Provate a spiegare ad un uomo dell’Ottocento alcuni dei più recenti movimenti politico-culturali degli ultimi anni – dal grillismo ai NoVax, passando per ProPal e MeToo. La difficoltà sorgerebbe nell’individuare la forza o la causa che ha spinto le persone non tanto a credere, ma soprattutto ad organizzarsi e manifestare. L’azione politica non può essere motivata semplicemente dall’irrazionalità. Ci pensa Vent’anni di Rabbia, edito quest’anno da Mondadori. Il lavoro di Carlo Invernizzi-Accetti racconta al lettore contemporaneo un fenomeno politico che vede attorno a sé e probabilmente non ha saputo spiegarsi. Da anni – almeno venti – movimenti di protesta intensi come una sciroccata si abbattono sul dibattito pubblico italiano ed occidentale, ma proprio come il vento non si dotano di una forma chiara e si spengono all’improvviso. Le rivolte delle periferie parigine nel 2005 e l’assalto a Capitol Hill fanno parte di una stessa storia, l’ascesa della politica della rabbia.
I cittadini delle democrazie moderne sono polarizzati e mobilitati da numerosissimi problemi e differenze. La scienza politica dello scorso secolo adoperava il concetto di “frattura” sociale per spiegare la nascita di partiti e battaglie. Proteste e tentativi rivoluzionari si potevano spiegare facendo uso di assi concettuali quali Stato-Chiesa e Centro-Periferia. Oggi queste fratture hanno perso molto del loro valore. La religione, ad esempio, è un fatto quasi totalmente privato. Il proletario, colui che non era proprietario, si è trasformato in un partecipante (piccolo piccolo) della classe media, condividendo ambizioni e gusti con gli avversari di ormai antiche lotte operaie. Cosa determina la partecipazione politica di un cittadino del XXI secolo allora? I fatti privati e personali, come le emozioni e le attitudini comportamentali. Invernizzi-Accetti, riprendendo il contemporaneo Peter Sloterdijk, spiega la politica dei No-Vax, dei Gilet Gialli e dei populismi più accesi con un sentimento specifico, la rabbia.
Con rabbia non bisogna immaginare una tendenza estemporanea a perdere il controllo. La rabbia non è solo una reazione che segue un tamponamento o una ingiustizia di condominio. Essa può essere tradotta in greco antico thymos, una una colonna portante della psicologia e dell’antropologia premoderna. Per Platone la rabbia era compagna della ragione e del desiderio nel determinare l’azione individuale, e perciò politica. In particolare, il thymos muove la persona alla difesa del proprio ruolo sociale e a vendicare una lesione della propria dignità (ovvero identità). È la forza che sta dietro la faida, il duello e la vendetta; motiva il guerriero e gli dei olimpici. L’apparentemente irrazionale nazionalismo megalomane di un anziano russo della più profonda taiga, nostalgico dell’Impero e dell’URSS, sorge dal thymos. Alla radice dell’agire politico c’è un problema di dignità violata. Un ordine in cui l’individuo aveva un posto materiale ed ideale (o dover era convinto di averne uno) crolla; conseguentemente nasce la volontà di vendetta e restaurazione della giustizia, intensissima. Invernizzi-Accetti imputa alla rabbia, nella più vicina Italia, il virale “uno vale uno” del primo Movimento 5 Stelle. Lo slogan dava voce al sentire di milioni di persone, danneggiate personalmente dalle crisi finanziaria e del debito sovrano ma impotenti in sede di urna elettorale.
Una lunghissima scia di proteste politiche nel mondo occidentale, a partire dal 2000 circa, ha a che vedere con eruzioni di rabbia. Che si parli di Blacklivesmatter o del movimento NoGlobal si possono notare tratti caratteristici che riconducono tanto all’anarchismo politico del nostro secolo che al thymos politico: nascono e muoiono rapidamente, sono disorganizzati, danno voce a chi crede di essere stato svantaggiato da cambiamenti recenti, non offrono soluzioni integrali bensì reclamano giustizia. Definirli di sinistra o destra è irrilevante. Conta invece collocarli in uno spettro emotivo che va dalla soddisfazione alla insoddisfazione. Questa appare essere la nuova vera gamma politica. Si dovrebbe passare da uno schema lineare ad uno circolare, con due poli opposti: i vincenti degli ultimi trenta anni di cambiamenti economici e politici da una parte, e dall’altra chi crede di avere perso la sua identità, il suo quartiere, il suo mestiere, la sua casa, la sua mente. È questo il popolo No-Vax, è questo il popolo la cui partecipazione politica è oggi mossa dalla rabbia. Purtroppo è anche il popolo di cui ridono i mass media e gli attori istituzionali, che sono chiaramente voci del popolo vincente. Con il suo lavoro Invernizzi-Accetti avvicina il lettore a conoscere e capire storie delle quali è parte ora, in questo momento, al di qua o di là delle barricate digitali.
L’intento è nobile: la sintesi. In una democrazia non si può pensare di ascoltare gli arrabbiati e distruggere leggi e convenzioni; al contempo gli arrabbiati non devono essere esclusi o autoescludersi dalla politica, così lasciando il campo alla grigia e apolitica tecnocrazia. La via mediana è da cercare con pazienza ed attenzione. La rabbia è un fatto politico che è sempre esistito e che non si può ignorare; va integrata nella democrazia del XXI secolo, prima che si trasformi in una frattura insanabile.