La letteratura e l’arte in generale, quali prodotti inestimabili della mente e dello spirito umano, costituiscono oggi un formidabile riferimento per ripensare l’intero rapporto dell’uomo con la Natura. Laddove le spinte per un cambio di passo si fanno più violente e radicali, mentre il prodotto architettonico e artistico dell’uomo viene preso di mira da esponenti di un’intera generazione per spingere i piani alti a guardare con più attenzione al collasso del pianeta, sfugge un particolare per nulla secondario: l’assenza di un senso più elevato. La Natura non può e non potrà mai essere nei piani di chi la intende come pura risorsa. La Natura non è stata progettata per l’uomo, ma sussiste come entità incommensurabile, da cui l’uomo si è illuso di prendere le distanze per farne il proprio serbatoio di risorse per la propria crescita illimitata. Privata di questa superiorità, da quando Francis Bacon teorizzò il diritto dell’uomo a disporne per conto del proprio infinito potenziale tecnico, la Natura ha perso il proprio ruolo ancestrale.
Solo l’arte, nel corso degli ultimi secoli, ha compreso l’errore. La Natura, per tornare ad essere il cuore e il centro delle riflessioni e del modo di vita umano, deve mostrarsi ancora nella sua colossale potenza. Ripensare il rapporto con la Natura non significa pertanto solamente avvalorare una serie di provvedimenti per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, specialmente tenendo conto del fatto che in questi interventi sono contenute già altre e più temibili minacce: nuove forme di inquinamento che si fanno strada tra le vie luminose, a zero emissioni, tracciate dalle nuove politiche ambientaliste imboccate nell’unica parte del mondo che sembra avere la disponibilità economica e la volontà di trasformare la propria economia in tal senso. I costi di tale transizione sono e saranno ingenti, insostenibili per una parte consistente del pianeta, chiuso nella doppia morsa di un cambiamento climatico che sta già travolgendo le zone più povere della Terra, e di un ecologismo insostenibile per le economie più povere, con l’aggiunta dell’improvvisa necessità, da parte delle nazioni e delle multinazionali più ricche, di rifornirsi di quelle risorse necessarie a rendere “più green” i salottini dell’Occidente, mentre il resto del mondo sprofonda.
Emergono tutte le contraddizioni di tali processi: laddove le emissioni e il consumo di combustibili fossili dovessero diminuire, ciò che è invece in aumento sono altre tipologie di inquinamento. Come riportato da Civiltà delle Macchine, recensendo il saggio “Inferno digitale” di Guillaume Pitron:
«Per la prima volta nella storia, un’intera generazione si mobilita per “salvare” il pianeta, per accusare gli Stati di inazione climatica e per ripiantare alberi. Assistiamo a genitori che si lamentano di avere “tre Greta Thunberg a casa” mentre si diffondono opinioni contrarie al consumo di carne, plastica e viaggi in aereo. Ma allo stesso tempo, questa generazione è quella che ricorre più spesso a siti di e-commerce, alla realtà virtuale e al gaming. Questo inquinamento digitale, incolore e inodore, così invisibilmente subdolo visto che non caccia alcuna fumata nera come accade con i grandi stabilimenti industriali, sarà forse la più grande sfida dei prossimi trent’anni visto che nel 2025 quasi ognuno di noi produrrà 5000 interazioni digitali al giorno.»
Dunque si palesa lo spettro di una più distruttiva forma di sfruttamento e di annichilimento della Natura pur tra mille parchi eolici e milioni di automobili elettriche. Intanto l’evoluzione digitale accelera ed è ancora Civiltà delle Macchine a sottolineare come la minaccia più grande per l’uomo provenga ancora una volta dal suo stesso incedere verso un inconsapevole progresso:
«Il sistema dei cloud è responsabile dell’emissione del 4% dei gas serra rispetto al totale di emissione. Il consumo elettrico del digitale aumenta tra il 5 e il 7% ogni anno e, di conseguenza, richiede il 20% dell’elettricità mondiale prodotta nel 2025.»
Quale contributo pratico può allora offrire l’arte al cambiamento innescato? Ripensare la Natura, significa comprenderne tutta la potenza e non prendere decisioni dettate dal mero sostentamento del sistema economico. Significa riconoscere che l’uomo non è indispensabile alla sopravvivenza della Natura e non può contribuire alla sua distruzione totale; può semmai farsi responsabile della propria autodistruzione per mano di una Natura scatenata. Grandi artisti e letterati come J.R.R. Tolkien o Hayao Miyazaki hanno inteso la Natura come potenza eterna e rispettabile. Ci dicono molto gli Ent di Fangorn presenti nel “Signore degli Anelli” o il Dio della foresta in “Principessa Mononoke”, di come l’uomo sia del tutto inconsapevole della propria arroganza e di come dimentichi di essere intimamente legato al proprio contesto naturale. Come Saruman, dedito a dialogare per i propri intenti con i pastori degli alberi, l’uomo non desidera sinceramente convivere con la Natura, nel rispetto della stessa e nella dovuta ammirazione, quanto farsi potente per suo tramite. Sia esso con i combustibili fossili o con le nuove strade aperte dalle rivoluzioni digitali. Così Tolkien, per bocca di Barbalbero, il più antico degli Ent, descrive il senso stesso dell’agire umano sulla Terra:
«Credo di capire adesso che cosa stia combinando. Sta progettando di diventare una Potenza. Ha un cervello fatto di metallo e d’ingranaggi: nulla gl’importa di ciò che cresce, se non gli serve in un’occasione immediata.»
Gli Ent sembrano sonnecchiare, ormai avviati quasi all’estinzione. La vegetazione si fa sempre meno animata, quasi una metafora di una Natura che da sede inviolabile della presenza divina è divenuta puro oggetto. Allo stesso modo la divinità si è fatta trascendente e si è infine dissolta in tutto l’Occidente globalizzato e “civilizzato”. La storia dell’uomo è la storia di una progressiva estraneità rispetto alla Natura da esso abitata. E al timoroso rispetto sono subentrate la paura e in seguito l’arrogante pretesa di dominio incontrastato. Sulla stessa scia di Tolkien si muove Miyazaki in uno dei suoi film più significativi: Principessa Mononoke è un inno disilluso alle contraddizioni insite nell’umano, che per sopravvivere non può che combattere la Natura, e che “progredendo” spiritualmente si estrania dal suo stesso contesto – e l’esempio del monaco buddhista, espressione di una religiosità lontana dal panteismo shintoista, pertanto più propensa ad eliminare la presenza divina nella foresta, è piuttosto significativo.
Scrive Marco Casolino (“Scienza, tecnologia e natura in Miyazaki” in I mondi di Miyazaki edito Mimesis):
«L’uomo ambisce a colpire il dio della natura per divenire immortale lui stesso […]. Con la morte dello Shishigami, la foresta è distrutta e – seppur rigenerata – non sarà più la stessa.»
La morte del Dio della Natura è il vero passaggio epocale nella storia dell’umanità. Per l’uomo che si avvia verso la modernità, la Natura da quel momento non può essere più che uno svago da contemplare o una risorsa da sfruttare. Una Natura secolarizzata è soltanto il puro oggetto di consumo di un sistema economico capitalista che crede ancora di potersi tradurre in “sostenibile”. Il processo è già innescato. La corsa non sembra conoscere fine, solo deviazioni. Cambiano gli strumenti, ma la distruzione avanza. Si traduce in risposte sempre più furibonde da parte di una Natura in rapida trasformazione. Mentre l’umanità, svuotata di significati spirituali al proprio incedere, incapace ormai di ricostruire un rapporto di sacralità con il proprio mondo terreno, vaga disillusa, il Dio della foresta decapitato in Mononoke diviene un dio distruttore. E gli Ent di Fangorn avanzano, lentamente ma in maniera costante, verso il riassorbimento e l’annichilimento della più avanzata civiltà nella storia dell’uomo. Eppure nell’epica discesa dei pastori degli alberi contro Isengard, si scorgono il desiderio e le speranze di un mondo che possiede ancora la forza per rialzarsi. La marcia degli Ent può essere intesa anche come l’ultima marcia dell’umanità intera insieme alla Natura verso una vera e condivisa salvezza, che ancora tarda a venire. In alternativa, verso una poetica e leopardiana sconfitta, e nella titanica contemplazione delle proprie rovine:
«Certo è molto probabile, amici, molto probabile che stiamo marciando verso la nostra distruzione: l’ultima marcia degli Ent. Ma se rimanessimo a casa inattivi, l’ora della distruzione giungerebbe comunque, prima o poi. È un pensiero che da molto tempo ormai covava nei nostri cuori: per questo adesso ci siamo messi in marcia. Non è stata una risoluzione frettolosa. Ora almeno l’ultima marcia degli Ent sarà degna di una canzone. Può darsi che aiuteremo le altre genti prima di scomparire.»