




Interviste
«È dal 1945 che l’Europa non era così vicina a una guerra». Lo scenario di Stefano Fantacone
Davide Arcidiacono
03 Novembre 2022
Gli strumenti di indagine politologica devono rendere conto in primis di quello che è accaduto nel passato ed è stato registrato nelle fonti. Questo primo punto spesso si traduce in uno studio particolarmente approfondito della cronachistica antica, alla ricerca di modalità d’azione o eventi che hanno portato a situazioni, per così dire, interessanti. In secondo luogo, il politologo deve essere pronto a formulare una sua teoria intorno al perché queste modalità d’azione o eventi si sono rivelati interessanti, quali forze sono state messe in ballo, quali strategie politiche hanno portato a quella situazione è in che modo queste conoscenze possono aiutare a prevedere l’ insorgenza di simili crisi nell’immediato futuro. In questo senso quelli che in America sono noti come policy studies producono spesso ricerche ibride, che spaziano dalla sociologia alla storia militare passando per la psicologia.
Il politologo quindi dovrebbe essere formato a fare previsioni a partire da dati di non facile lettura, spesso apertamente fuorvianti, e dovrebbe cercare, quando possibile, lo scoppio di altre situazioni di difficoltà. Questo porta spesso alla formulazione di concetti ed etichette che vanno a definire scenari anche complessi, nel tentativo di dare una forma al presente.
Un concetto spesso portato a prova inconfutabile del profilarsi inevitabile di una guerra devastante è quello della “Trappola di Tucidide”. Coniato dall’insigne politologo Graham Allison, il termine definisce quella situazione in cui una potenza egemone riconosce una potenza emergente come rivale, e ricorre irrimediabilmente alla guerra come strumento per rafforzare la sua posizione. L’idea che la guerra sia inevitabile quando si registrano tali condizioni è ispirata proprio allo storico greco, che l’ha proposta come causa principale della Guerra del Peloponneso. Nella sua sensibilità da storico, Tucidide aveva centrato un punto importante, forse senza avvedersene, più probabilmente senza approfondirlo perchè non lo riteneva importante: le cause di una guerra possono essere viste come complesse e composte da numerosi fattori economici e strategici, ma è l’agency dei singoli governi a portare al conflitto. Ed è proprio intorno all’agency del governo americano che si incentra il discorso di Allison. Secondo questi, l’azione impulsiva di decidere di scatenare una guerra verrebbe dettata dall’irrazionale paura dei vertici di Washington di essere sostituiti nella loro posizione di egemone globale da Pechino.
Nell’attuale situazione, sembra difficile poter immaginare una prospettiva più pericolosa o una preoccupazione più pressante. La tensione intorno a Taiwan, le strizzate d’occhio cinesi alla Russia di Putin, oramai conclamato nemico della Casa Bianca praticamente alla pari dell’Iran, l’ambizioso progetto cinese della Nuova Via della Seta sembrano poter essere ognuno la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Allo stesso tempo, sembra che le parti in causa non abbiano poi tutta questa voglia di scatenare un conflitto che, già dalle premesse, appare come un qualcosa di devastante. La reticenza a scatenare quella guerra finale che tanti percepiscono come imminente non è dettata soltanto da un certo senso di responsabilità. Se Berthold Brecht, in Madre Coraggio e i suoi figli ci ha insegnato che anche durante la guerra c’è chi fa ottimi affari, tendenzialmente la guerra è nemica di questi ultimi, specialmente in un contesto così fortemente interdipendente come il mercato globale.
Si può vedere come la prospettiva di una guerra tra le due potenze è ben più lontana di quanto sembra -a meno di improvvisi stravolgimenti. A ben leggere, e ad ascoltare il suo intervento al TED del 2018, è lo stesso Allison che pone l’accento su come la diplomazia internazionale può facilmente scongiurare il precipitare della situazione. In definitiva, la Trappola di Tucidide non sembra essere altro che un suggerimento, accorato e compendioso, che Allison propone al suo Paese: non permettere alla paura o ad altre valutazioni irrazionali di intraprendere la strada della guerra, non facciamo lo stesso errore che, a suo tempo, fecero gli Spartani. Anche perché, se è vero che con il trionfo di Egospotami i Lacedemoni riuscirono a vincere Atene dopo un’estenuante guerra, la città peloponnesiaca uscirà anch’essa distrutta dalla guerra.
Un dato di fatto incontrovertibile dell’epoca globalizzata è la capillare alfabetizzazione degli individui che la vivono. Mai come adesso la società sa leggere, e questo porta ad un evidente epoca di fioritura e di diversificazione nei gusti letterari dei lettori per diletto. La maggior parte di questi lettori conferisce alla lettura lo status di attività ricreativa in toto, di passatempo e si lascia cullare dalle intricate trame di romanzi e saggi divulgativi. Esiste tuttavia una nutrita minoranza di individui che pensa alla lettura anche come una finestra sul mondo, un modo per approfondire le notizie di attualità. Tali individui frequentano senza timore sfide più ostiche, quali la lettura di testi specialistici di varie materie, in modo da potersi istruire su ciò che accade nel mondo e, in definitiva, poter rispondere alla domanda: “Perchè accade questo?”.
Nell’ideale libreria di un individuo appartenente a tale gruppo, non può assolutamente mancare una sezione dedicata alle scienze politiche, attraverso cui i politologi più eminenti vengono interpellati circa lo stato attuale delle cose. Probabilmente è questa la destinazione che ha in mente chi definisce un saggio come “divulgativo”.
A fare da padrone nei dibattiti e nelle sensazioni delle masse occidentali è un senso di angoscia diffuso, relativo alla guerra in corso, ai trascorsi della pandemia, ma soprattutto legato a doppio filo alla percepita imminenza di una guerra tra America e Cina. Cavalcando quest’angoscia, diversi giornali (ma anche diversi creator di nuovi media) sfornano con industriale prolificità editoriali e approfondimenti su questo e quell’aspetto, costruendo spesso impalcature concettuali che, fortunatamente, nella maggior parte dei casi non reggono alla prova dei fatti.
Leggere, o sentir parlare un politologo americano che ha teorizzato l’inevitabilità della guerra aperta tra le due super potenze può decisamente fare un certo effetto. Quando poi, nella sua libreria ideale, una persona pescherà effettivamente il libro di Allison e ci troverà scritto, in maniera chiara e netta, che non esiste alcuna ragione, allo stato attuale delle cose, perché questa guerra debba scoppiare, e che proprio per questo gli americani non devono dichiarare guerra alla Cina, magari questa persona tirerà un sospiro di sollievo. E si disiscriverà dal canale YouTube che lo aveva convinto del contrario.