Di Paul Rowan Brian, The Federalist, traduzione di Federico Nicola Pecchini
Le nuove tecnologie non stanno solo sfuggendo al nostro controllo, ma vengono anzi utilizzate proprio come strumento di controllo. Questo, in sintesi, è il messaggio del nuovo libro di Shoshana Zuboff “Il capitalismo della sorveglianza. Il futuro dell’umanità nell’era dei nuovi poteri”, dove la professoressa emerita e business analyst di Harvard sostiene che Big Tech sia determinata a mercificare, controllare e cooptare ogni esperienza umana per trasformarla in dato comportamentale grezzo da utilizzare per accrescere ancora di più i propri profitti ed il proprio potere. In altre parole, Zuboff sostiene che il capitalismo di sorveglianza consista nel monitorare, analizzare e modificare costantemente il comportamento umano per il profitto dei giganti della tecnologia, che investono in quelli che lei definisce “mercati comportamentali futures” dove il sapere in anticipo cosa faranno le persone domani o l’anno prossimo diventa un’informazione di enorme valore per chi vuole vendergli un prodotto o un servizio.
Il capitalismo di sorveglianza elabora il comportamento umano monitorando, misurando ed analizzando ogni cosa dal tuo smartphone alla tua smart home, dalla navigazione Internet ai messaggi privati, fino alle e-mail coi colleghi. Questa nuova e pervasiva forza si intromette attraverso i cookie e le autorizzazioni per la privacy che, nella maggior parte dei casi, devono essere accettate per poter accedere al servizio o perché esso funzioni correttamente, come nel caso di molti sistemi di sicurezza domotici di ultima generazione.
Zuboff distingue fin dall’inizio il capitalismo di sorveglianza dal capitalismo dell’informazione. Mentre il capitalismo dell’informazione si arricchisce attraverso le informazioni che tu stesso gli fornisci, il capitalismo di sorveglianza si maschera dietro ad accordi intimidatori sui termini di servizio e in realtà manipola il tuo comportamento in vari modi affinché tu faccia ciò che esso vuole, perpetuando un ciclo di feedback di controllo predatorio e spionaggio emotivo attraverso meccanismi sofisticati di apprendimento automatico e programmazione algoritmica. “Si stima che il giro d’affari globale per i prodotti e i servizi di intelligenza artificiale aumenterà di ben 56 volte, da 644 milioni di dollari nel 2016 a 36 miliardi di dollari nel 2025”, osserva Zuboff, e sarebbe quindi ora di dare a questo tema lo spazio che merita all’interno del dibattito pubblico.
Un nuovo ordine economico
Secondo Zuboff, il capitalismo di sorveglianza è “un nuovo ordine economico che rivendica l’esperienza umana come materia prima gratuita” e “una logica economica parassitaria in cui la produzione di beni e servizi diventa subordinata ad una nuova architettura globale di modificazione comportamentale”. Zuboff sostiene che il problema principale del capitalismo di sorveglianza è che ci rende meri oggetti le cui esperienze di vita in ogni più intimo dettaglio devono essere analizzate e previste a beneficio – effettivo o potenziale – di qualcun’altro. Come scrive Zuboff, “l’essenza di questo tipo di sfruttamento è la rappresentazione delle nostre vite come un aggregato di dati comportamentali, in modo da permettere un migliore controllo di noi da parte degli altri”. Sebbene Zuboff sostenga nel libro che la tecnologia e le sue scoperte non sarebbero di per sé malvagie qualora i dati non venissero condivisi ed utilizzati in modo inappropriato, afferma anche che i capitalisti della sorveglianza vedono sostanzialmente nella tecnologia stessa una sorta di giustificazione per il suo utilizzo manipolatorio su una popolazione largamente inconsapevole ed ubbidiente. Nonostante tutta la sofisticazione futuristica dell’odierna tecnologia digitale, il messaggio delle aziende del capitalismo di sorveglianza differisce appena da quanto enunciato nel motto trionfalistico della Fiera mondiale di Chicago del 1933: “La Scienza Scopre – L’Industria Applica – L’Uomo si Conforma”, scrive Zuboff.
Zuboff sostiene provocatoriamente che proprio come il capitalismo industriale ha devastato l’ambiente nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, il capitalismo di sorveglianza minaccia ora direttamente la natura e le relazioni umane, trasformandoci in inermi insetti che possono esser condotti senza fatica dove le aziende (o i governi) desiderano portarci. L’obiettivo del capitalismo di sorveglianza, per Zuboff, è di imporre all’umanità un nuovo ordine collettivista fondato sull’efficienza dei sistemi di intelligenza artificiale, togliendo progressivamente alle persone i diritti, le libertà e persino il pensiero cosciente, limitando intorno a noi l’architettura di scelta e vincolandoci concettualmente entro canali sempre più strettamente controllati di mentalità, decisione ed azione.
Mentre cercano su Google o pubblicano su Facebook, le persone non si rendono conto di essere esse stesse cercate e catalogate, non solo per i loro interessi, emozioni e convinzioni, ma anche per tutti quei dati appena percettibili ma estremamente preziosi che sono riuniti in inglese sotto il termine “data exhaust”, come ad esempio le esitazioni nel cliccare, i modi di formulare le domande, i tempi di ricerca, i modelli predittivi delle emozioni, i modi di reagire ai contenuti e molto, molto altro ancora: tutte informazioni queste che consentono agli inserzionisti di schedare le persone con altissimi livelli di precisione e permettono poi ai comportamentisti di isolare psicometricamente il “tipo” di ciascun individuo per predirre le sue potenziali reazioni a determinate situazioni o prodotti con livelli di accuratezza incredibilmente elevati.
Il fondatore della rivista Wired, Kevin Kelly, ha detto in un’occasione che, sebbene Google sia in apparenza impegnata a sviluppare un sistema di intelligenza artificiale per migliorare il proprio motore di ricerca, è più probabile invece che Google utilizzi il motore di ricerca come mezzo per formare ed evolvere continuamente il proprio sistema di intelligenza artificiale. Questa è l’essenza del progetto di apprendimento automatico (o machine learning). In definitiva, l’intelligenza delle macchine dipende dalla quantità di dati che gli vengono forniti.
Shoshana Zuboff
“Tirannia Sanificata”
Zuboff afferma fin dall’inizio di non essersi concentrata solo su una società, ma piuttosto sul fenomeno complessivo nella sua “realtà di mercato”. Ciononostante, il libro è in gran parte incentrato su Google, che lei ritiene abbia inaugurato il capitalismo di sorveglianza nei primi anni 2000, e sui tentativi a ruota di Facebook, Amazon, Verizon ed altre società di diventare la nuova Google acquisendo sempre più dati su sempre più persone per venderli ad un prezzo sempre più alto in un ciclo di “tirannia sanificata e temperata” che fa sembrare il capitalismo di Smith e Hayek come una pappa per bambini. Perlomeno, sostiene Zuboff, Hayek e Smith esaltavano un sistema in cui i lavoratori guadagnavano abbastanza da poter alimentare un’economia di consumo intorno ai prodotti che essi stessi producevano. Zuboff fa una distinzione tra il totalitarismo, col suo desiderio di possedere e trasformare l’umanità in un’unità collettivistica intrisa di ideologia statale, e lo “strumentarismo” del capitalismo di sorveglianza, che lei descrive come una determinazione a raggiungere la certezza totale e il potere predittivo sugli affari umani dal punto di vista di uno sfruttamento economico basato sull’indifferenza morale ed ideologica. Mentre il totalitarismo trae il suo potere dall’“amministrazione gerarchica del terrore”, lo strumentarismo trae la sua forza dal “possedimento dei mezzi di modifica comportamentale”. Il sistema del capitalismo di sorveglianza è “radicalmente indifferente” al nostro destino o al nostro benessere. Secondo Zuboff, esso è amorale e manca di una posizione ideologica a parte un crudo appetito per i dati ed il controllo, anche se questo sembrerebbe contraddire la sua tesi secondo cui il capitalismo di sorveglianza vuole venderci dei prodotti e dei servizi. (Le persone morte di solito non acquistano prodotti o servizi, e in genere un sistema smette di generare profitti se, ad esempio, cessa di essere basato sul mercato).
L’intero libro ruota intorno a una domanda che il direttore di uno stabilimento aveva posto a Zuboff qualche anno fa:
Lavoreremo tutti per una macchina intelligente o avremo delle persone intelligenti che lavorano intorno ad una macchina?
Attraverso la scoperta dei surplus comportamentali (il comportamento degli utenti in termini di velocità di clic, modelli, tendenze emotive e altri dati strettamente correlati tra loro) Google ha ottenuto un enorme vantaggio, che Zuboff chiama “risorse di sorveglianza”. Questo patrimonio di informazioni acquisito da Google per analizzare il comportamento, il pensiero e gli schemi di azione “diventa la materia prima fondamentale per il perseguimento di un profitto da sorveglianza” che viene poi tradotto in un “capitale di sorveglianza” come parte di una “economia di sorveglianza” che è nata sull’onda di un “eccezionalismo della sorveglianza” nel mondo post-11 settembre. Se hai la sensazione che a Zuboff piaccia usare la parola “sorveglianza”, non ti sbagli.
Vita reale Vs. Internet
Secondo Zuboff, coloro che si preoccupano del fatto che le persone stiano incollate ai loro smartphone o sedute a casa tutto il giorno non colgono il disegno complessivo. Il futuro immaginato dai nostri signori della tecnologia è quello in cui, essenzialmente, la vita reale è Internet.
L’obiettivo finale è una sintesi grandiosa: la raccolta e fusione di ogni sorta di dato catturato da appositi sensori su ogni canale e dispositivo, per sviluppare un ‘ambiente di sensori virtuali’ in cui ‘i crawler attraverseranno costantemente i dati … calcolando il loro stato e stimando altri parametri derivati dai dati stessi’ che saranno raccolti un po’ dovunque, dagli interni degli uffici ad intere città.
Shoshana Zuboff
Big Tech è molto più avanti in termini di sofisticatezza della raccolta dati di quanto possa rendersi conto la maggior parte della gente, non solo per gli strani modi in cui esso riesce a ficcare il naso nella nostra corrispondenza privata e nei nostri quotidiani processi decisionali, ma anche per il modo in cui utilizza tali informazioni nell’ambito di quel business estremamente redditizio che è la pubblicità predittiva e in generale per promuovere la sua visione onnicomprensiva di un futuro “smart” e “connesso”. Ciò che alcuni film di fantascienza hanno provato a mostrarci, ma molti si ostinano ancora a non voler capire, è che il futuro di cui stiamo parlando va ben oltre Internet o i robot domestici.
Come disse l’ex presidente esecutivo di Google Eric Schmidt a Davos nel 2015,
Internet scomparirà. Ci saranno così tanti indirizzi IP … così tanti dispositivi, sensori, cose che indossi, cose con cui stai interagendo, che non lo percepirai nemmeno. Farà parte della tua esistenza in ogni momento. Immagina di entrare in una stanza e la stanza è dinamica.
Eric Schmidt
Sebbene i giornali abbiano frainteso l’affermazione di Schmidt, ciò che stava dicendo era molto profondo e si basava sulle idee dell’informatico Mark Weiser, che in un influente documento del 1991 aveva scritto che “le tecnologie più radicali sono quelle che scompaiono. Si intrecciano nel tessuto della vita quotidiana fino a rendersi indistinguibili da essa.” Egli descriveva un nuovo modo di pensare “che consenta ai computer stessi di svanire sullo sfondo … Nuove macchine che si adattano all’ambiente umano invece di costringere gli umani ad entrare nel loro renderanno l’uso di un computer rinfrescante come una passeggiata nel bosco”.
In altre parole, come possiamo già vedere con le “città intelligenti”, il potere immagina un futuro di totale integrazione ed interattività, con informazioni che fluiscono in ogni momento e tutti collegati alla rete.
I capitalisti della sorveglianza hanno capito che la loro ricchezza futura dipenderà da questi nuovi canali di approvvigionamento che si estendono alla vita reale sulle strade, tra gli alberi, in ogni parte della città. Vogliono raggiungere il tuo flusso sanguigno e il tuo letto, la tua conversazione di prima mattina, il tuoi spostamenti quotidiani, la tua corsetta, il tuo frigorifero, il tuo garage, il tuo soggiorno.
Shoshana Zuboff
Colonialismo digitale
Più avanti, Zuboff paragona il capitalismo di sorveglianza all’abuso di potere coloniale, scrivendo che “questi invasori del ventunesimo secolo non chiedono il permesso; vanno avanti, facendo terra bruciata con pratiche di falsa legittimazione”:
Invece di cinici editti monarchici, offrono cinici accordi sui termini di servizio le cui clausole sono altrettanto oscure ed incomprensibili. Costruiscono le loro fortificazioni, difendendo ferocemente i territori rivendicati, mentre raccolgono le forze per la prossima incursione. Infine, erigono le loro città all’interno di intricati ecosistemi di commercio, politica e cultura dove viene proclamata la legittimità e l’inevitabilità di tutto ciò che hanno appena realizzato.
Shoshana Zuboff
E noi, proprio come gli indigeni sulle spiagge del Sud America quando arrivarono per la prima volta gli spagnoli, non siamo tanto sopraffatti dalla loro forza quanto dall’impatto di qualcosa che non ha precedenti:
Il nostro caso non è semplicemente quello di cadere in un agguato o di essere sopraffatti da una maggior potenza di fuoco. Siamo stati colti alla sprovvista perché non potevamo immaginare questo tipo di invasione ed espropriazione, non più di quanto il primo, ignaro cacicco Taíno potesse prevedere i fiumi di sangue che sarebbero scaturiti dal suo inaugurale gesto di ospitalità verso quegli uomini pelosi, sudati e mugugnanti, quegli adelantados che apparirono dal nulla sventolando lo stendardo dei monarchi spagnoli e del loro papa mentre arrancavano lungo la spiaggia.
Shoshana Zuboff
Il sottile confine tra interessi commerciali e politici
Quindi, riassumendo: dovresti leggere questo libro? Sì. Questo libro ha dei difetti? Sì. Uno dei difetti di questo libro è che si focalizza principalmente sull’intersezione tra tecnologia e commercio. Sebbene Zuboff accenni alla Cina in un sottocapitolo intitolato “La Sindrome Cinese”, il libro perlopiù evita di toccare l’argomento. La Cina sta implementando una rete incredibilmente sofisticata di sorveglianza e controllo con sistema integrato di punizioni e premi per i suoi cittadini, e merita sicuramente una discussione approfondita a parte in quanto il promotore di tale progetto è lo stesso stato cinese, invece che un gruppo di imprese private. Come osserva Zuboff, “il sistema tiene traccia dei comportamenti ‘buoni’ e ‘cattivi’ per una serie di attività finanziarie e sociali, assegnando automaticamente punizioni e ricompense per indirizzare in modo decisivo il comportamento” verso modelli ritenuti virtuosi nella vita economica, sociale e politica.
Il sistema cinese è tanto più rilevante vista la decisione di Google di tornare in Cina accettando di censurare il proprio servizio Dragonfly. Google ha anche annunciato che aprirà proprio in Cina un centro di ricerca sull’intelligenza artificiale, in quanto l’assenza di leggi sulla privacy darà loro massima libertà per sperimentare a piacimento. Le rivelazioni riguardo alla decisione di Google sul caso Dragonfly sono trapelate da un dipendente che ha detto: “Sono contrario a che grandi aziende e governi collaborino nell’oppressione della propria gente.” Zuboff scrive che “Nel contesto cinese, lo stato controllerà e gestirà l’intera faccenda, non come un progetto di mercato ma come un progetto politico, una soluzione meccanica per plasmare una nuova società di comportamenti automatizzati al fine di garantire determinati risultati politici e sociali: la sicurezza senza il terrore.”
È difficile capire cosa intenda Zuboff con l’espressione “senza il terrore”, considerato che ad oggi la Cina gestisce diversi campi di concentramento e centri di rieducazione dove vengono utilizzate tecniche di tortura e lavaggio del cervello su circa 1 milione di musulmani cinesi uiguri internati a causa della loro etnia e fede. Certo, “Il Capitalismo della Sorveglianza” si concentra soprattutto sugli Stati Uniti e sulla nascita del dominio privato-corporativo delle informazioni, ma Zuboff parla del mondo nel suo insieme e della tendenza in atto verso la creazione di una rete di controllo globale, il che renderebbe necessaria una maggior considerazione del caso cinese dove a dominare non è tanto il potere corporativo quanto l’ideologia e la repressione statale (In Cina, ad esempio, le aziende ottengono l’esenzione dalle tasse se accettano di essere gestite dallo stato). Sarebbe interessante se Zuboff scrivesse un seguito del libro in cui affrontasse in modo più completo la possibilità che i regimi autoritari di sorveglianza utilizzino le nuove tecnologie per controllare ed opprimere la loro popolazione, incluso, potenzialmente, un futuro governo degli Stati Uniti. Siamo onesti: l’Unione Sovietica avrebbe pagato tutto ciò che aveva per poter usufruire del tipo di tecnologia che Zuboff sta descrivendo, e la Bielorussia, la Corea del Nord e numerosi altri paesi stanno già facendo del loro meglio per far sembrare Stalin e Co. dei dilettanti della sorveglianza.
Il quasi-esonero da parte di Zuboff della fusione cinese tra sorveglianza e potere statale solo perché “non è una democrazia” ci appare, francamente, miope e un po’ elitario, sebbene lei sia pronta a riconoscere che “forse l’elemento più scioccante di tutta la questione non sia tanto l’agenda del governo cinese, quanto le similitudini col percorso che la stessa tecnologia sta intraprendendo altrove”. Inoltre, dal momento che Zuboff ammette che l’11 settembre ha notevolmente facilitato l’ascesa del capitalismo di sorveglianza e che “le istituzioni statali e quelle di mercato dimostrano un impegno condiviso nello spianare la strada verso risultati prestabiliti”, perché poi nel libro si concentra solo sugli interessi commerciali, quando invece gli interessi governativi al controllo, al dominio militare e alla sorveglianza costituiscono di fatto una spiegazione logica e motivazionale ancora più convincente per spiegare l’impiego di queste diavolerie tecnologiche?
Più suggerimenti, meno retorica
Opporsi al capitalismo di sorveglianza non è facile e il libro di Zuboff fa un ottimo lavoro nel mostrare a tutti il potere pervasivo dei nostri nuovi e non tanto benevoli padroni. Il libro manca tuttavia quasi completamente di consigli, e se cerchi indicazioni su come fermare il tracciamento dei cookie o limitare il modo in cui il tuo smartphone ti spia, guarda altrove. Nonostante riconosca che le normali restrizioni e normative servano a poco e saranno facilmente aggirate da Big Tech, delineando così una visione terrificante di futuro distopico, Zuboff accenna solo vagamente alla possibilità che una vera “democrazia” partecipativa o un’istanza collettiva che rivendichi il diritto di “costruire un futuro a misura d’uomo” possano davvero opporre resistenza all’invasione di questa matrix totalitaria. Tra le altre cose, spende anche alcuni apprezzamenti per il Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati dell’UE entrato in vigore nel maggio 2018. Nonostante tutti gli elogi che quest’opera ha ricevuto sui media mainstream, va detto che l’autrice si ripete spesso e che il libro non soddisfa lo scopo enunciato nel titolo di dirci qualcosa sulla battaglia per un futuro umano contro il capitalismo di sorveglianza. Invece, il libro parla fino alla nausea del problema stesso, finendo ironicamente per rafforzare proprio quel senso di “inevitabilità” riguardo al progresso strisciante della tecnologia che Zuboff si proponeva di denunciare.
Sebbene sia chiaro che Zuboff desideri enfatizzare alcune questioni, ci sono diversi casi in cui delle spiegazioni o riflessioni alquanto prolisse ripetono molto semplicemente ciò che era già stato detto, in dettaglio, almeno cinque volte nei capitoli precedenti. Anche se questo potrebbe non essere un problema per dei ricercatori, accademici o intellettuali, rappresenta però un potenziale ostacolo per quei lettori interessati a capire qual’è il vero problema con questa tecnologia fuori controllo. Costoro rischiano invece di rimanere invischiati nei lunghi e ripetitivi trattati della Zuboff, pieni di distinzioni filosofiche e teorie economiche. Un’altra cosa di cui questo libro potrebbe fare volentieri a meno è un po’ di linguaggio enfatico e di retorica.
“È l’unica idea ad emergere dalla lunga storia di oppressione umana che insista sul diritto inalienabile di un popolo a governare sé stesso. La democrazia può essere sotto assedio, ma non possiamo permettere che le sue numerose ferite ci sviino dalla fedeltà alla sua promessa”, scrive Zuboff, lanciandosi in una filippica in stile Corey Booker. Se uno dovesse inventarsi un gioco alcolico per ogni volta che Zuboff usa parole come “rispetto”, “democrazia” e “valori”, ne uscirebbe più ubriaco di Boris Eltsin dalla sua dacia nel fine settimana. E, francamente, bisognerebbe essere davvero ubriachi per non essere di tanto in tanto infastiditi dalla prosa eccessivamente prolissa della Zuboff o dalle esortazioni vaghe in stile baby-boomer ai “giovani” di “resistere” a Big Tech in qualche modo, ad esempio indossando bandane anti-sorveglianza o sostenendo progetti universitari che mirano ad inibire le tecnologie di riconoscimento facciale attraverso l’utilizzo di maschere per il viso o dreadlock stilizzati (non sto scherzando). È perfettamente chiaro a tutti che quello che Zuboff sta dicendo è molto serio. Allora perché ribadirlo cento volte utilizzando il linguaggio fiorito di quella disdicevole varietà di neoliberismo che fa rabbrividire nell’animo la gran parte delle persone oneste? Perché parlare della caduta del muro di Berlino in un passaggio emotivo di tentato parallelismo storico invece che suggerire modi reali per contrastare il capitalismo di sorveglianza?
Revoca del consenso
Un altro inconveniente è che, mentre cita filosofi conosciuti e rispettabili come Hannah Arendt ed Emile Durkheim, Zuboff si tira però indietro dall’affrontare i temi davvero scomodi e controversi come quello delle reazioni violente al dominio tecnologico. Un tale tipo di violenza, impersonata da figure come il terrorista americano Ted Kaczysnki (Unabomber) e oggi di nuovo in auge tra le frange estremiste di sinistra e di destra sotto forma di eco-militanza o di risposte aggressivamente nichiliste al progresso tecnologico, non è affatto da sottovalutare. Non stiamo dicendo che Zuboff debba mettersi a ipotizzare scenari fantasiosi in cui bande itineranti di ribelli verdi tentano di rovesciare la possente struttura tecnologica del capitalismo di sorveglianza (“Per il Green New Deal e Greta Thunberg!” gridano gli insorti, lanciando bombe molotov), ma forse il suo libro sarebbe più incisivo se provasse ad affrontare la disperazione violenta in cui molti si rifugiano a fronte dell’insopportabile oppressione combinata di controllo tecnologico, cambiamenti climatici e senso di disagio post-industriale. Un’altra tematica scomoda e politicamente scottante che Zuboff si guarda bene dal toccare è il fatto che Big Tech sia esplicitamente liberale e agisca punitivamente nei confronti dei gruppi conservatori e delle persone religiose, in particolare i cristiani. Questo contrasterebbe con la sua tesi secondo cui a Big Tech fondamentalmente non importa ciò che pensi fintantoché sa tutto di te e può vendere le tue informazioni al miglior offerente. Presumibilmente, questo è dovuto al fatto che la stessa Zuboff ha spiccate simpatie liberali – a un certo punto del libro, ad esempio, si esprime a sostegno all’aborto – e in generale sostiene una difesa tipicamente liberale dell’individualismo e della libertà assoluta.
Affrontare la questione dell’anomia della vita moderna in quest’epoca “condannata” sarebbe fondamentale per capire come sia stato possibile che un piccolo gruppo di maghi della tecnologia abbia acquisito tanto potere da arrivare di fatto a gestire le nostre vite (sempre che Zuboff abbia ragione quando dice che il controllo e la manipolazione non sono inerenti al progresso tecnologico di per sé stesso). Ad essere onesti, lei riconosce che “Le conseguenze di questa nuova logica di accumulazione si sono già diffuse e continuano a diffondersi ben oltre le pratiche commerciali fin nel tessuto stesso delle nostre relazioni sociali, trasformando il rapporto che abbiamo con noi stessi e con gli altri”.
In conclusione, il contenuto del libro è profondo e interessante, ma viene penalizzato da uno stile sovrabbondante, prolisso e anche un po’ ipocrita oltre che da un abuso di termini in corsivo come questo per esprimere verbosamente una serie di concetti che si sarebbero potuti formulare in modo molto più semplice e succinto.Quindi diciamolo in parole povere: Big Tech è fuori controllo e ha troppo controllo su di noi e sulle nostre vite. Abbiamo bisogno di elaborare una nuova legislazione concertata e di revocare in massa il nostro consenso per invertire al più presto la tendenza in atto e iniziare a produrre un cambiamento. Lasceremo che un altro autore – o forse la stessa Zuboff in futuro – ci suggerisca quali sono le strategie politiche più adatte per riguadagnare l’autonomia dalle macchine.