Per il collo di una clessidra passano 3,9 grammi di sabbia al minuto. Per contare un’ora ne servono 234 e per un giorno poco più di cinque chili e mezzo. E per misurare una vita? Servirebbe un’enorme chiatta contenente tonnellate e tonnellate di sabbia, oppure, molto più tristemente, un piccolo canotto gonfiabile per due persone? Una barca piena di sabbia che scorre placida sul fiume è una delle immagini che il filosofo francese Pascal Chabot utilizza per raccontare il tempo. Il suo ultimo lavoro, Avere tempo. Saggio di cronosofia, edito da Treccani Libri, è un agile studio sulle differenti concezioni del tempo e sulle problematiche ad esso correlate. La giornata tipo scorre inesorabile tra un impegno e l’altro e il tempo sembra non appartenere più all’individuo:
«Alle 6:00 sveglia, 6:15 doccia, 6:30 caffè, 6:50 auto, 7:00 ingorgo, 7:15 ingorgo e radio, 7:30 scuola, 8:15 radio e ingorgo, 8:30 ufficio, 8:32 discussioni, 8:40 computer, 8:42 e-mail, 8:49 e-mail, 8:50 email, 8:55, 9:03, 9:07, 9:22, 9:32, 9:37, 9:43 e-mail, e-mail, e-mail, 9:50 caffè, 10:00 riunione, riunione lunga, tempo perso, 11:30 computer, varie, 12:13 e-mail, 12:23, 12:28 e-mail, telefono, 12:30 pranzo, acquisto nuove cuffie, 13:30 computer, 14:00 riunione, 14:30, 14:34, 14:42, 14:56, 15:02, 15:39 sovrasaturazione, e-mail, telefono, e-mail, 16:00 caffè, 16:15 pulizie varie, 16:30 redazione di una relazione, 17:23 e-mail, 17:31, 17:39, 17:52 e-mail, 18:00 computer spento, 18:12 ingorgo, 18:24 scuola, 18:45 recupero bambino, 19:30 casa, 19:35 Tv, 19:38 e-mail, 19:48 e-mail, 20:00 pasto, 20:15 discussione, 20:30 oblio, 20:49 telefono, 20:54 e-mail, 21:00 telefono, 21:20 bambino a letto, 21:43 Tv, 22:12 Tv spenta, 23:22 spegnimento generale, 4:21 insonnia»
Il seme di tutti i traumi risiede proprio nella scissione tra il tempo della mente e quello della città. Il tempo è socialmente programmato, una serie inderogabile di appuntamenti e scadenze che appaiono come lacci indissolubili della libertà del cittadino moderno. Il tempo è l’ultimo degli aspetti della vita dell’uomo che viene alienato, strappato dalla sua disponibilità e irregimentato nella griglia del programmato e organizzato. Questa burocratizzazione del tempo – agende, sveglie, countdown, prenotazioni, appuntamenti – alimenta il malessere della società moderna, quella mancanza di senso che attanaglia sempre più persone. D’altronde avere tempo è un altro modo per dire che si è vivi e, quando ci si accorge che non si è più responsabili del proprio, allora in un certo senso si inizia a morire.
La cartina tornasole del problema del tempo è l’eterno scontro tra le due categorie archetipe per eccellenza: la quantità e la qualità. L’assenza di tempo che lamentano i contemporanei non deve essere intesa come mancanza materiale, una giornata odierna è lunga quanto quella di duemila anni fa, bensì come scarsa qualità del tempo a disposizione. Il paradosso di questo scontro viene accentuato dalla perfetta precisione con cui quantifichiamo il tempo e dall’assenza di metri di giudizio altrettanto efficaci per misurare la sua qualità. Valutare qualitativamente il tempo presuppone la presenza di una sua rappresentazione ideale a partire dalla quale trarre i giudizi su quello appena trascorso. Ma come viene rappresentato il tempo?
A questo punto Chabot intraprende un percorso storico-tematico in cui descrive diverse concezioni del tempo evocando per ognuna un’immagine caratteristica. La panoramica è piacevole e coinvolgente, non scende nel dettaglio di teorie filosofiche, letterarie o fisiche, ma tratteggia dei punti di riferimento concettuali interessanti e adatti a un pubblico vasto. La spirale è la figura geometrica che meglio si presta alla descrizione del tempo. Esso, infatti, non è né totalmente circolare – un eterno ritorno del presente che ciclicamente ripresenta le stesse dinamiche –, né una semplice linea retta puntata verso un glorioso avvenire. La spirale accoglie nelle sue curve entrambe le caratteristiche e le fonde generando una complessità che meglio si attaglia alle specificità del tempo. Nella realtà esistono diversi tipi di spirale che rappresentano le quattro concezioni del tempo identificate dal filosofo francese: fato, progresso, ipertempo e scadenza.
Il tempo come fato è stato inteso per lunghi tratti dell’Età Classica e nel Medioevo. Il destino già scritto degli eroi classici e la provvidenza cristiana che guida le anime dei peccatori nella vita terrena sono due costruzioni temporali che esautorano l’uomo dall’avere una reale incidenza sul proprio agire. La volontà divina è estranea alla capacità di comprensione umana e al soggetto non rimane altro che aspettare il susseguirsi degli eventi. La figura del paziente è quella che evoca maggiormente questa dimensione: l’attesa tranquilla e docile che rappresenta l’impotenza dell’uomo nei confronti del proprio futuro. La spirale corrispondente a questa dimensione temporale è quella di una conchiglia. Nella proporzione perfetta che forma il guscio degli artropodi è scolpita l’alterità indissolubile tra la forza e il tempo della Natura e quelli dell’uomo e della sua comprensione. La bellezza inaudita della spirale della conchiglia rappresenta una dimensione inconcepibile, un tempo che l’uomo può solo subire.
Il tempo come progresso nasce con l’età Moderna e il suo portato rivoluzionario. Il soggetto non è più in balia del destino, ma diventa artefice e unico responsabile del suo futuro. La spirale che caratterizza questa concezione è la molla meccanica. I materiali metallici che costituiscono la molla riescono, grazie a una torsione, a immagazzinare dell’energia potenziale che poi potrà essere sfruttata nel futuro. In questo modo si riesce a prevederlo e programmarlo e l’invenzione degli orologi meccanici, che in quest’epoca si perfeziona sempre di più, ne diventa un emblematico manifesto. L’uomo non è più paziente, ma audace, coraggioso nell’agire per crearsi il futuro più favorevole. Il progresso è questa concezione estremamente ottimista in cui l’uomo, grazie al suo ingegno, riesce a migliorare sempre di più la sua concezione.
Il tempo come ipertempo, invece, ribalta le caratteristiche del progresso: non è più il futuro la stella cometa che guida l’agire dell’uomo, ma un eterno presente che si ripropone continuamente inibendo le capacità del soggetto di astrarsi dall’attualità. L’attenzione dell’individuo è il campo di battaglia dell’ipertempo, mentre riuscire ad accaparrare il più possibile questo ambito terreno è lo scontro mortale tra le “ultra-forze” che governano la contemporaneità. Gli schermi dei telefoni e dei computer che circondano le nostre vite diventano gli strumenti della presentificazione perpetua: rendono disponibile, a portata di sguardo e di dito, ciò che non lo è. La figura che rappresenta l’ipertempo è la Spirale a Sfera di Escher, caratterizzata da un’ambiguità intrinseca: seguendo le sue linee oblique non si capisce dove inizia né dove finisce, ma si rimane perduti in un infinito rivoltarsi che disorienta.
Infine, il tempo come scadenza conclude la collezione dei concetti di tempo di Chabot. In questo caso il futuro gioca un ruolo fondamentale come nel caso del progresso, ma le tinte sono decisamente più pessimiste. Le scadenze ci allarmano su una fine inevitabile che si avvicina sempre di più: il riscaldamento globale con le sue catastrofi ambientali, l’evoluzione dell’intelligenza artificiale con la sottomissione della specie umana, sempre più probabili pandemie mortali che potrebbero sterminare gran parte dell’umanità, crisi alimentari ed energetiche, scontri tra potenze nucleari… Il tempo come scadenza è un tempo apocalittico in cui il futuro è strappato alle generazioni che si apprestano ad affacciarsi sul palcoscenico della Storia e la responsabilità del presente tuona sempre come un ultimatum arrivato troppo tardi.
Nelle ultime pagine Chabot propone una soluzione al problema del tempo e si cimenta nella costruzione di una metaspirale che racchiude i pregi di ciascuna rappresentazione. La metaspirale si compie nell’Occasione – simile al kairos greco, quel momento opportuno in grado di far superare all’uomo classico la sua condizione tragica – l’ultima raffigurazione del tempo che chiama l’uomo, e il lettore, all’azione.