Il Signor Adler è il paziente psichiatrico di un ospedale di Trieste affetto da grave schizofrenia. In preda al delirio, sogna in due dimensioni e all’interno di questi due mondi avviene lo stesso scenario: una pandemia influenzale uccide migliaia di persone al giorno. Tosse, febbre alta, espettorato purulento e fame d’aria, questi i sintomi che nei peggiori dei casi portano i soggetti affetti a diventare cianotici, perdere i sensi fino a condurre alla morte. A dir poco banale come soggetto al giorno d’oggi, se non fosse che Pandemia è stato scritto da Guglielmo Brayda più di quindici anni fa, nel 2004.
Qual è la linea sottile che separa il sogno dalla follia? La visione dalla paranoia, il genio dalla malattia? Guglielmo Brayda è neurologo e scrittore, autore di L’anatra dalla testa bianca e di Effetti collaterali dei sogni. Con Pandemia disegna con estrema precisione la psiche del suo personaggio, Julian Adler, e ne racconta le due personalità, quella del paziente e quella del soldato di guerra. L’Adler soldato, si trova nel bel mezzo della pandemia di influenza spagnola da cui inizialmente è colpito per poi guarirne improvvisamente. La sua esperienza è riportata in una serie di lettere inviate alla moglie, Annelise, unico personaggio non inventato dal paziente, cui racconta la disperazione dei cadaveri e dei malati che tra tosse e febbre alta si riversano negli ospedali da campo morendo a dozzine. Non prima di aver visto trasformare il proprio corpo e dopo grande dolore. “Cominciava come una comune influenza, ma non appena il malato arrivava nel mio reparto sembrava ammalarsi della polmonite più acuta che si possa immaginare. Dopo due ore i suoi zigomi sono già viola (…) Ancora poche ore e cominciano a boccheggiare nel disperato tentativo di respirare”. La descrizione minuziosa somiglia in modo impressionante a quello che accade oggi nel 2020 ad un paziente Covid grave che deve essere intubato e posto in terapia intensiva per tentare di sopravvivere.
Il mondo del paziente delirante invece immagina un futuro per sé lontano. Si parla di 2019, primi mesi dell’anno, quando un’influenza apparentemente innocua e stagionale si abbatte in tutto il mondo. Il paziente, protagonista di sogni e deliri è un medico specializzato in microbiologia, per questo perfettamente in grado di immaginare ogni ipotesi di contagio e pandemia. Adler si immagina in un sacco da cadavere, messo lì per aver dato l’impressione di essere morto, ed è da lì che racconta i cadaveri vittime della pandemia che vede arrivare nell’obitorio. Ancora una volta impressiona l’efficacia del racconto e la sua affinità con gli avvenimenti odierni.
Naturalmente Guglielmo Brayda non è un veggente, ma un medico di grande lungimiranza dotato di ottima penna e creatività. Il protagonista da lui immaginato in Pandemia crea con grande accuratezza uno scenario che era certamente immaginabile, proprio perché già vissuto più e più volte nella storia dell’umanità. Quella del Covid-19 non è un’emergenza sconvolgente e non avrebbe dovuto coglierci alla sprovvista. Guglielmo Brayda se lo immaginava e forse non era il solo. La collana di Sanofi Pasteur, da lui inaugurata nel 2005, aveva lo scopo di fare informazione medica e, con Pandemia, Brayda ha inteso immaginare cosa sarebbe potuto succedere se un’influenza avesse colpito l’umanità senza la protezione di un vaccino. E se la somiglianza con la realtà dei giorni nostri inizialmente lascia il lettore turbato e inquieto, alla fine deve farlo riflettere sul fatto che, come il romanzo suggerisce, non si tratta che di una storia già scritta, che non potrà che ripetersi sempre con più frequenza. Solo nel ventesimo secolo, infatti, si sono verificate tre pandemie influenzali: nel 1918, 1957, e 1968. La prima è quella che ricordiamo per gli effetti più devastanti, soprattutto perché colpì con maggiore aggressività i soggetti giovani, ma non bambini e anziani.
L’evidenza mostra che le epidemie sono eventi attesi e ciclici. L’umanità fa parte di un ecosistema da cui difficilmente possiamo tirarci fuori, nonostante la scienza. Esiste un continuo scambio di patogeni con le altre specie e in situazioni di promiscuità e grande densità popolosa la situazione peggiora. Globalizzazione e interconnessione hanno facilitato la velocità di contagio, ma le cause sono innate e incontrollabili dall’uomo. Le tecnologie moderne che in parte ci proteggono sono infatti le stesse armi che al momento opportuno possono ritorcersi contro di noi. Non resta che affidarci alla medicina, che non essendo purtroppo una scienza esatta, potrà senz’altro aiutare, ma fino ad un certo punto.