È un titolo provocatorio, Grazie, Occidente! (Mondadori 2024) quello del libro di Federico Rampini che, come da tradizione negli ultimi anni, non è passato in sordina. La tesi dell’autore, che da tempo ha rivisitato le sue posizioni politiche – meglio tardi che mai –, si avventura questa volta in una difesa del Grande Cattivo della nostra epoca: l’Occidente. Rampini parla di «tutto il bene che abbiamo fatto», come si legge nel sottotitolo del volume. Ma non si tratta di una difesa ideologica – questa è, al rovescio, quella dei detrattori dell’Occidente – quanto un’analisi sistemica in cui l’autore smonta pezzo per pezzo bugie e semplificazioni grossolane su questa parte del mondo. Alla quale miliardi di persone dovrebbero la vita – al netto dei crimini che nella sua lunga Storia l’Occidente ha commesso in questi secoli di dominio socioeconomico. L’elenco dei progressi dell’Occidente è molto lungo, «oserei dire sterminato».
In effetti, nel clima di caccia alle streghe, un’epoca in cui attaccare l’Occidente è sexy, un libro come quello di Rampini – che non è un pericoloso reazionario di destra! – suscita sdegno e imbarazzo. Cinesi, indiani, brasiliani, africani … Il mondo è popolato da persone che devono la loro esistenza all’Occidente e al suo progresso, secondo Rampini. I progressi scientifici occidentali, in ambito medico e agricolo, sono stati adottati e implementati globalmente generando benefici straordinari. L’aumento dell’aspettativa di vita, il crollo della mortalità infantile e la crescita dei livelli di istruzione sono il risultato della diffusione del progresso occidentale. Il che ha fatto emergere dalla povertà miliardi di persone. E, spoiler, le sfide future per un’economia sostenibile e la riduzione delle emissioni di carbonio, nonché la riduzione delle cosiddette diseguaglianze, saranno verosimilmente superate grazie alla ricerca e all’innovazione dell’Occidente.
A Rampini piace molto l’approccio storico per corroborare le sue tesi. Senza la Rivoluzione industriale, spiega, «oggi non sarebbero vivi tre miliardi di cinesi e indiani, o un miliardo e mezzo di africani: è la nostra agricoltura moderna a base di fertilizzanti […] a consentire la loro alimentazione; è la nostra medicina ad avere ridotto la mortalità infantile e aumentato la longevità. Tutti i miracoli economici asiatici […] sono avvenuti copiando il modello […] dell’Occidente, non ripudiandolo. Senza la nostra economia di mercato, che usa scoperte e innovazioni per creare ricchezza, non esisterebbero le tecnologie verdi che consentono di costruire un futuro con meno emissioni carboniche». E poi, lo slogan “I deboli hanno sempre ragione” è falso, dal momento che «nel Sud del pianeta quel dogma spesso è l’alibi con cui certe classi dirigenti locali, incapaci e ladre, scaricano su di noi la colpa per l’arretratezza dei loro popoli».
L’ortodossia prevalente dipinge i popoli europei e nordamericani come artefici di rovina e tirannia. L’autore rileva una palese incoerenza nell’opinione pubblica che, da un lato, celebra Medici Senza Frontiere, mentre dall’altro condanna Bill Gates per le sue iniziative filantropiche. Nel campo agrario, il contributo occidentale ha generato progressi. L’autore sottolinea come le innovazioni tecnologiche cruciali non siano frutto né dell’attivismo di Greenpeace, né dell’economia centralizzata. «Certo che il colonialismo andava combattuto e sconfitto! Certo che noi dobbiamo essere consapevoli delle nostre responsabilità storiche! Anche se è ridicolo che oggi la conquista territoriale e il dominio su altri popoli vengano ridotti a crimini occidentali, mentre li praticarono l’impero […] ottomano e lo praticano tuttora Cina e Russia». Purtroppo, anche in Occidente, le élite intellettuali trasudano ostilità verso il capitalismo e nostalgia verso un passato. Il rischio di questa tendenza pare essere generazionale.
«I nostri genitori e nonni cresciuti nel mito della superiorità bianca erano […] ciechi di fronte alle malefatte dell’imperialismo europeo; i nostri figli indottrinati sulla malvagità dell’uomo bianco sono altrettanto ignoranti e superficiali». Con l’aiuto di Deirdre McCloskey, l’analisi di Rampini parte dal concetto di borghesia e il bene di questa classe. Certo, non tutti ne hanno beneficiato allo stesso modo. Né all’interno delle nostre società avanzate. Né fra Nord e Sud del pianeta. Eppure, il concetto di borghesia ha anche un lato oscuro esacerbato da Karl Marx. Che quando parlava di borghesia, in realtà, si riferiva all’alta borghesia – imprenditori, proprietari dei mezzi di produzione, padroni delle fabbriche. Non stupisce che per molti il termine sia negativo. E che abbia contribuito a dar l’immagine del borghese come nemico di classe. In Cina, negli anni Ottanta, a cambiare le cose ci volle Deng Xiaoping.
Il sogno borghese trasformò di lì anche il Dragone – estendendosi ad India e Vietnam. Dopo il crollo del Muro, il sistema economico basato sul libero scambio ha prevalso quasi universalmente – eccettuate Corea del Nord e Cuba. Le innovazioni in campo medico e sanitario, sviluppate in Occidente e poi diffuse, hanno trasformato la fisiologia umana più nell’ultimo secolo che nei cinquanta millenni precedenti. L’immunizzazione ha eradicato patologie infettive che avevano decimato l’umanità sin dagli albori. Rampini, citando Ian Morris, evidenzia come per gran parte della Storia le donne fossero considerate come strumenti di procreazione. Questo è cambiato con la rivoluzione industriale. E il resto del mondo, con ritardo, ha beneficiato di questi progressi occidentali. Per anni, la forza muscolare è stata la principale fonte di energia cinetica. Le risorse eoliche e idriche, seppur utili, hanno limitazioni geografiche. La svolta arrivò in Inghilterra con l’avvento delle prime macchine a vapore.
Rampini si azzarda a spigare “perché possiamo dirci superiori”, tabù supremo della nostra epoca e non al riparo da critiche. Riprende il caso di Deng. Durante il cui governo, la Cina si aprì progressivamente alle conoscenze scientifiche e tecnologiche occidentali. Deng guidò il paese in una transizione dall’economia comunista verso un sistema di mercato, prendendo spunto dai modelli occidentali. Esortava i giovani cinesi a lasciare il paese per studiare nelle università occidentali. Eppure, «oggi chi osasse parlare di superiorità occidentale in un’università americana verrebbe crocefisso». Con la parentesi della Rivoluzione culturale maoista, le nazioni asiatiche hanno accolto le teorie scientifiche occidentali. Difatti, Xi Jinping non contempla un ritorno ai modelli politici e istituzionali dei Ming. Prosegue invece il percorso tracciato da Deng, combinando elementi del socialismo (del tedesco Marx) con principi keynesiani. «La superiorità dell’Occidente è nei fatti», argomenta Rampini. «Gli altri […] ci hanno copiato».
Secondo Niall Ferguson, la differenza tra l’Occidente e il resto del mondo si spiega con sei argomenti. 1) Competizione, estesa sia alla politica sia all’economia. 2) Scienza come strumento sia per comprendere il mondo che per trasformarlo. 3) Proprietà privata e lo Stato di diritto per proteggerla. 4) Medicina. 5) Società dei consumi. 6) Etica del lavoro, basata sui valori del protestantesimo. Nonostante questi aspetti positivi, l’Occidente è diventato oggetto di disapprovazione, disprezzo e ostilità in molte parti del mondo. E ha perso il suo status di modello da emulare. Le élite intellettuali si dedicano alla critica e alla denigrazione del passato occidentale. Nelle università statunitensi, la cosa è nota, si è diffusa una mentalità fanatica che rifiuta lo sviluppo economico e mira a smantellare il concetto stesso di progresso. L’ostilità verso gli Stati Uniti e l’Occidente è diventata l’ideologia prevalente nelle università.
Rampini sostiene che l’Occidente è l’unica regione dove le istituzioni educative, dalle scuole alle università, praticano sistematicamente l’autocritica e l’autodenigrazione. Al contrario, cinesi, russi e indiani trattano la loro civiltà con orgoglio e fierezza. Inoltre, Rampini riconosce il cambiamento climatico come una delle principali sfide della nostra era. Ma afferma che non si deve essere tolleranti verso chi nega questa realtà, poiché tale atteggiamento è contrario al metodo scientifico. A livello politico, “salvare il pianeta” è diventato un modo per proseguire la lotta contro l’Occidente con altri mezzi. «Un certo iperambientalismo oggi nasconde un’agenda politica precisa. Gli stessi che ammiravano il socialismo sovietico o cubano, il maoismo cinese, come dei sistemi migliori del nostro, hanno aggiornato gli slogan. Vogliono sempre abbattere l’Occidente, ma oggi al posto del Libretto Rosso hanno messo l’orso bianco». Poi Rampini parla di una Generazione Gaza, social e triste.
Analizzare la psiche dei giovani significa esaminare il nucleo della crisi di fiducia occidentale. La Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2012) mostra un’alta incidenza di suicidi, disturbi depressivi e comportamenti autolesionisti. E questo fenomeno ha implicazioni anche a livello politico. Le università statunitensi sembrano aver abbandonato da tempo il loro ruolo di baluardo della libertà d’espressione. Qui si insegna che la ricchezza dell’Occidente è la prova del senso di colpa – da qui il wokismo, la Critical Race Theory, etc. Ricco vuol dire cattivo, secondo i peggiori slogan degli anni Sessanta. Pensatori influenti come Toni Negri e Michel Foucault hanno gettato le basi di questa corrente. La Generazione Z soffrirebbe di un dilagante disturbo ansioso. Alcuni studiosi incolpano i social media. Altri criticano la diffusione di una mentalità catastrofista, specialmente sui cambiamenti climatici. Genitori iperprotettivi hanno limitato le loro esperienze nel mondo reale.
Di converso, i giovani della Generazione Z di molti paesi in via di sviluppo mostrano un atteggiamento nettamente più positivo rispetto ai loro coetanei occidentali. Secondo l’autore, l’ideologia prevalente nel mondo occidentale offusca la visione dei giovani, impedendo loro di apprezzare i progressi e i miglioramenti realizzati. «L’anticapitalismo rende pessimisti i giovani americani e contribuisce a deprimere l’umore dell’America […]. Riconoscere che l’economia americana va bene è incompatibile con le certezze ideologiche di questa generazione, convinta che il capitalismo sia oppressivo e la crescita provocherà un disastro climatico». Seguendo il suo ragionamento, Rampini sostiene che è l’Occidente a trovarsi “accerchiato”. Ma dal di dentro. L’Occidente sembra non aver ancora compreso appieno l’urgenza di riprendere l’iniziativa nel Sud Globale per contrastare Cina e Russia. Ciononostante, l’autore conclude con ottimismo. Gli Stati Uniti rimangono una meta ambita, nonostante i presagi sulla fine della loro egemonia.
Rampini non scorge all’orizzonte il tramonto della nostra civiltà, un’eventualità spesso preannunciata nel corso degli anni. In sintesi, il predominio occidentale, nel periodo in cui si è esteso a gran parte del globo, non era basato esclusivamente su una supremazia tecnologica e materiale. La nostra diffusione territoriale combinava il progresso economico con l’evoluzione etica e valoriale. «La forza di una collettività dipende dal denaro e dalla tecnologia, dalla demografia e dal rapporto con l’ambiente, dalle regole del sistema, che includono un’idea dei diritti e dei doveri». E poi, «tutto quello che stiamo vivendo oggi è già accaduto. L’Occidente è circondato di nemici, processato per le sue colpe, sfidato da potenze aggressive (Cina, Russia, Iran) e sfiduciato dal Grande Sud globale». Ma, per ora, ogni tentativo di rimpiazzare il modello occidentale con paradigmi alternativi ha portato al disastro. Dagli esperimenti sovietici alla Cina maoista, da Cuba all’Iran post-rivoluzionario.