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La visione geopolitica che guida le azioni della Francia nel mondo è il frutto della combinazione di diverse scuole di pensiero, convinzioni ed elaborazioni intellettuali: l’universalismo di origine illuminista e quello, molto differente, di origine bonapartista, l’idea che esista un legame profondo fra il popolo francese e le Americhe, il patriottismo europeo e il nazionalismo etno-linguistico di epoca gollista.
Non esiste un elemento ideologico più influente dell’altro, poiché la Francia in egual modo difende la propria identità post-rivoluzionaria di paese laico e repubblicano, persegue un’agenda imperialista su tutti quei territori in Europa, Nord Africa e Vicino Oriente, che furono soggiogati durante l’era napoleonica, e continua a reclamare un ruolo-guida in tutto il mondo francofono, dalle Americhe all’Africa.
Quest’ultima meriterebbe un approfondimento a parte, poiché è proprio il dominio storicamente esercitato su di essa che ha permesso a Parigi di conservare il proprio status di grande potenza, accaparrandosi a prezzi politici risorse naturali di ogni sorta, dagli idrocarburi ai metalli preziosi, e controllando le economie di decine di paesi con l’imposizione del Franco CFA, con acquisti nei settori strategici e con la prepotenza delle compagnie multinazionali ma, soprattutto, pilotando cambi di regime e guerre civili.
Emmanuel Macron ha riportato l’interesse nazionale al cuore dell’agenda estera dell’Eliseo dopo i precedenti disastrosi e post-ideologici di Nicolas Sarkozy e François Hollande, che si sono rivelati dei semplici esecutori dei voleri dell’alleato statunitense, il cui unico risultato rilevante è stato l’aver privato l’orbita italiana della Libia.
Il nuovo presidente francese è impegnato in una corsa contro il tempo per ridurre i danni dei predecessori, la cui assenza di lungimiranza strategica ha consentito alla Cina di espandersi in gran parte dell’Africa subsahariana francofona e lusofona, ha permesso all’internazionale jihadista di ramificarsi nel paese (infiltrandosi anche nelle istituzioni), ha portato ad una riduzione significativa dell’influenza giocata nel mondo islamico, ed è stata sfruttata dagli Stati Uniti per incrementare il loro potere nel paese e nel resto dell’Unione Europea.
La recentissima apertura di una linea estera filorussa è solo l’ultimo di tanti gesti emblematici di Macron; gesti che, se letti attentamente, sono il chiaro riflesso delle storiche ideologie su cui poggia l’Eliseo per difendere la propria “grandeur” nel mondo. Il presidente è un integerrimo sostenitore dei valori illuministi, perciò è coerentemente ultralaico, diffidente del fenomeno populista, e ha inaugurato programmi per rilanciare l’amor patrio e l’attaccamento alla Repubblica nella società.
Ma è anche consapevole che la Francia di oggi ha il compito di onorare l’eredità lasciata dall’epoca napoleonica e di non potere essere completamente acquiescente a potenze maggiori; il riferimento è agli Stati Uniti, perché il rischio è quello di perdere la posizione egemonica sul Vecchio Continente, faticosamente conquistata nel secondo dopoguerra ed oggi condivisa con la Germania.
L’universalismo napoleonico e il patriottismo europeo gollista hanno portato Macron, rispettivamente, a tentare il timido sganciamento da Washington, a consolidare l’alleanza con Berlino tramite il patto di Aquisgrana, a denunciare l’anacronismo della Nato – proponendo sia un ripensamento strategico a 360 gradi che la costruzione di un esercito europeo – e a lanciare proposte per riformare l’Ue e renderla una potenza di interposizione fra gli Stati Uniti e gli altri blocchi di potere nascenti, che sia napoleonicamente e gollisticamente estesa “da Lisbona a Vladivostok”.
Certamente la strada verso la piena autonomia da Washington è lunga, e Macron ha dimostrato al tempo stesso lungimiranza e codardia, ma chiunque gli succederà è a conoscenza del fardello necessario che ogni capo di Stato francese deve portare per preservare la grandeur. La Francia, infatti, per i motivi spiegati è una potenza regionale a proiezione globale e ha interessi da difendere in ogni continente, nelle Americhe incluse – il cortile di casa degli Stati Uniti per antonomasia. Il curioso caso dell’agenda francese per le Americhe, esemplificabile nella celebre esclamazione di Charles de Gaulle “Vive le Québec livre!” durante una visita ufficiale a Montreal nel 1967, sarà l’oggetto di discussione nella nuova puntata di Confini.
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