L’Alleanza Atlantica è in fermento e gli occhi del mondo sono puntati su di essa. L’anno scorso, a giugno del 2021, esperti, pensatori e strateghi provenienti dai 30 Paesi membri del patto militare più longevo della storia hanno concluso un ciclo di incontri e conferenze in cui si è dibattuto di un argomento importantissimo: la formulazione di un piano d’azione per la decade 2020-2030. Quel piano, che, tra le varie cose, prevede la graduale espansione della collaborazione interstatale dalla difesa alla politica, ossia la trasformazione della Nato da un patto militare ad un trampolino di lancio verso una maggiore integrazione politica, si compone di ben 136 punti e deve essere studiato approfonditamente, nei dettagli, perché è profetico.
Nessuno riuscì a prevedere la seconda guerra mondiale perché la Bibbia del nazismo, il Mein Kampf, non fu mai letta fino in fondo neanche dai cittadini tedeschi a cui veniva regalata in occasione delle nozze. Eppure – lungi da far paragoni scomposti – in quelle pagine, scritte tra il 1924 e il 1925, venivano anticipate l’operazione Barbarossa, la sottomissione dell’Europa centro-orientale e l’Olocausto. Similmente, l’opinione pubblica occidentale non comprese – e continua a non comprendere – le origini della guerra fredda perché ignora l’esistenza di testi come il Lungo telegramma di George Kennan e il NSC-68.
Oggi, nel 2022, il pianeta è dilaniato da quella che il pontefice regnante Francesco I ha ribattezzato la terza guerra mondiale a pezzi e l’opinione pubblica mondiale ne ignora le ragioni. Il Nato2030 andrebbe letto perché la posterità lo ricorderà come un testo profetico, al pari di altri manoscritti precursori di tutti quegli eventi scuoteranno questo decennio e che, probabilmente, condurranno ad un escalation dello scontro egemonico bi-dimensionale che l’Occidente ha avviato dapprima con la Russia, nel 2014, e poi con la Cina, nel 2017. Le conclusioni dei saggi assunti da Jens Stoltenberg, il segretario generale dell’Alleanza Atlantica, hanno assunto la forma di un documento di 67 pagine il cui titolo è “Uniti per una nuova era” e, sostanzialmente, invitano la comunità euroatlantica ad aumentare il livello di concertazione e interdipendenza e ad agire con maggiore fermezza nei confronti di Russia e Cina, considerate le principali minacce per la sicurezza dell’Occidente.
Il documento è audace nel modo in cui riscrive la storia recente e giustifica la sua ragion d’essere. Trattando della Russia, infatti, il capitolo inizia spiegando che “dopo la fine della guerra fredda, la Nato ha tentato di costruire un partenariato significativo con la Russia, basato sul dialogo e sulla cooperazione pratica in aree di comune interesse, ma le aggressioni della Russia contro Georgia e Ucraina, seguite dal suo rafforzamento militare e dalla sua attività assertiva nelle regioni di Baltico, mar Nero, Mediterraneo orientale e polo Nord, hanno condotto ad un drastico deterioramento della relazione e impattato negativamente sulla sicurezza dell’area euro-atlantica“.
Gli esperti assoldati Stoltenberg non fanno alcuna menzione all’espansionismo dell’Alleanza Atlantica nello spazio postsovietico – una violazione della celebre promessa di James Baker e Manfred Woerner a Mikhail Gorbaciov – al fatto che la guerra russo-georgiana fu l’esito di provocazioni da parte di Tbilisi e alla natura artificiale degli eventi che hanno riscritto il volto dell’Ucraina, caduta preda della rivoluzione colorata (di sangue) più violenta della storia post-guerra fredda.
C’è una potenza, però, che sta tormentando il sonno della comunità euroatlantica in maniera persino maggiore della Russia: la Cina. A Donald Trump, odiato in pubblico ed elogiato in privato, va il merito di aver dato il via allo scontro egemonico con la Cina, iniziato come una guerra commerciale e rapidamente degenerato in una vera e propria guerra fredda 2.0. Il problema, infatti, come hanno spiegato Mike Pompeo, Steve Bannon ed una sequela di politologi e diplomatici, sia repubblicani che democratici, è che la Cina rappresenta oggi quel che l’Unione Sovietica ha rappresentato nella seconda metà del Novecento: l’incubo del cosiddetto del mondo libero.
Curiosamente, ma non sorprendentemente, i grandi saggi che hanno sviluppato l’agenda Nato2030 sono arrivati alle stesse conclusioni della tanto criticata amministrazione Trump: “La scala del potere cinese e la sua estensione globale pongono delle sfide acute alle società democratiche e aperte perché quel Paese è diretto verso un sempre maggiore autoritarismo“. La violazione delle regole scritte e non-scritte della competizione e della concorrenza era ed è una scusa: il problema non sono i furti di proprietà intellettuale e/o l’uso strumentale delle svalutazioni strategiche, ma il fatto che la Cina voglia raggiungere uno stadio di sviluppo avanzato, cessando di essere la fabbrica a basso costo dell’Occidente e ambendo a diventare “leader globale dell’intelligenza artificiale entro il 2030 e superpotenza tecnologica entro il 2049“.
67 pagine e 136 punti per informare il pubblico specializzato di una verità che non può essere detta: si può essere amici e collaboratori dell’Occidente solo a patto di accettare di essergli subalterno, di non avere una propria agenda estera e di non avere piani per il riscatto economico e sociale dei propri popoli. L’impero celeste dovrà essere contenuto, come lo fu l’Unione Sovietica a suo tempo, e la Nato dovrà “dedicare molto più tempo, risorse politiche e azione alle sfide alla sicurezza poste dalla Cina“.
È la Cina, infatti, l’obiettivo primario dell’agenda Nato2030: è l’unica potenza realmente in grado di sfidare, e possibilmente vincere, l’ordine egemonico occidentale americano-centrico alla luce di una combinazione che non ha eguali al mondo – e non ha precedenti storici – di acume politico, potere economico, bacino umano, volontà di potenza e abilità strategiche. La guerra fredda del Ventunesimo secolo, del resto, è già iniziata: i cellulari della Huawei non vanno acquistati perché facilitano lo spionaggio, gli aiuti umanitari cinesi non possono essere accettati perché difettosi, gli accordi commerciali non vanno siglati perché celano truffe e ricatti, e gli Istituti Confucio vanno chiusi perché, dietro l’ombrello dell’insegnamento della lingua cinese, lavano il cervello agli studenti, trasformandoli in spie ed agenti inconsapevoli al servizio di Xi Jinping.
Qui, però, non si sta ignorando l’esistenza delle aspirazioni egemoniche cinesi, né si sta dipingendo la Cina in termini di egemonia benevola: ogni potenza è guidata da un solo interesse, il proprio, che promuove e difende con i mezzi ritenuti più consoni e appropriati. La Cina è criticabile per una moltitudine di aspetti, esattamente come ogni altra potenza. La terza guerra mondiale a pezzi è una realtà inconfutabile e non terminerà a breve: si protrarrà nel tempo, allargandosi ed aumentando di intensità, e l’opinione pubblica occidentale la accetterà, la supporterà e infine combatterà per essa, perché la sua visione del mondo circostante sarà supportata da una nuova narrazione bellica.