urbano ha ribaltato la severa cultura patriarcale e contadina della vecchia Corea in un altrettanto severo stakanovismo consumista. Le statistiche sono impressionanti: i nati nel 2023 sono stati poco più di 200 mila, mentre sono ad oggi vivi 900 mila sudcoreani nati nel 1971. Con la forza lavoro in diminuzione ed il mito del sacrificio nel nome della competizione economia ancora al suo posto il risultato è un circolo vizioso: la Corea del Sud perderà l’attuale capacità di contare a livello globale e regionale in quanto non avrà più slancio innovativo, dovrà organizzare la sua politica per la cura dei suoi anziani e le sue multinazionali, motore del potere provato-pubblico, perderanno competitività globale. Con l’erosione dell’attuale forza economica e res publica sarà erosa anche la capacità di difendersi.
Nel lungo periodo la Corea del Sud non potrà fronteggiare il suo vicino con quella superiorità di popolazione e tecnologia che può vantare oggi. Detto ciò, si tratta di tempi molto lunghi – a meno che disastri politici non causino il collasso dell’economia sudcoreana. Se da una parte la traiettoria della Repubblica di Corea è prevedibile, quella del vicino settentrionale non lo è. Per Pyongyang si è aperta una finestra temporale storica dove coincidono fattori propizi: il regime è dotato dell’arma atomica e appare stabile; la Federazione Russa ha bisogni politici e militari strettamente connessi al suo azzardo ucraino; Stati Uniti e Cina flirtano con la guerra ma non compiono il passo; i riallineamenti economici globali virano in direzione protezionistica; conflitti e guerre si moltiplicano, spinti da fattori quali il cambiamento climatico o la crescita di stati asiatici ed africani. L’allineamento del 2024 potrà condurre al cambiamento nel paese più cristallizzato del mondo oppure cementificare per altri decenni la sua forma attuale. Per poter passare il 38esimo parallelo la Corea del Nord dovrebbe di certo cambiare, in quanto la campagna di conquista ed incorporazione del Sud richiederebbe energie cui il paese non è dotato. Il suo regime dovrebbe diventare più aperto e flessibile ed avviare un ciclo di crescita economica significativo. Avrebbe bisogno in aggiunta di una America disimpegnata nella penisola e di supporto sostanziale da parte Cinese e Russa. Accadrà tra il 2040 ed il 2080, nell’era dell’inverno demografico sudcoreano? Non si può esserne certi. Appare molto più probabile la continuazione della stasi.
La Corea del Nord è conosciuta come un totalitarismo cesaristico, controllato dalla famiglia Kim; detta in categorie aristoteliche è una tirannide, ovvero la degenerazione di una monarchia. Le categorie di classificazione esistono però per essere sovrapposte. Lo stato eremita è anche, soprattutto, una oligarchia militare, ovvero un sistema dove un piccolo gruppo dirigente leale ai Kim si dedica all’organizzazione della violenza di stato – contro i propri cittadini, e contro il resto del mondo. Questa Sparta degenerata riversa da decenni tutte le sue risorse umane e materiali in attività quali il suo programma nucleare e la formazione di hacker di stato. La Corea del Nord è quasi unica tra i paesi asiatici con accesso al mare ad aver mancato il treno della globalizzazione economica, quindi l’apertura alle catene di produzione internazionali. Lo status quo del paese, che sia la famiglia regnante o l’apparato della sicurezza, basa il suo potere proprio sulla chiusura del paese e sulla costante minaccia ai suoi confini. La Corea del Nord quindi non è una Sparta solo a causa della sua posizione geopolitica – tra il martello e l’incudine – ma anche per scelta.
La leadership del Partito e dei Kim non ha mai ritenuto sicuro offrire al capitale straniero la propria forza lavoro, ovvero ha scelto la chiusura. Sembra quasi aver aspettato che la grande epoca del commercio Est-Ovest finisse. La perseveranza nordcoreana potrebbe essere premiata ora che il mondo globale si sta riorganizzando, con restrizioni commerciali che allontanano le coste del Pacifico ed una cortina di ferro modernizzata che divide la Russia dal suo Continente. In un mondo dove i conflitti proliferano, dai più classici a quelli digitali, la Repubblica Popolare di Corea è pronta ad offrire i suoi servigi come esperta del caos e della violenza. Ecco che la Sparta totalitaria ha trovato come partner la Russia, il paese che forse per primo ha inaugurato (nel 2014) il mondo delle incertezze. La capacità di mobilitare risorse interne e l’expertise criminale rendono la Corea del Nord un mercenario statale, pronto a rispondere alle chiamate di aiuto in cambio di ossigeno – supporto economico e tecnologico, ma soprattutto legittimità e sicurezza. La cartina politica odierna, fluida nelle dinamiche del potere statale, privato, finanziario e mafioso, causa forma di specializzazione internazionale in materie quali la distruzione. I Kim governano come il Duca Valentino del Principe, ovvero come imprenditori della violenza – con orrore del repubblicano Machiavelli.
Il Trattato con la Russia ed il caos globale aumentano la sostenibilità della fortezza nordcoreana. Se l’alleanza con Mosca sopravvivrà nel tempo, e soprattutto se reggerà in parallelo il parterariato strategico tra Russia e Cina, troveremo truppe nordcoreane negli scenari di conflitto asiatici, dal Myanmar a future lotte mediorientali, a caccia di capitale politico. A meno che il regime dei Kim non abbia i piedi di argilla la Corea binaria e statica è una certezza dei prossimi decenni. Non ci sono ad oggi fattori internazionali che spingano la Repubblica Popolare a trasformarsi da oligarchia militare e tirannica a qualcosa di più umano ed equilibrato. Piuttosto essa persisterà nella sua natura, possibilmente accresciuta nelle sue capacità. Mentre che il Sud si spegnerà il peso negoziale del suo doppio crescerà, rendendo possibili combinazioni diplomatiche oggi impensabili. Solo un vero e proprio collasso dell’attuale repubblica capitalistica o un disimpegno americano totale potrà portare ad un cambiamento della frontiera più militarizzata del mondo; ma cosa ne penseranno a quel punto Mosca e Pechino? Il Trattato tra Nordcorea e Russia è una rivoluzione diplomatica dagli esiti antirivoluzionari – una cosa reazionaria. È uno dei tanti fatti storici che garantiscono all’Europa ed all’Italia un futuro dove il piombo e l’acciaio governeranno più di quanto non desiderabile.