La tecnologia, nell’arena politica, è la continuazione della guerra con altri mezzi. E il suo utilizzo, ai fini di sconfiggere un nemico politico o ancora, di rovesciare lo status quo, rischia di diventare una delle armi più potenti di sempre in mano agli esseri umani. Ad unire tre dei grandi pensatori del nostro tempo – lo storico israeliano Yuval Noah Harari, il filosofo sudcoreano naturalizzato tedesco Byung-chul Han e lo scrittore francese Michel Houellebecq – è proprio la capacità di mettere in guardia le nuove generazioni riguardo la mutazione cognitiva in corso, che è strettamente legata al complesso rapporto tra informazione, potere burocratizzato e progresso tecnologico. In questo modo esse vengono invitate a proteggere l’intelligenza, nonché l’esperienza umana – intrisa di dolore, sangue, merda, amore, connessioni, senso di appartenenza, ricerca di spiritualità e libertà di pensiero – di fronte alla violenza simbolica dei dispositivi di sorveglianza. Dai social media agli smartphone: dispositivi contenenti dati che, se finiscono nelle mani sbagliate, risultano compromettenti perché cancellano prima di tutto le sfumature e le complessità della vita.
Macchine che diventano macchinazioni, appunto. Con la “persecuzione tecnologica” ad uso e consumo giornalistico-giudiziario, se si tratta di colpire soggetti istituzionali o intere classi dirigenti, attraverso chat, forum privati o ancora e-mail e registrazioni vocali appartenenti al passato o al presente. Di questo passo infatti il processo di automazione in alcuni settori, dagli avvocati agli autisti, dai medici ai magazzinieri, andrà a colpire persino la politica. E non per ragioni di produttività, bensì per sfiducia della gente comune o delle grandi personalità della società civile nello scegliere la politica come professione. Con il rischio che la pervasività tecnologica nella vita privata, all’improvviso, possa trasformarsi in un incubo di dominio pubblico dettato dai tempi della strumentalizzazione.
Delle due, l’una. O le classi dirigenti di domani saranno donne o uomini-macchina senza storia, senza passato, senza connessioni, senza identità, senza sessualità; oppure, nella società trasparente, i partiti politici si trasformeranno in vere e proprie società segrete per sfuggire alla società della sorveglianza (che Houellebecq invece definisce “neopuritana, igienista ed esangue”) e che, nelle parole di Shoshana Zuboff, prospera a spese della natura umana minacciando di distruggerla, esattamente come la società industriale ha prosperato a spese della natura e ora minaccia di distruggere la terra. Per ottenere dunque una segretezza che sia degna di questo nome, i membri si preoccuperanno attivamente di proteggere tutto ciò riguarda la società stessa, anche a costo di inventare nuovi codici cifrati, crittografati, linguistici o alfabetici per comunicare. Del resto, come scriveva il filosofo tedesco Georg Simmel: “L’interazione umana è condizionata dalla capacità di parlare, ma modellata dalla capacità di tacere”. Se è vero che l’informazione è potere, è ancor più vero, in un’epoca digitale e infocratica, che il silenzio resta la più avanzata e alta forma di comunicazione per la conquista del potere. In altre parole, se l’utilizzatore finale delle meraviglie odierne ha la capacità di fare cose straordinarie, specie se paragonate con quelle di appena una quindicina di anni fa, di quanto sono mutate le possibilità del potere centralizzato? Questa soggiaciente paranoia è il vero motore dietro la volontà di formare entità nascoste dal visibile. Il cui scopo ultimo non è sovvertire o cospirare, ma semplicemente quello di proteggere i suoi membri. E magari, in tal senso, arrivando a concepire un linguaggio nuovo, riferimenti unici e di valore solo per pochi, al riparo dalla macchina dell’uniformazione. Tanto mostruosa, quanto efficiente.