OGGETTO: Walther Rathenau ed il sogno di un'economia nuova
DATA: 23 Aprile 2020
SEZIONE: Economia
Un pensatore fondamentale per comprendere l'Europa del primo Novecento.
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Grande imprenditore, banchiere ma anche artista e filosofo, scrittore e uomo politico, Walther Rathenau fu un uomo incredibilmente versatile che amava definirsi “un dilettante in 16 campi di attività diverse, e un dirigente di impresa nel tempo libero”. Nato nel 1867 a Berlino da una ricca famiglia di industriali, il padre Emil fu il fondatore della Allgemeine Elektrizitäts-Gesellschaft (AEG) una delle più importanti aziende tedesche, si dedicò dapprima agli studi in Ingegneria per poi assumere il controllo nel 1893 di una società in orbita AEG di cui diventa consigliere di amministrazione nel 1899 diventando un industriale di punta nell’ultimo periodo dell’Impero tedesco.

Allo scoppio della guerra nel 1914, pur non nutrendo illusioni sulla possibilità di vittoria, prese in mano la gestione dell’economia nazionale in virtù dei suoi ottimi rapporti con l’Imperatore. È in questi anni che la visione economica di Rathenau prende forma. A causa della difficoltà di reperire materie prime fondamentali per gli armamenti e nel distribuire in modo razionale gli scarsi beni disponibili Rathenau introduce una rigorosa pianificazione in tutti i settori vitali dell’economia nazionale. Pur non intaccando la proprietà privata pone lo Stato al centro delle dinamiche economiche che a suo avviso non possono più essere regolate dal mercato.

Giudicando catastrofica la domanda di armistizio invocò la resistenza ad oltranza e dopo la firma del trattato di Versailles fu escluso dal nuovo governo. Nel 1921 torna protagonista della scena politica diventando Ministro della Ricostruzione nella Repubblica di Weimar e nel 1922 viene nominato Ministro degli Esteri. Proprio questa carica gli permise di concludere l’accordo di Rapallo con la Russia per la ripresa delle relazioni economiche e diplomatiche tra i due paesi. Pur essendo molto scettico sulle scelte economiche sovietiche Rathenau attirò su di sé l’odio delle nascenti organizzazioni di estrema destra che lo accusarono, essendo di religione ebraica, di essere a capo di un complotto “giudaico-comunista”. Il 24 giugno 1922 fu assassinato proprio da appartenenti alle milizie volontarie irregolari, le tristemente famose FreiKorps.

La bara di Rathenau al di fuori del Reichstag, in occasione dei suoi funerali

Il capitalismo come sistema “condannato”

Il lascito di Rathenau però non risiede nel campo degli affari, dove si dimostrò valido ma non straordinario e nemmeno nella politica, visto che ricoprì incarichi governativi per meno di un anno, bensì nei suoi scritti. Colpisce la lungimiranza nella sua critica al capitalismo di inizio novecento, e il suo brillante tentativo di riformare la nascente società capitalista senza abbracciare del tutto il socialismo reale, un’analisi che merita di essere quantomeno riletta con interesse alla luce degli attuali scenari economici.

Rathenau considerava la Prima Guerra Mondiale come la “più grande catastrofe economica mondiale della storia” e che ci si sarebbe potuti sollevare solo attraverso un processo di riorganizzazione generale della società produttiva auspicando la creazione di “unioni industriali” e di “unioni di industrie singole” che avrebbero dovuto raggruppare tutte le aziende della stessa specie. Tali unioni sarebbero state riconosciute e sorvegliate dallo Stato con diritti molto estesi nei loro confronti. Le contraddizioni tra le visioni non convenzionali di Rathenau e i suoi trionfi imprenditoriali scatenarono i critici che gli rimproveravano la facilità di predicare la nazionalizzazione delle industrie, la limitazione della proprietà privata ed una forte imposizione fiscale godendosi allo stesso tempo una enorme ricchezza.

Un’altra ragione per cui i lavori di Rathenau vennero poco capiti se non avversati fu l’ermeticità dei suoi scritti, egli amava infatti fare lunghe disquisizioni sociologiche e psicologiche che spesso finivano per appesantire in maniera eccessiva le sue interessanti proposte economiche. Questo spiega perché Rathenau è stato apprezzato più per i suoi lavori nel biennio 1918-1920 che per tutta la sua produzione precedente. In questo periodo riprese concetti già elaborati in passato, applicandoli alla realtà della ricostruzione tedesca del primo dopo guerra, mirando a correggere quelle che Rathenau considerava le debolezze del sistema capitalista. Nella sua opera “L’economia Nuova” pubblicata nel 1919 l’autore afferma che le società industriali dell’epoca mancavano totalmente di valori spirituali e culturali. Lo scopo delle sue opere era quello di donare un significato spirituale alle masse di lavoratori che si affollavano nelle officine, nelle miniere e nelle fattorie, che avrebbe dato un senso alla loro attività produttiva. In questa ricerca di spiritualità Rathenau si differenziava dal socialismo, che considerava grossolanamente materialista esattamente come la controparte capitalista.

Quando si considerano gli schemi di Rathenau per la pianificazione economica, è necessario apprezzare la sua visione sulle circostanze, che nella sua opinione, rendevano le riforme essenziali. Egli credeva che la crescita della popolazione mondiale avvenuta nel diciannovesimo secolo avrebbe portato senza dubbio ad una rivoluzione in termini di mezzi di produzione. Solo un sistema industriale composto da manager competenti e lavoratori disciplinati avrebbe potuto raggiungere i livelli di produzione richiesti dalle nuove esigenze di domanda. Ma a Rathenau non sfuggiva che questo sistema se da un lato avrebbe avuto successo nell’espandere la produzione, dall’altro avrebbe comportato inconvenienti significativi che richiedevano grande attenzione.  In un mondo in cui la feroce competizione industriale aveva completamente soppiantato la cooperazione di buon vicinato tipica del mondo agricolo, il lavoratore “moderno” non poteva esprimersi come individuo, ma solo come membro di un gruppo, che fosse lo Stato, la Chiesa o un sindacato. 

L’operaio che faceva un lavoro ripetitivo su una macchina, responsabile solo di una frazione del prodotto finito, non poteva usare la sua capacità creatività come prima di lui facevano gli artigiani che traevano la loro soddisfazione nel dare vita ad un bene.  La manodopera industriale veniva quindi spinta a lavorare esclusivamente per la paura della disoccupazione, senza riceverne alcun piacere, mentre per i dirigenti le motivazioni erano l’ambizione, la sete di potere e la soddisfazione di battere i concorrenti. Ma anche per loro il successo non dipendeva dalla creatività bensì dall’espansione della produzione, la possibilità di produrre una maggiore quantità dello stesso bene, in un tempo minore ad un costo più basso.

Rathenau credeva che il capitalismo fosse condannato, ma non a causa delle ingiustizie sociali, sebbene non mancasse di rimarcare come la povertà tra i lavoratori impedisse l’avanzamento sociale anche di persone abili. Credeva invece che l’età delle macchine fosse condannata per il desiderio irrealizzato e irrealizzabile per lavoratori e dirigenti di avere dei valori “spirituali” che li accompagnassero nel lavoro rendendolo piacevole per l’anima. La dissoluzione del sistema capitalista sarebbe avvenuta non per mano di nobili riformatori e nemmeno per una rivolta delle classi più deboli, bensì a causa di una rivoluzione sociale ed economica che tendesse ad inglobare valori come una maggiore equità e la riscoperta del piacere del lavoro. 

Un’altra debolezza del sistema secondo Ratenau era costituita dal fatto che poche persone controllavano un’immensa ricchezza e potevano disporne a loro piacimento.  Avendo il controllo assoluto e poche necessità economiche, i capitalisti dell’epoca potevano permettersi uno spreco significativo di risorse, fossero esse terre, materie prime o forza lavoro scegliendo ad esempio di costruire una casa di lusso piuttosto che abitazioni decenti per i lavoratori, o ancora fabbricare uno yacht piuttosto che un ben più utile traghetto. Dato che il capitale, le materie prime e la forza lavoro erano risorse limitate per Rathenau la produzione ed il consumo dei beni non dovevano più essere delegate ai singoli individui bensì alla società nel suo complesso. Per frenare lo spreco Rathenau suggerì che il reddito oltre una determinata soglia (all’epoca 150 sterline) fosse tassato al 50%, fossero imposti dazi sui beni di lusso importati e tasse di proprietà per quelli prodotti localmente. 

Rathenau pensava quindi di ridurre gli sprechi di risorse da un lato mettendo sotto controllo governativo alcuni ambiti produttivi, dall’altro ricorrendo alla tassazione per ridurre il consumo privato, insistendo allo stesso tempo sul controllo statale dei monopoli, usando le sue parole “il monopolio genera ricchezza, non vi è altro modo per diventare ricchi”.

Walther Rathenau

Il modello organizzativo

Ma l’idea di Rathenau non era quella di un paradiso della pianificazione dove ogni attività produttiva fosse controllata dallo Stato, da imprenditore non poteva concepire attività produttive organizzate burocraticamente in perfetti alveari. Auspicava invece una riforma graduale, con una serie continua di esperimenti volti a determinare quale fosse il modo migliore per organizzare il complesso sistema industriale di uno stato moderno. Il tutto tenendo fermi alcuni principi basilari, che la ricerca di un migliorato benessere sociale sia compito dello stato e non del lasseiz faire, una distribuzione più equa delle ricchezze, una diminuzione delle differenze tra classi sociali se non la loro completa abolizione, la ricerca dell’autosufficienza produttiva per le singole nazioni.

Rathenau preconizza la costruzione di un sistema che comprenda tutte le imprese di un paese, il sistema viene ottenuto inserendo ciascuna impresa in due tipi di associazione, l’una collegante ogni impresa alle sue concorrenti, l’altra collegante ciascuna associazione di concorrenti con le associazioni dei suoi clienti e dei suoi fornitori.  Viene così costruito un reticolo di collegamenti orizzontali (tra concorrenti) e verticali (tra imprese e clienti) in virtù del quale l’insieme delle imprese viene a costituire un complesso unitario a cui lo Stato partecipa in posizione eminente. Secondo Rathenau il sistema economico non poteva essere concepito come un insieme di affari privati che trova da sé il suo equilibrio, così come l’azione dello stato non poteva essere ridotta ad una serie di interventi di emergenza da assumere quando la situazione di mercato la invoca.

Occorre quindi prepararsi ad appagare una esigenza continuativa di direzione del sistema, esigenza che nell’ordinamento esistente non viene soddisfatta. Rathenau si rende conto della rapidità e della profondità dei cambiamenti dettati dall’applicazione delle nuove tecnologie resesi disponibili nei decenni antecedenti alla prima guerra mondiale, e non può fare a meno di pensare al dopoguerra in termini di instabilità del sistema, di perdita della capacità di autoregolamentazione che si supponeva avesse il mercato. Le sue teorie sulla pianificazione economica gli attirarono critiche da destra e da sinistra, ma le sue profezie si rivelarono spesso giuste e molte delle sue proposte poco ortodosse non così inapplicabili come vennero bollate a suo tempo. Ma più che la fattibilità del progetto di Rathenau che non manca di sollevare perplessità, è il giudizio storico che sta dietro questa proposta che deve interessare. Il messaggio attualissimo che il sistema economico, dato le dimensioni che aveva raggiunto, aveva bisogno di essere in qualche modo governato.

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