OGGETTO: L'epidemia del Capitale
DATA: 13 Giugno 2020
SEZIONE: inEvidenza
Caos, crisi economica, delirio ideologico: quella che ha seguito il coronavirus è una confusione deliberata e organizzata. Una lettura di classe del fenomeno pandemico.
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Le considerazioni che possono svolgersi intorno agli ultimi tre mesi sono molteplici e attengono a innumerevoli questioni. Allontanandoci dalla tuttologia, vogliamo offrire un piccolo contributo per una lettura di classe del fenomeno pandemia, da ricondurre nel quadro più ampio del processo dinamico della società capitalistica. Scindere il particolare dal generale è un’operazione mistificatoria tipica della cultura borghese, la stessa che ha dimostrato ancora una volta tutti i limiti di un “sapere” ridotto a serbatoio di consenso per il Principe di turno. Noi che non abbiamo magnaccia da servire, tentiamo di considerare quanto avvenuto per quello che è stato: una espressione nuova di un meccanismo vecchio.

Se quarant’anni fa il Potere usava le bombe e le stragi per instaurare un regime di tensione tale da isterilire ogni forma di dissenso e ricondurre la lotta di classe entro i limiti desiderati dal capitale, oggi lo stesso ha smesso i panni del bombarolo per indossare il camice rassicurante di virologo, instaurando la dittatura della Scienza, divinità assolutistica che tutto sa e niente sbaglia dall’alto del suo metodo ineccepibile. Prima di andare oltre, occorre un chiarimento. Nessuno qui vuole svilire i morti – che ci sono stati – e il dolore dei congiunti a cui va il nostro sentito cordoglio: noi rivendichiamo il diritto di critica e di espressione, l’esistenza di un’alternativa ai fatti avvenuti con un modo e un senso ben preciso. Per dirla breve, noi non crediamo alla versione ufficiale, perché riteniamo falsa e mistificata tutta la realtà offerta- sarebbe meglio dire masticata e digerita- dai media, squallidi megafoni della classe dominante. 

Dicevamo del Potere. Il quale agisce con dinamiche spesso non chiare, mosse però dall’onnipresente cui prodest? che aiuta a mettere nella giusta prospettiva la spirale degli avvenimenti. Andiamo con ordine partendo dai fatti, che notoriamente hanno la testa dura. La primavera morente ci consegna un paese, l’Italia, ridotto a una rovina fumante: in quindici anni abbiamo assistito al crollo del sistema finanziario globale (2008-09) e a un golpe dovuto alla crisi della moneta unica (2011), non riuscendo a recuperare nel 2020 il livello di Pil del 2007. Su tutto questo si è abbattuta l’emergenza coronavirus, con la conseguente gestione fallimentare da parte del governo Conte (investito da non si sa quale consenso democratico) in grado di sospendere quanto rimaneva di legalità costituzionale in nome e per conto di una pandemia che, fuori da alcune aree del Nord, non ha mai raggiunto numeri tali da legittimare il confino obbligatorio erga omnes.

Le stesse misure, con una geometria variabile in baso al grado di delirio presente in ogni esecutivo, sono state estese in tutto l’Occidente, a riprova di un coordinamento internazionale quantomeno curioso: di fronte a un virus sconosciuto, prima minimizzato e poi spacciato per la peste del XXI secolo, Scienza e esecutivi si sono trovati subito d’accordo nel promuovere misure spacciate per “scientifiche” e che di rigore analitico avevano ben poco: obbligo di mascherina (quale tipo, per quanto tempo, perché?), vincoli di distanziamento rigorosissimi (il plexiglass al mare, il numerino per fare il bagno e adelante, adelante mas), repressione poliziesca a livello pinochettiano con dispiegamento di risorse prima introvabili nella lotta al degrado e alla criminalità. Il tutto legittimato da un coro continuo di melassa mediatica oscillante tra il buonismo tremebondo e la caccia all’untore, nella più becera logica di conformismo da pecore belanti. Parafrasando Vittorio Emanuele III dopo Caporetto, ogni critica è tradimento: con questa logica qualsiasi riflessione non coincidente con il pastone dominante risulta affetto dalla tara bestiale del complottismo, subito additato all’isteria collettiva prima del rogo purificatorio acceso dal debunker prezzolato.

In questo degrado allucinato, nessuno ha ricordato (e non ne avevamo dubbi) un passaggio illuminante della Prefazione a Per la critica dell’economia politica di Karl Marx. Analizzando la società capitalistica, il grande filosofo di Treviri affermava che

 nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali

Karl Marx

a cui seguiva che:

A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l’espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l’innanzi s’erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un’epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura.

Karl Marx

Cosa significa? Che il capitalismo produce continuamente una tensione dialettica tra il prodotto e la produzione, ossia tra ciò che è e ciò che vuole essere, in forza della logica dominante il modo di produzione, il profitto. In questo senso, un determinato modello sociale – insieme di struttura economica e sovrastruttura ideologica, politica, culturale – che andava bene per una determinata fase del processo di sviluppo del capitale diventa irrimediabilmente obsoleta allorché le forze produttive giungano a un dato punto della propria crescita. In questa fase la veste che abbelliva il mostro assume la foggia di una camicia di forza che comprime la bestia e ne impedisce il progredire: presto o tardi la farà a pezzi per tesserne, con gli stessi fili, una nuova e più ampia. Questo processo è già avvenuto, e ha spazzato via edifici secolari di tradizioni, modi di vivere: ha distrutto stati, detronizzato monarchie, abbattuto imperi e civiltà. Dal vapore al reattore atomico, ogni fase dello sviluppo capitalistico determina uno sconvolgimento della vita umana, ridotta a sua appendice. 

Karl Marx

Cosa vogliamo dire? Che il virus è stato un pretesto per poter spazzare via gli ultimi ostacoli di ordine politico, morale e culturale per la realizzazione di un nuovo tipo di società, quella digitale, che per la prima volta non abbisogna più dell’uomo – né come tecnico, né come operaio, né come soldato – e delle sue strutture relazionali. Il mondo di ieri, quello analogico, dev’essere distrutto e la sua memoria deve scomparire: un processo che segue il modello dell’economia capitalistica contemporanea, riedizione volgare del feudalesimo medievale imperniata sulla presenza di pochissimi super-ricchi apolidi, padroni di giganti tecnologici trasformati in centrali di potere globale, la cui stazza finanziaria supera in massa e qualità quella degli stessi stati nazionali. In questo scenario, il classico rapporto capitalistico dell’uomo alienato si innova poiché la forza-lavoro, semplicemente e brutalmente, non serve più: ci sono le macchine, gli algoritmi, i mercati finanziari. E se l’uomo – lavoratore non ha più senso, per il Capitale non ha più senso l’esistenza dell’umanità.

A tal fine essi non sono giunti impreparati, considerando l’offensiva condotta da almeno un quarantennio sulle questioni- legittime, ma utilizzate in chiave schiettamente ideologica- dell’eutanasia, dell’aborto, dei vari tipi di suicidio assistito, ossia strumenti eugenetici a cui unire l’offensiva demografica condotta con successo in Occidente attraverso l’abbattimento del tasso di natalità. In più, e non è una novità se si considera, ex multis, il ruolo degli scienziati nella Germania nazista, la progressiva egemonizzazione del mondo scientifico attraverso la riduzione programmata delle risorse pubbliche in favore di contribuzioni private- ossia di munificenze di multimiliardari à la Bill Gates – ha condotto alla sterilizzazione di ogni dibattito, costruendo una narrazione da idioti per cui LaScienza non può per definizione sbagliare. Un monolite distante anni luce dalla constatazione cartesiana che il dubium est initium sapientiae: tanti piccoli buffoni del Principe, spacciatori di verità indiscutibili contro generoso assegno. Una riprova, qualora ce ne fosse bisogno, di quanto sia politica la scienza e la tecnica in regime capitalistico.

Uno schieramento multiforme per un’operazione complessa, poiché il consenso delle vittime viene sì estorto attraverso la mistificazione continua della realtà, attraverso il fuoco di fila dell’orchestra propagandistica, ma richiede comunque tempo e offre certe resistenze date dagli stessi mezzi usati. Quale forma migliore, allora, di un’epidemia che solletichi la paura più forte dell’uomo, specie di quell’idiotizzato medio che è l’occidentale, cioè la morte? Basta con la scuola, con il lavoro in ufficio, con la materialità delle cose, con l’odore della vita: tutto online, offerto generosamente da Google e Microsoft, comprando porcherie da Amazon, vedendo serie tv a getto continuo su Netflix con frequenti incursioni su PornHub.

Terrorizzati dalla propaganda di morte, dai camion dell’esercito pieni di bare, rincoglioniti da una reclusione volontaria e dalla lobotomizzazione dei longform, ecco formarsi una nuova umanità disumana, che teme il contatto con l’altro e ha come compagno di vita un mondo digitale, finto e immateriale. The new world, per dirla con Huxley, in cui tutti “insieme” usciremo dalla crisi attraverso un “modo nuovo” di intendere le cose: naturalmente seguendo uno schema già tracciato dalla classe dominante. Una volta avviato un simile processo, la slavina non potrà che allargarsi a quanto resta dell’organizzazione sociale: il simulacro di Stato rimasto dovrà essere svuotato ancor più di senso e divenire soltanto il braccio armato della repressione. Al resto, cioè a tutto, ci penserà il dominio di una élite nascosta e invisibile, che controlla ogni cosa attraverso la tecnologia e il favore datole da masse asservite e imbelli. A quel punto, la via verso la fine dell’umanità e l’avvento di distopie incommentabili sarà già tracciata: privato del politikòn, lo zoon aristotelico diviene soltanto una bestia da condurre al macello.

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