OGGETTO: Il Kosovo e un'identità difficile
DATA: 02 Ottobre 2024
SEZIONE: Geopolitica
AREA: Europa
Pristina, come Belgrado e Sarajevo, sta attraversando una profonda crisi politica e sociale, che affonda le radici negli anni Novanta. La risoluzione ONU 1244 ha sancito il ritiro delle forze serbe e stabilito una presenza internazionale per garantire la stabilità, ma la questione dell’indipendenza rimane controversa. Nonostante il sostegno di molti Paesi occidentali, il suo riconoscimento continua ad essere osteggiato: un riflesso di tensioni geopolitiche persistenti
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Il Kosovo come Serbia e Bosnia sta vivendo anni di profonda crisi. Tale Stato, se così lo si può definire, assume un’importanza fondamentale: per i serbi è visto come la culla delle proprie origini. Forzando un po’ il parallelismo, i serbi vedono il Kosovo proprio come i russi l’Ucraina. Per i russi, infatti, l’evento più traumatico legato alla dissoluzione dell’URSS fu proprio la perdita dell’Ucraina, che vedono tutt’oggi come uno Stato “vassallo”.

In Serbia la situazione risulta similare, basti pensare che il nazionalismo serbo nasce e si sviluppa proprio sulla causa kosovara. Di fondamentale importanza per l’indagine sul Kosovo è la risoluzione 1244 (1999) del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottata il 10 giugno 1999, la quale stabilì che:

  1. Fine della violenza: Si richiede la cessazione immediata e verificabile della violenza e della repressione in Kosovo.
  2. Ritiro delle forze serbe: Il ritiro rapido e verificabile di tutte le forze militari, di polizia e paramilitari della Jugoslavia federale (Serbia) dal Kosovo, secondo un calendario preciso.
  3. Presenza internazionale: Si autorizza il dispiegamento di presenze civili e di sicurezza internazionali, sotto l’egida delle Nazioni Unite, per garantire la stabilità e la sicurezza della regione.
  4. Autonomia del Kosovo: L’istituzione di un’amministrazione provvisoria che garantisca una sostanziale autonomia per il Kosovo, pur mantenendo la sovranità della Jugoslavia.
  5. Demilitarizzazione: La smilitarizzazione dell’UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo) e di altri gruppi armati albanesi del Kosovo.
  6. Ritorno sicuro dei rifugiati: Garanzia del ritorno sicuro e libero di tutti i rifugiati e sfollati alle loro case.
  7. Monitoraggio: Una cooperazione completa tra gli Stati della regione per garantire l’applicazione della risoluzione e la protezione dei diritti umani.

La Risoluzione ha aperto la strada alla creazione della missione UNMIK (Amministrazione provvisoria delle Nazioni Unite in Kosovo) e all’inizio del processo di transizione che ha portato successivamente all’indipendenza del Kosovo.

Il Kosovo ha auto-proclamato la propria indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008. Sarebbe, dunque, sorto un nuovo stato in quella tormentata parte dei Balcani. La comunità internazionale − almeno in alcune sue componenti rappresentative, come gli Stati Uniti e molti stati europei, nell’ambito di un’Unione europea fondamentalmente anche se non unanimemente favorevole − ha appoggiato la nuova entità, incoraggiandola a muovere i primi passi verso l’indipendenza. Tra i governi europei, un rapido riconoscimento è stato deciso dal Regno Unito, dalla Germania, dalla Francia e dall’Italia, cioè da quelli che sono tradizionalmente considerati – anche per il peso decisionale di cui godono in seno al Consiglio dell’Unione – i quattro “grandi”. Il tema del riconoscimento dell’indipendenza del Kosovo è tutt’oggi molto dibattuto. Gli attriti per il riconoscimento non mancano, ad esempio la Serbia fa sempre forza sul veto della Russia all’interno del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Inoltre, la Russia attraverso il suo bacino d’influenza su molti stati ha contribuito a rallentare il riconoscimento del Kosovo come stato indipendente. Anche paesi membri dell’Unione Europea si rifiutano di riconoscerne l’indipendenza, essi sono: la Romania, la Grecia, la Slovacchia, la Spagna e Cipro. La scelta è naturalmente legata a questioni di politica interna, come nel caso della Spagna e del riconoscimento dell’indipendenza della Catalogna. A oggi la sua indipendenza è riconosciuta da 101 paesi membri dell’ONU più Taiwan e Sovrano Militare Ordine di Malta, dei quali 22 Paesi dell’Unione Europea (Italia compresa), Stati Uniti, Giappone, Australia e Canada.

La questione del non riconoscimento dell’indipendenza è però legata anche alla geopolitica internazionale, poiché fu la Risoluzione 1244 dell’ONU (1999) stessa a conferire al Kosovo uno status indeterminato. Tale processo a tutt’oggi risulta in stallo, nonostante gli USA siano il maggiore sponsor dell’indipendenza kosovara. Una piccola svolta si ebbe con Trump nel 2020 quando l’allora Presidente volle intervenire sulla questione. Trump fece, infatti, sottoscrivere al presidente serbo, Vucic, e a quello kosovaro, Avdullah Hoti, una sorta di accordo. Tale accordo, non a caso definito “sorta”, avevano poco a che vedere dei rapporti bilaterali tra Belgrado e Pristina, ma avevano più una valenza di facciata ed internazionale. L’accordo sembrò più un tassello della campagna elettorale che Trump stava conducendo. Tra le varie clausole dell’accordo, l’impegno da parte dei due governi a sostenere la causa contro le discriminazioni nei confronti delle persone LGBT, punto, questo, impossibile da attuare in entrambi i paesi. Tra le clausole anche l’ampliamento delle liste delle organizzazioni terroristiche perseguite dai due paesi.

Dunque, come bene si può intuire, tutte clausole molto di facciata. Un’intesa reale ci fu però sul fatto che il Kosovo non dovesse più spingere così con forza nel richiedere l’indipendenza e la Serbia, da parte sua, si sarebbe impegnata a non foraggiare quei paesi che erano platealmente contro l’indipendenza kosovara. Trump, inoltre, riuscì ad ottenere il riconoscimento reciproco tra Israele e Kosovo. Israele si andò così ad aggiungere ai cinque paesi che avevano riconosciuto l’indipendenza kosovara a partire dal 2014 (Tonga, Antigua, Singapore, Bangladesh e Barbados). Tutte strategie molto di “facciata”, potremmo dire, che però poca concretezza hanno aggiunto alla questione, anzi negli ultimi due anni l’instabilità kosovara, anche a causa della forte immigrazione, è aumentata e le frizioni con il governo Vucic sono peggiorate. Un primo momento critico si ebbe l’ultima settimana di maggio del 2023 quando 30 militari della delegazione NATO furono feriti durante le proteste nel nord del Paese. La protesta armata aveva avuto origine durante una manifestazione nella zona di Zvecan. Erano più di dieci anni che il Kosovo non viveva una protesta del genere. I militari coinvolti sono stati assediati davanti al municipio della Città da cittadini di nazionalità Serba. La protesta era scaturita dall’elezione del sindaco Ilir Peci, di nazionalità albanese. Nella Città, infatti, la nazionalità serba risulta maggioritaria. Nelle città di Zubin Potok, Leposavic e a Mitrovica Nord dove il 23 aprile dello stesso anno si è votato per le amministrative, le elezioni sono state boicottate dai cittadini serbi. I serbi rifiutano i sindaci albanesi e chiedono costantemente da anni maggiore autonomia. Le ultime elezioni amministrative locali tenutesi in Kosovo nell’estate del 2024 hanno registrato un’affluenza alle urne inferiore al 4%, in particolare nelle zone dove i serbi sono maggioritari. Sempre nel 2023 a seguito delle proteste dei serbi in territorio kosovaro, la Serbia ha schierato l’esercito al confine. A ciò si aggiunga che a partire dal 2021 sino a maggio 2024 c’è stata la famosa “disputa delle targhe”, i due paesi avevano impedito la circolazione di autoveicoli con targhe del paese “nemico”. 

Roma, Febbraio 2024. XV Martedì di Dissipatio

Le tensioni tra i due Stati sono aumentate ulteriormente dopo il 24 settembre 2023, quando presso Banjska un gruppo armato di estremisti serbi ha bersagliato una pattuglia della polizia kosovara. Capo del commando era Milan Radojičić. È notizia di questi giorni, riportata da EuroNews, la richiesta del primo ministro kosovaro, Albin Kurti, al governo serbo e a Vucic in primis, di consegna alle autorità kosovare del terrorista serbo Milan Radojičić. Naturalmente la Serbia ha negato l’estradizione. A ciò si aggiunga che in data 23 settembre 2024 la Corte serba ha rifiutato di emettere un mandato di arresto nei confronti del terrorista. L’Europa e in particolare l’Italia si stanno spendendo molto per ricucire, seppur solo di facciata, la netta spaccatura. Nell’ambito della Settimana di Alto Livello della settantanovesima Assemblea Generale delle Nazioni Unite in corso a New York, il vice presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, ha promosso e presieduto una nuova riunione dei Ministri degli Esteri dei Balcani Occidentali e del gruppo ‘Amici dei Balcani Occidentali. All’evento hanno partecipato i Ministri e rappresentanti di Albania, Bosnia ed Erzegovina, Kosovo, Macedonia del Nord, Montenegro, Serbia, insieme a Austria, Repubblica Ceca, Croazia, Grecia, Slovacchia, Slovenia. Queste le parole di Tajani in merito alla questione: «Il governo italiano attribuisce massima priorità ai Balcani Occidentali. Questi Paesi sanno di poter contare sull’Italia e su un gruppo di partner che ne sostiene convintamente le prospettive di stabilità, prosperità e integrazione europea. L’amicizia che lega i nostri Paesi ci consente di guardare al futuro con spirito di collaborazione e fiducia reciproca».

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