OGGETTO: Il senso di Helsinki per la guerra
DATA: 16 Gennaio 2025
SEZIONE: Difesa
FORMATO: Analisi
AREA: Europa
I rumori ovattati dalle distese innevate non allontanano i pericoli incombenti di un rinnovato conflitto. Epigoni dei combattenti degli anni Quaranta, i finlandesi si preparano al peggio e, prima che il sole sorga, si accingono a difendere per l’ennesima volta la loro terra dal nemico di sempre, la Russia.
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Il nord è un’Ultima Thule, troppo lontana da noi; non è distante solo da un punto di vista spaziale, ma anche culturale. Più affini al biancore del travertino e ad un barocco ricco, violento, caldo, l’algido ambiente del Baltico scandinavo porta ad ambientazioni che richiedono un’immaginazione di ardua immediatezza. Se Sibelius ci ha avvicinato con la sua musica ai cieli ed alla terra di Finlandia, il sanguigno Montanelli ha condotto sotto i riflettori uomini e vicende che sarebbero altrimenti andati perduti nell’immensità del dimenticatoio della storia; la regola per cui da una parte all’altra dei confini europei le etnie hanno conservato legami familiari non vale per i finlandesi, visto che i 400.000 abitanti della Carelia preferiscono essere evacuati, prima alla fine della Guerra d’Inverno nel 1940 e poi dopo la Guerra di Continuazione terminata con l’armistizio di Mosca nel 1944, piuttosto che rimanere sotto il giogo sovietico. L’irredentismo non appartiene all’animo finnico; non esistono finlandesi non regnicoli. Rammentate il termine sisu: identifica la forza di volontà insita nel DNA finnico, che annovera l’allelo di una sicurezza che richiede il totale coinvolgimento di popolo.

L’elegia bellica riportata da Montanelli dal fronte finlandese riporta a tempi in cui proprietà di linguaggio ed onestà intellettuale hanno reso inattuabile finanche la censura fascista, malgrado le simpatie di regime espresse per l’intellighenzia sovietica. Il redattore viaggiante del Corriere della Sera è riuscito a rendere vivida un’odissea di ghiaccio tanto da dare l’impressione, leggendolo, di essere lì, tra i sissit. Ed è lì che spiccano intelligenza politica e capacità di far cantare una Lettera 22, tratteggiando immagini letterarie più autentiche e palpitanti di una ripresa cinematografica: è la parola che dona sintesi, passione, ritmo.

Montanelli, in Finlandia, non è stato un mero testimone, è stato l’aedo di un popolo tenace insieme al quale attendere il tracimare delle truppe di un regime che non ambiva ad altro che alla riconquista dei confini di un impero negletto a chiacchiere. Per avvicinarsi alla Finlandia bisognerebbe tornare a leggere di quelle terre sulle ali di spiragli di luce baltica che, a quel tempo, avrebbe potuto illuminare gli italiani circa il destino delle guerre di aggressione: Finlandia prima e Grecia poi hanno insegnato, con infinita durezza, moltissimo. Gli eventi hanno fatto sì che il destino post bellico finlandese fosse affine a quello italiano per cui, suggellata la pace separata ante disfatta germanica, le FA devono combattere contro la Wehrmacht, tenendo conto che gli interlocutori non sono gli angloamericani ma i sovietici che pretendono l’unico approdo sul Mare di Barents e parte della Carelia. I russi vengono rallentati non solo dalla neve, ma anche da un coraggio implacabile; la Finlandia perde circa 25.000 uomini e 62 aerei, l’Unione Sovietica oltre 126.000 uomini con 264.000 feriti, circa 521 aerei e 1.800 carri. I russi, intervistati da Montanelli, già nel ’40 stanno combattendo una guerra che, era stato detto loro, sarebbe durata una settimana risparmiando obiettivi civili; l’Ucraina è un déjà vu, alla stregua delle analogie con gli incerti aiuti anglo francesi che non evitano alla Finlandia la perdita del 10% del suo territorio. Attenzione però ad usare impropriamente in Ucraina l’aggettivante finlandizzazione.

È una guerra condotta da un popolo per noi così atipico che ancora trova spazio la leggenda di Simo Häyhä, la morte bianca, il tiratore scelto più letale della storia, capace di annichilire non meno di 542 soldati sovietici in pochi mesi di guerra. Molti anni dopo, sollecitato a rispondere sulle tante morti causate, Häyhä afferma: ho fatto quello che mi hanno chiesto, al meglio che ho potuto. Non ci sarebbe una Finlandia se tutti non avessero fatto lo stesso. Oggi, mentre Helsinki aderisce alla Nato, i suoi cittadini avvertono il rischio dell’invasione, mantenendo vivo lo spirito con cui nel 1940 ribattezzarono sarcasticamente le bottiglie incendiarie con il nome del ministro degli esteri sovietico, Molotov. Più a nord l’Artico, spazio ridisegnato geopoliticamente dal clima e che sta portando alla scoperta di nuovi giacimenti di petrolio e gas naturale in zone via via più accessibili. Se la Norvegia reclama la dorsale di Gakkel, ritenuta parte della sua ZEE, la Russia avanza pretese sulle isole Svalbard.

La Norvegia, stante l’incombente presenza russa, ha già spostato il nocciolo del proprio dispositivo difensivo a nord, con Canada e Danimarca che stanno incrementando le capacità di combattimento in condizioni estreme. Murmansk diviene dunque l’ingresso settentrionale russo alle risorse energetiche, tanto che il Cremlino ritiene che i giacimenti offshore, specialmente nell’Artico, siano la riserva strategica per il XXI secolo, con la Cina che tesse la trama di una Via della Seta Polare. In questo contesto, le asserzioni di Trump sulla Groenlandia, non sono arguzie quanto messaggi lanciati a Mosca e Pechino. Più che il diritto internazionale, ormai domina la valutazione strategica. Torniamo al Baltico, mare che, dalla dissoluzione sovietica, sembra incarnare sia l’area extra historiam come tratteggiata da Huntington, sia una maggiore ed inedita traenza economica, sia la regione marittima più adatta agli intenti moscoviti di bilanciamento nucleare; non è un caso che, nel 1995, l’UE si estenda a Svezia e Finlandia che contribuiscono, con Polonia, Lituania, Lettonia ed Estonia, a circoscrivere un lago salato secondo i canoni di un’integrazione a molteplici velocità che arriva a sollecitare diverse adesioni alla Nato.

Il 2014, con l’annessione ucraina e la guerra nel Donbas, spegne qualsiasi afflato cooperativistico russo e risveglia fantasmi polacchi e baltici dalle nebbie del ‘38; la Finlandia, dal suo canto, deve procedere secondo una politica interna ed estera capace di garantire, obtorto collo, buoni rapporti con un vicino aggressivo e potente verso il quale l’istituzionalismo occidentale post Ucraina, è diventato ancor più necessario con una maggiore integrazione nel campo della difesa collettiva: alla fine della fiera, la cooperazione regionale è stata favorita proprio da chi più l’ha osteggiata. L’allargamento Atlantico a nord ha evidenziato sia la rinnovata vitalità dell’Alleanza sia l’esigenza, da parte finnico-svedese, di fruire della sua protezione, infrangendo un lunghissimo status di neutralità armata. Il Baltico, fianco settentrionale dell’Alleanza, diviene dunque centrale ma foriero di minacce ibride, come quelle portate da repentini flussi migratori dalla Russia verso Helsinki o da modifiche unilaterali moscovite dei confini tra il Golfo di Finlandia e Kaliningrad, con mire rivolte all’isola svedese di Gotland, porta di ingresso per il controllo del Baltico o verso le finlandesi e demilitarizzate Åland. Le conseguenze dei disordini politici innescati dalla crisi continentale dei rifugiati del 2015 inducono Mosca a supporre di poter destabilizzare i confini scandinavi secondo il modello Kazan-Manciù, con il primo assoggettabile ed il secondo, forte delle sue dimensioni, da trattare da pari; si tratta di un errore di calcolo che, incrinando la già labile fiducia finlandese, accentua la percezione della minaccia di un egemone avvolto nel drappo ottundente di un revisionismo destabilizzante. 

Razionale la risposta strategica fondata sul value-based realism del Presidente finlandese Stubb, basato sulla realizzazione di una linea di difesa in profondità caratterizzata da contromobilità e deterrenza unitamente all’East Shield, concepito come articolato sistema di barriere e fortificazioni esteso per circa 700 km tra il NE polacco e Kaliningrad. Come un domino, l’effetto geopolitico si riverbera dal nord norvegese, passa per Varsavia e arriva alla Grecia, tenendo conto dell’occidentale Trimarium parallelo all’area Kaliningrad Tiraspol e del rinnovato vallo finlandese. Insomma, il tempo della neutralità è volto al termine e l’ingresso finno-svedese nella NATO costituisce una première in cui tutti i paesi nordici militano in un’alleanza finalizzata ad una difesa collettiva che privilegi sviluppi capacitivi integrati; Helsinki, che condivide 1340 km di confine con Mosca, decide di schierarsi per il mantenimento dell’ordine internazionale liberale, disconosciuto dalla Russia, grazie anche al Defence Cooperation Agreement stipulato con gli USA e funzionale al rafforzamento dei rapporti bilaterali secondo una politica securitaria che tradizionalmente ha sempre potuto contare su vaste aree di consenso.

La nuova era, segnata dall’ingresso finlandese nella Nato, porta all’accettazione dei vincoli stabiliti dal burden sharing, ma senza dimenticare la dimensione europea entro cui sviluppare una comune politica estera di sicurezza dando rilevanza al forum N8, che riunisce i Paesi dell’area nordica e baltica. La spesa per gli armamenti assurge a necessità ineludibile da alimentare finanziariamente, stanti i venti di guerra ucraini; insomma, se la Nato chiede la minaccia russa obbliga. Il bilancio della difesa lievita oltre 6 miliardi di dollari nel 2025 per attestarsi a 12 nel 2032, con l’accordo da quasi 9 miliardi per 64 F-35 e per le corvette Pohjanmaa, proposte peraltro non avversate dall’opposizione e che arrivano al 3,3% del PIL. Helsinki rafforzerà anche le forze terrestri, introducendo tecnologie avanzate per la sicurezza informatica e gli UAV. Propositi da protagonista, per quanto relativamente in versione apparentemente ridotta, secondo un paradigma deterrente che la Svezia dovrà necessariamente contemplare a sua volta, insieme con gli Stati baltici; del resto Stoccolma, nel tempo, ha scongiurato il rischio che la Finlandia divenisse la Fortezza Bastiani del nord. Per il personale, servizio effettivo e riserva sono da attualizzare alla strategia della guerra d’inverno, privilegiando l’iniziativa frenante dell’Auftragstaktik.

A monte del Governement’s Defence Report del 2021, la crisi ucraina ha confermato la bontà concettuale della persistenza all’allargamento NATO; la richiesta finno-svedese soddisfa i target di sempre: inclusione, allargamento del perimetro di sicurezza degli alleati e dei partner, offerta di credibili garanzie di sicurezza. A differenza dei paesi dell’Europa orientale entrati nell’Alleanza, Finlandia e Svezia sono democrazie politicamente stabili, con FA integrabili e la loro adesione è il risultato di una scelta strategica autonoma e deliberata, conseguente al fatto che non c’è stato per loro alcun cambiamento traumatico delle geometrie politiche internazionali che, ora, guardano a nord e non più solo ad est. L’ingresso nella Nato, cui dovrà seguire una valutazione dell’eterogeneità delle richieste securitarie, rappresenta dunque un elemento di discontinuità, preceduto dalla partecipazione alle missioni di peace keeping nei Balcani e in Afghanistan: la Finlandia, con circa 280.000 unità combattenti attivabili, è una security provider, non una mera security consumer, capace peraltro di alleggerire i vincoli logistici in particolare nel sostegno alle operazioni aeree a contrasto.

Roma, Luglio 2023. X Martedì di Dissipatio

L’adesione finno-svedese ha la capacità di trasformare le fisiologiche asimmetrie in sinergie, premiando la cooperazione e ridisegnando la pianificazione difensiva con una rinnovata profondità strategica aerea finlandese nelle retrovie svedesi, ed una capacità di interdizione più spiccata tra Åland, Gotland e Bornholm nel Baltico. Di fatto, il tempo e le attuali contingenze, hanno condotto a quello che potrebbe essere visto come un rafforzamento della dottrina Harmel in quanto a capacità difensive. Per Mosca il problema strategico si sostanzia nel fatto che il Baltico si sta trasformando in un lago atlantico, ferme restando la rilevanza del porto di San Pietroburgo e la capacità di proiezione di Kaliningrad, ambedue di possibile interdizione sì da esaltare la classica sindrome russa da accerchiamento.

Politicamente, per Mosca una Finlandia atlantica è una sconfitta, visto che non è riuscita a contenere l’allargamento occidentale a est: i caduti in Ucraina, di fatto, non hanno potuto impedire l’apertura di un nuovo fronte (confinario) di 1.340 km nelle vicinanze di San Pietroburgo. 

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