Vivo in Russia e come tutti gli altri uomini russi potrei essere arruolato. Sono anche uno studente e ciò potrebbe offrirmi una protezione da questa possibilità. Studio in una delle più importanti università della nazione. Quando la guerra è cominciata ero nella mia città natale: circa mezzo milione di persone e un confine molto vicino con l’Ucraina. Con poco sforzo si potrà capire facilmente di quale si tratta. Il 23 febbraio scorso è occorsa una delle feste più importanti in Russia, la giornata dei difensori della patria. L’ho passata a far poco, come tante altre giornate, nel mio piccolo appartamentino sovietico e mi sono addormentato alle 3 del mattino circa. Due ore dopo, V.V. Putin annunciava la sua «operazione militare speciale» e procedeva a portare guerra fino a Kiev. Mi sono svegliato verso le 8 al suonare del mio telefono, uno dei miei più cari amici voleva avvertirmi di quello che era appena successo: «Che cazzo dormi ancora? La guerra è cominciata». Mi sono accorto subito del suo tono di voce per niente scherzoso, ma per qualche ragione non mi sono agitato. Ho acceso la televisione, la luce dello schermo illuminava la piccola stanza di 13 metri quadri che da tempo condivido con mia madre. Ho spento dopo poco. Ricordo che in un forum russo online di nome 2ch – il nostro equivalente del più famoso 4chan – c’era un thread chiamato ПОЧАЛОСЯ! (che significa È cominciata!). Gli utenti stavano caricando ogni sorta di notizie, foto e video; la maggior parte delle risposte era qualcosa del tipo НАЧИНАЕМ СВИНОРЕЗ (La carneficina è cominciata). Sono rimasto attaccato al computer fino alle 6 del mattino seguente, prima di crollare a letto esausto. Così ho passato anche i giorni successivi.
Solo i pazzi pensavano che la guerra potesse essere uno scenario realizzabile, anche se tutti i segnali sembravano puntare verso quella direzione. Nella stazione della mia città, che spesso attraverso durante le passeggiate, da settimane si susseguivano file di equipaggiamenti e mezzi militari trascinati da treni che andavano verso sud. Ogni volte che li vedevo passare pensavo “Non ci sarà una guerra, non ha senso per la Russia, e Putin è troppo razionale per prendere una simile decisione”: mi sbagliavo. Mi sbagliavo, come tanti altri che erano in grado di credere solamente alla loro razionalità. Ho passato la prima settimana del conflitto emozionalmente intorpidito. Poi mi sono deciso a uscire dalla mia stanza per passeggiare. Ho camminato, guardavo le persone, e tutti i sentimenti repressi sono esplosi all’improvviso. Ho aiutato una vecchia al mercato che non riusciva a leggere i prezzi delle patate. L’ho accompagnata a casa portandole la spesa, mi disse che aveva 83 anni, mi ha raccontato della sua nipote, e di come il suo vecchio compagno la lasciò appena rimase incinta. Poi mi ha raccontato di sua figlia, emigrata nel sud del paese per guadagnare qualche soldo, uccisa da qualcuno poco dopo il suo arrivo. La ricordo felice dell’aiuto che le avevo dato.
I giorni passavano e io normalizzavo sempre più la cosa, fino a ritornare a vivere la mia routine. D’estate, con gli amici, passavo di bar in bar come ogni altra estate. Esattamente come ogni altra estate. Sono finito a non far più caso al suono e all’occasionale scorgere dei jet supersonici che volavano sopra le nostre teste, le esplosioni provenienti dalle postazioni contraeree divennero l’abitudine. A settembre sono tornato a Mosca per il nuovo anno universitario. In questo periodo sono arrivato alla conclusione che voglio la fine della guerra, e voglio che sia la Russia a vincerla, il prima possibile. Non voglio che altri miei concittadini perdano la vita, non voglio che il paese venga smembrato dai nemici o che uno scenario da “terza guerra cecena” si allarghi lungo tutti i confini.
Non voglio più vedere quell’orribile bandiera bianco-blu-bianco, inventata da qualche movimento sinistroide che ignora la storia russa. Non porto odio verso il popolo ucraino, ma non li amo neanche. È solo un altro popolo, non il mio. È insopportabile la vista dei mie fratelli che muoiono sul campo di battaglia. Ho visto dei video di alcuni di loro inginocchiati e poi giustiziati. La mia opinione non è cambiata neanche dopo l’annuncio della mobilitazione da parte di Putin. Ero a casa di amici, con altre persone della mia età, bevevamo birra e discutevamo della possibilità di essere chiamati al fronte. Discutevamo di cosa avremmo fatto se fossimo stati selezionati, di come nasconderci per evitare l’arruolamento. Cercavamo di tirarci su il morale. Una settimana dopo uno dei miei amici, Ivan, mi ha scritto che un nostro amico comune aveva ricevuto una lettera ufficiale che lo invitava a presentarsi in caserma militare. Poi, ancora una settimana dopo toccò a Ivan. Mi dissero che aveva ricevuto la notizia mentre al bar. Non fece più ritorno al suo appartamento, e scappò chissà dove. A Mosca la polizia cominciò a razziare dormitori, ostelli, e pure la metro. Una vera barbarie, che la gente subiva ribollendo dentro. Ora siamo a fine ottobre, è passato più di un mese dall’inizio della mobilitazione, e io ho appena ricevuto un documento che dovrebbe proteggermi dalla possibilità di andare in guerra. Per tutto questo tempo ho aspettato senza andare nel panico, osservando le persone accanto a me dare di matto. Sono calmo anche adesso. La mia paura di morire è la medesima che avevo prima dell’inizio dell’operazione speciale. Aspetto che tutto finisca, perché in Russia la cosa più importante è imparare ad aspettare.
Testo originale di Vladimir A. e traduzione a cura di Davide Arcidiacono